Grandi Bibbie in miniatura

da Il Sole 24 Ore – 18 ottobre 2020 – di Gianfranco Ravasi.

Nella quarta sala della Pinacoteca Vaticana è collocata un’imponente tela di 3,70 x 3,15 metri sulla quale è stato trasferito un affresco di Melozzo da Forlì. Pochi nel flusso dei visitatori vi badano, a differenza del sentimento che provo personalmente a causa di una parte rilevante della mia vita trascorsa a dirigere una biblioteca storica, l’Ambrosiana di Milano. Infatti, quel dipinto è simile a una gigantesca fotografia che fissa in modo veristico l’atto dell’Investitura del Plàtina (tale è il titolo assegnato all’opera). Ai piedi del trono – ove siede il papa Sisto IV della Rovere (quello che ha dato il nome alla Cappella Sistina), circondato da ben quattro cardinali nipoti, a cui si aggiunge Giuliano della Rovere, il futuro Giulio II – è inginocchiato appunto il Plàtina che era il soprannome di Bartolomeo Sacchi, nato nel 1421 nell’attuale Piàdena, in provincia di Cremona, in latino Plàtina.

Ebbene, quell’istantanea pittorica fissava l’investitura del Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, avvenuta nel 1477, l’istituzione gloriosa fondata una trentina d’anni prima da papa Niccolò V Parentucelli. Nel palazzo apostolico questo pontefice aveva trovato solo 350 codici, ne aggiunse subito 50 personali e avviò una campagna acquisti, tanto che alla sua morte nel 1455 l’inventario ufficiale della Biblioteca comprendeva oltre 1.200 manoscritti, un terzo dei quali greci. È all’insegna della scena sopra descritta e della vicenda germinale della Biblioteca Vaticana che proponiamo ai lettori un mirabile volume lapidariamente intitolato Bibbia e specificato con due termini altrettanto essenziali, «Immagini e scrittura», naturalmente destinato ad aprire lo scrigno straordinario dei testi biblici custoditi in quella che è considerata un po’ come la regina delle biblioteche.

Pur non essendo la Vaticana una raccolta di taglio solo religioso (si pensi, ad esempio, al prezioso «Virgilio romano» del V secolo, o alle «Commedie» di Terenzio copiate attorno all’825 con 150 miniature, o al trattato di falconeria di Federico II, o alla Commedia di Dante illustrata da Botticelli e così via), la Bibbia ha un primato d’onore, ed è proprio questo volume sontuoso ad attestarlo attraverso due percorsi. Il primo è quello fondamentale ed è costituito dai 44 saggi che compongono l’apparato critico elaborato da esperti di alto profilo, a partire dall’attuale Vice Prefetto Timothy J. Janz, da poco subentrato al curatore dell’opera Ambrogio M. Piazzoni. Le ramificazioni di questo percorso ci introducono innanzitutto nella diffusione delle Scritture Sacre all’interno delle varie culture attraverso le versioni degli originali ebraico e greco in latino, in copto, in arabo, in slavo, in etiopico, in siriaco, in armeno, in georgiano e in gotico. Tra l’altro, non bisogna dimenticare che esistono nella Biblioteca «fondi aperti», accresciuti in passato e ancor oggi, comprendenti altre lingue come il turco, il persiano, gli idiomi estremo-orientali, il rumeno, l’iberico, il samaritano, i vari fondi indocinesi, mandei e così via.

Un’ulteriore diramazione di questo percorso filologico punta verso i centri scrittorii e artistici i cui copisti e miniatori allestivano i gioielli testuali biblici in aree e in epoche diverse, dall’antichità bizantina ed ebraica, passando attraverso il primo Medioevo (VI-IX sec.), l’età ottoniana e romanica (X-XII sec.), attraversando l’importante epoca gotica (XIII-XIV sec.), per approdare al Rinascimento (XV sec.). Ovviamente queste tappe sono scandite dall’analisi di esemplari spesso affascinanti (l’Evangeliario Barberini e quello Bretone, il Salterio di Bury, la Bibbia di Ripoll, le Bibbie atlantiche, quella del duca di Berry per il papa Clemente VII, i manoscritti fiorentini della biblioteca urbinate di Federico da Montefeltro, tanto per citare qualche opera famosa).

Infine, uno spazio specifico e più ridotto viene riservato in questo primo itinerario alle tipologie testuali e al loro uso, ad esempio, liturgico (evangelistari, epistolari, salteri destinati al culto), oppure didattico-morale o personale (la Bibbia portatile) e qui si giunge alla data fatidica del 1452-55 allorché a Mainz Johannes Gutenberg stampò la prima Bibbia tipografica, la cosiddetta «B 42» a causa del numero delle sue linee su due colonne per pagina. La Biblioteca Vaticana ne possiede una in due volumi della più antica edizione in pergamena: curiosamente lo stampatore sentiva forse la nostalgia del codice miniato; è per questo che decorò l’esemplare vaticano con decine di iniziali ornamentali in tempera e oro dipinte a mano. Come è evidente, la mappa di questo volume è affascinante non solo per lo studioso ma anche per chi ama quel «grande codice» della cultura occidentale che sono le Scritture Sacre.

Parlavamo, però, di due percorsi: è nel secondo che il fascino s’accresce, soprattutto per il lettore profano. Si tratta dell’apparato iconografico, un vero hortus deliciarum per gli occhi che possono contemplare immagini irrevocabili per bellezza. Non per nulla a collaborare con Piazzoni nella composizione del piano di quest’opera è stata convocata un’autorità nel campo della miniatura, Francesca Manzani della «Sapienza» di Roma. Più che a un percorso, in questo caso si deve rimandare a un pellegrinaggio in un orizzonte sacrale ove la parola «ispirata» divinamente fiorisce attraverso l’«ispirazione» dell’artista. Il pensiero corre alla stupenda metafora dantesca riservata a un miniatore di codici del XIII sec.: «…ridon le carte / che pennelleggia Franco Bolognese» (Purgatorio XI, 82-83).

Nella genealogia biblica disegnata dai vari saggi è possibile identificare il primo anello ideale, ossia il manoscritto più antico: è il Papiro Hanna 1 (P75), originario dell’Egitto, ove fu composto tra il 180 e il 220, inizialmente in 144 fogli dei quali permane oggi, in pagine sfogliate, solo una settantina. È la prima attestazione quasi completa dei Vangeli di Luca e di Giovanni, a cui si associa per una quasi contemporaneità il Papiro Bodmer 8, la più antica testimonianza delle Lettere di Pietro neotestamentarie. Ma per i biblisti l’archetipo supremo è il grandioso e straordinario Codex Vaticanum (o B), confezionato su pergamena solo un secolo dopo del Papiro Hanna 1. La sua imponenza impressiona già a livello quantitativo: 759 fogli (dei circa 800 originari) per un totale di 1.518 pagine in scrittura maiuscola regolare che contengono l’Antico e il Nuovo Testamento, il primo nella versione greca dei Settanta (ad eccezione dei libri dei Maccabei).

E l’ultimo anello di questa genealogia di testi biblici? Se si vuole stare ai manoscritti, è la Bibbia copiata e illustrata in sette volumi dell’americano Donald Jackson che, seguendo le tecniche degli antichi copisti, ha lavorato tra il 1998 e il 2012, usando la New Revised Standard Bible. La Biblioteca ne conserva il facsimile, mentre l’originale è a Collegeville nel Minnesota. Ma se si vuole entrare nel regno dell’informatica, la sorpresa è affidata a un disco di quarzo fuso del diametro di 22 millimetri: lì è stata concentrata nel 2017 l’intera Nova Vulgata latina, testo ufficiale nel culto cattolico. Sono stati i laboratori dell’università inglese di Southampton che hanno eseguito l’opera secondo la tecnologia denominata «5D optical». Gli esperti sono convinti che questa Bibbia – leggibile attraverso uno specifico microscopio – non si deteriorerà per milioni di anni, letta. L’hybris un po’ ingenua dei tecnici che l’hanno approntata li ha spinti a intitolarla Holy Bible Preserved for Eternity! Tuttavia si potrebbe osservare che per la Bibbia è solo la Parola di Dio in sé che «permane in eterno». Dopo tutto anche sulla chiglia del Titanic era inciso il motto «Solo Dio mi può affondare!». Purtroppo, come è noto, Dio accettò la sfida…