La sfida di una comunità umana dal futuro condiviso

È ormai un trend costante da diversi anni che in tv, sui giornali e sui social si discuta sempre più di Cina e del suo ormai innegabile ruolo di superpotenza. L’argomento viene affrontato soprattutto sotto il profilo economico e geopolitico ma uno degli aspetti più trascurati e allo stesso tempo più affascinanti della Repubblica popolare cinese sono le sue fondamenta ideologiche. Per noi nati nella generazione Z, abituati a considerare il nostro mondo come liquido e post ideologico, guardare a quanto accade in Cina, quindi, può risultare abbastanza sorprendente e difficile da comprendere fino in fondo. La Repubblica popolare cinese ha avuto tre leader su tutti che sono riusciti ad incidere sull’evoluzione di un pensiero politico e filosofico che ancora oggi si rifà al marxismo più puro: Mao Zedong, Deng Xiaoping e da ultimo Xi Jinping. Ogni leader, senza rinnegare il pensiero del precedente, ha introdotto rettifiche e importanti innovazioni. Mao è stato il primo leader della Repubblica popolare cinese e lui per primo si era distanziato all’Urss sul piano ideologico e geopolitico, a Deng poi spetta la paternità del cosiddetto socialismo con caratteristiche cinesi, in pillole la necessità di una serie di riforme di mercato prima di poter approdare ad un modello di società pienamente comunista. Xi, dal canto suo, si fa erede della tradizione precedente e si propone di traghettare la Cina in una nuova era. Uno dei punti più affascinanti della sua dottrina è la “comunità umana dal futuro condiviso”, inserito anche nella carta costituzionale. Leggendone il contenuto si evince che la Cina non aspira all’egemonismo globale ma anzi che l’obiettivo finale è costruire una famiglia armoniosa dove crescere insieme, e realizzare insieme il sogno di una vita migliore dei popoli dei diversi paesi.

Nella pratica le declinazioni di questa dottrina sono molteplici, come ad esempio il concetto di “comunità sicura” che si oppone con forza all’unilateralismo ed è inteso come il fondamento della rinascita della nazione cinese. Ovviamente i critici di questa agenda non mancano, anche se risvolti pratici si sono visti con l’iniziativa “Belt road initiative” e, ad esempio, con la risoluzione ONU sulla dimensione sociale della nuova partnership per lo sviluppo africano.

Al di là di comprensibili riserve o dubbi sullo sviluppo dell’ideologia cinese è forse opportuno che anche l’Occidente operi un rinnovamento ideologico e spirituale mettendo in discussione il dogma del postmodernismo. La teorizzazione e, per quanto possibile, l’applicazione di una filosofia di stato che potremmo definire escatologica e che ha come pilastri un forte statalismo e allo stesso tempo la coscienza di un futuro condiviso da tutta l’umanità ha interessanti ripercussioni nel concreto, come per esempio il ruolo della Cina all’interno delle organizzazioni internazionali e sul piano interno la profonda ristrutturazione anche morale ed etica dell’apparato di partito operata da Xi Jinping.

Un primo aspetto è la costruzione di una democrazia socialista imperniata sullo stato di diritto e che allo stesso tempo pone la meritocrazia politica sopra la democrazia pura come la conosciamo in Occidente. In questo senso si veda la cura con cui sono formati i dirigenti di partito ai quali oltre alla bravura è richiesto un elevato grado di integrità e fedeltà all’ideale marxista.

L’Occidente potrà adottare o almeno prendere spunto in concreto da queste elaborazioni ideologiche cinesi? Difficilmente. Ma è fondamentale osservare attentamente e senza pregiudizi l’evoluzione anche morale e filosofica di un paese ormai egemone in varie zone del mondo anche sul piano culturale. Se accogliere o meno, parzialmente o in toto, questa dottrina è una questione eminentemente politica e presuppone un’adesione almeno formale al credo socialista. Ciò che sicuramente si deve apprezzare è la capacità della Cina di valorizzare la loro cultura millenaria e usarla come carburante per uno slancio ideologico verso il domani.

Alberto Atelli