L’asinello che vola sul portale

da Il Sole 24 Ore – 2 ottobre 2022 – di Gianfranco Ravasi

 

In questo articolo il Cardinal Ravasi analizza i simboli dell’arte romanica.

La scena è a prima vista blasfema: un asino chierichetto regge il messale a un celebrante caprone che indossa i paramenti liturgici. Non è la provocazione di un artista dissacrante contemporaneo, ma è un bassorilievo inserito nella ricca decorazione della chiesa di S. Pietro (XII sec.) nella cittadina francese di Aulnay. L’iconografia è ovviamente simbolica, tenendo conto del fatto che i due animali incarnano nella tradizione moralistica la pigrizia e la lussuria. Questa «Messa ridicola» è incastonata nell’architrave di un portale che ha per soggetto la malattia e la morte, con un’ulteriore scena sconcertante di natura erotica, ove il vizio è appunto un principio letale.

Questo e molto altro si può scoprire nella voce «asino» di un dizionario riedito ora per la terza volta e dedicato all’arte romanica nel suo fantasmagorico apparato di simboli. Autore è un noto storico dell’arte, Olivier Beigbeder, che ha perlustrato a lungo quell’orizzonte dai mille soggetti, a partire appunto dall’asino che nella Bibbia, in verità, gode di ottima fama. Il re-messia cantato dal profeta Zaccaria (9,9-10) avanza cavalcando un asino, che era il «veicolo» regale da parata in tempo di pace, a differenza del bellicoso e scalpitante cavallo. Sulla scia di questo passo biblico, Cristo entra in Gerusalemme nella domenica delle palme sorretto da «un’asina accompagnata da un puledro» (Matteo 21,4-5).

C’è, poi, l’asina oracolare del profeta pagano Balaam (Numeri 22) e non si può ignorare l’apocrifo asinello che, col bue, riscalderebbe il neonato Gesù o quello che condurrebbe la sacra famiglia in Egitto. Nella linea di questa libera creatività, gli artisti medievali riescono persino a comporre un’orchestra «bestiale» con l’asino suonatore di lira… Spesso a noi sfugge il significato metaforico di queste iconologie ambigue e fin esoteriche. Lo studioso francese le colleziona nel suo dizionario che ha due estremi alfabetici ben più decifrabili come l’agnello e lo zodiaco, ma allegando anche un intero bestiario di forte impatto, come il leone o il serpente, o i più rari elefanti e scimmie.

Ma naturalmente si va ben oltre la zoologia, perché gli scultori medievali hanno a disposizione un repertorio tradizionale sconfinato. Se, ad esempio, passiamo alla botanica, la voce «albero» occupa una trentina di colonne perché la stessa Bibbia offre un pittoresco alfabeto «verde», sempre di natura simbolica. Similmente trionfale è la gematria, ossia la lettura mistica dei numeri con un cifrario affascinante che ha i suoi snodi privilegiati nel 7 o nel 12, ma che si affaccia anche sulla «trinità». A questo orizzonte s’associa la sventagliata delle figure geometriche, dal cerchio al triangolo o al cubo e persino allo zig-zag, studiato da Beigbeder in tutte le sue variazioni lungo i fregi e i nastri decorativi, così come sono sorprendenti gli «incroci» ai quali è consacrata una lunga trattazione perché essi fioriscono dalla croce.

La figura umana ha tutto il rilievo che si merita, in una serie di tipologie sorprendenti come, ad esempio, i lottatori, l’uomo nudo accovacciato o accompagnato da un leone o un serpente e persino l’acrobata che, dati i limiti dei capitelli o dei portali, diventa un contorsionista o un giocoliere. Né c’è imbarazzo nella rappresentazione cruda, fin brutale, della sessualità che ha la sua variante eufemistica nella coda eretta degli animali. La selezione dei simboli si inoltra poi in tante altre tipologie che l’autore ha identificato soprattutto negli edifici sacri romanici della Francia a sud della Loira e della Spagna settentrionale. Esse si distinguono dai successivi modelli gotici a causa del ricorso al repertorio pagano e anche a una più marcata prospettiva apocalittica. Certo, non mancano i soggetti biblici, inseriti però in una luce escatologica, mentre nel gotico saranno riletti in chiave cristologica.

Quest’opera è uno strumento non solo culturale ma anche teologico. Basti citare quanto affermava un importante teologo del secolo scorso, Marie-Dominique Chenu in occasione dell’edizione italiana della sua fondamentale Teologia del XII secolo (Jaca Book 1992): «Se dovessi rifare quest’opera, ormai antica, darei un posto maggiore al ruolo dei condizionamenti socio-economici, alle evoluzioni delle strutture politiche feudali, ai movimenti comunitari, come riserverei uno spazio più largo alla storia delle arti, sia letterarie sia plastiche: esse sono, a loro modo, non soltanto delle illustrazioni estetiche ma dei veri “luoghi” teologici».

In appendice e a margine del dizionario di Beigbeder, segnaliamo una sorta di catalogo-album che vuole illustrare la permanenza del sacro nelle varie discipline artistiche nella nostra contemporaneità. Curati da uno specialista del settore, il critico Mariano Apa, questi Registri di arte vedono l’alternarsi di autori e di contributi piuttosto eterogenei in un imponente accumulo di dati, di immagini, di fitte analisi. Si ha un po’ l’impressione di inoltrarsi in una foresta dalla vegetazione sovrabbondante e lussureggiante nella quale è arduo districarsi perché non aiuta del tutto neppure la mappa variegata e complessa dell’indice che indica ben 15 itinerari. L’insieme dimostra, però, senza riserve l’incidenza del sacro anche in un territorio di solito sbrigativamente rubricato come secolarizzato, privo del cielo della trascendenza e alieno alla tematica e all’immaginario religioso.