Il buon scrittore tiene la Bibbia aperta

da Il Sole 24 Ore – 17 ottobre 2021 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinal Ravasi racconta di Piero Boitani e di come egli evidenzi la secolare incidenza delle pagine bibliche nelle grandi opere letterarie da Dante a Shakespeare, da Tournier a Saramago.

«Si scrive solo una metà del libro, dell’altra metà si deve occupare il lettore». Questa considerazione di Joseph Conrad s’adatta anche alle Sacre Scritture, tant’è vero che è diventato un motto comune l’affermazione di san Gregorio Magno secondo la quale la Bibbia cum legente crescit. Ed è per questa via che nella teologia, accanto al primato della Scrittura, si è collocata la presenza sempre viva della Tradizione. Questa è anche la prospettiva costante adottata in molti scritti da Piero Boitani, un vero magister per letterati, ma pure per esegeti e teologi, nel suo esercizio di Ri-Scritture letterarie, come recita il sottotitolo della sua ultima raccolta di saggi, laddove è fondamentale la maiuscola «Scritture».

Era stato lui – come abbiamo già segnalato in queste pagine – a riproporre l’’opera capitale di Northrop Frye, emblematica già nel suo titolo Il grande codice: la Bibbia, infatti, è stata per secoli il lessico di base dell’arte, della letteratura, della musica, del pensiero occidentale che hanno attinto dalle sue pagine figure, eventi, simboli, scene, narrazioni, tesi, modelli etici. La più completa esegesi biblica non può esaurirsi nel pur primario scavo storico-critico sulla «lettera» e sullo «spirito» di quelle Scritture, ma deve anche inseguirne la loro successiva esistenza e vitalità secolare. Ne era già convinta la stessa Bibbia che, sotto lo stesso patronato di Salomone, re e sapiente, rubricava opere posteriori di secoli e diverse di genere e tonalità come Qohelet, il Cantico dei cantici e il Libro della Sapienza. Oppure riscriveva incessantemente la vicenda dell’esodo dall’Egitto, dal libro omonimo fino alla palinodia escatologica dell’Apocalisse.

Stando sempre sulla soglia metodologica del volume di Boitani, quel suo «rifare la Bibbia» è, in realtà, un parallelo di ciò che viene compiuto in musica: l’opera non è solo nello spartito, ma è anche nella sua esecuzione viva e sonora. Come osservava Luigi Pareyson nel suo saggio Verità e interpretazione, la molteplicità delle riprese «non pregiudica per nulla l’unicità dell’opera musicale perché l’esecuzione non è copia o riflesso, ma vita e possesso dell’opera». A questo punto non rimane che sedersi in platea e seguire la conduzione di Boitani che, da «maestro», fa eseguire quello spartito supremo da una straordinaria orchestra di esecutori.

Come è noto, continuando la metafora musicale, il direttore legge verticalmente la partitura secondo tutte le parti degli strumenti o del coro, mentre ogni orchestrale o corista legge orizzontalmente la sua parte. Nello splendido concerto diretto da Boitani gli undici spartiti basati su figure o temi ed eventi biblici sono interpretati secondo un autore principale, che è la voce o lo strumento dominante, ma l’insieme dell’esecuzione è affidato a una imponente e variegata coralità sonora. Fuor di metafora, a ogni pagina dei vari saggi affiorano a corona dell’attore principale, che può essere Dante o Shakespeare, Milton o Thomas Mann ma anche Saramago o Joseph Roth, una miriade di testimonianze letterarie che Boitani evangelicamente trae dal suo sterminato «tesoro di cose nuove e cose antiche» (Matteo 13,52), componendole in una sorta di coro a cappella.

Di fronte a una simile architettura si è colti da un senso di vertigine. Ad esempio, si veda il capitolo su Dante che alla Bibbia si è rivolto come a una costellazione-guida o, per stare nel simbolismo musicale, a una «teodïa» da lui eseguita secondo le quattro chiavi musicali dell’ermeneutica tradizionale: la letterale, l’allegorica, morale, anagogica. Suggestiva è la proposta finale rivolta da Boitani ai lettori: «Prendano a caso un canto della Commedia e vi rintraccino echi, allusioni, riprese della Scrittura», solo per «constatare come Dante non riscriva, ma componga la sua Bibbia». Tra l’altro, c’è chi ha contato in 588 le citazioni bibliche che intarsiano i 14.223 endecasillabi.

Un altro orizzonte affascinante è quello riservato a Shakespeare: da sempre lo studioso ha percorso quella sorta di giardino di simboli, di storie, di personaggi e temi che il Bardo di Avon ha coltivato, inserendovi sempre nei momenti cruciali il fiore delle Scritture. Ma egli è pronto anche ad affrontare le spine che allignano e che si ramificano lungo i tracciati ardui dell’etica della misericordia e della giustizia (come non evocare il Mercante di Venezia?). Se vogliamo, poi, accostarci al Novecento, ecco venirci incontro il Mosè di Faulkner, invitato – nel famoso settenario di racconti, intitolato Scendi, Mosè – a ridiscendere per riproporre l’appello al «vecchio Faraone di lasciar andare il suo popolo», come si legge nel ritornello dello «spiritual» afroamericano Go down, Moses, alimentato dal Salmo In exitu Israel de Aegypto, caro anche a Dante (Purgatorio II, 46).

Ed è ancora Mosè a ritornare in scena con un autore che ha avuto sempre la Bibbia come stella polare delle sue narrazioni. È il Michel Tournier dell’Eleazar , ovvero La sorgente e il roveto: ebbi la fortuna nel 1996, anno della sua traduzione italiana, di dialogare con lo scrittore a Milano, sia pubblicamente sia in privato, e trovo oggi nelle pagine di Boitani proprio la mappa che aveva retto la trama ideale biblica del suo creatore. Originale è, poi, l’approccio a uno scrittore sconcertante nel suo rimando a Cristo, l’ateo José Saramago, soprattutto col suo Vangelo secondo Gesù, una «ri-Scrittura» del Vangelo di Luca per mano di Pilato, un romanzo dalla «struttura a spirale, come quella dell’Inferno dantesco». La parabola del testo dell’autore portoghese, però, lacera quelle pagine sacre, fino al capovolgimento delle parole finali di Gesù: «Uomini, perdonatelo, perché non sa quello che ha fatto».

Tuttavia, pure queste e altre «ri-Scritture», a prima vista blasfeme agli occhi del cristiano, confermano la straordinaria e fin provocatoria fecondità della Bibbia, dalla quale è comunque difficile prescindere anche in piena secolarizzazione. Il nostro è stato solo un sondaggio nei saggi di Boitani che comprendono tanti altri soggetti. Essi si trasformano non solo in un’alta lezione di letteratura, ma anche in un creativo esercizio di esegesi, capace di confermare la tesi da cui siamo partiti sull’Autore e il Lettore. Anche perché, come si legge nel Dottor Živago (qui pure esaminato), «la Bibbia non è un libro con un testo rigido, quanto piuttosto il diario dell’umanità e così è tutto ciò che è eterno».