
26 Feb I tre monoteismi raccontano la figura di Abramo
da Il Sole 24 Ore – 23 febbraio 2025 – di Gianfranco Ravasi.
In questo articolo il Card. Ravasi esamina la figura di Abramo all’interno delle tre grandi religioni monoteiste, partendo dal saggio di François Bœspflug, uno dei maggiori studiosi di iconografia sacra.
«Quando il bambino dev’essere svezzato, la madre si tinge di nero il seno. Sarebbe crudele che il seno restasse desiderabile quando il bambino non deve più attaccarsi. Così il bambino crede che il seno si sia modificato ma la madre è sempre la stessa, il suo guardo è sempre pieno di tenerezza e amore». Anzi, diremmo noi, ama ancor di più suo figlio avviandolo sulla strada dell’autonomia personale: quante madri – come si è soliti dire – non hanno voluto tagliate il cordone ombelicale metaforico tenendo avvinti a sé i propri figli, facendone creature fragili o stravolte.
Ebbene, questa immagine è adottata dal filosofo Søren Kierkegaard nel suo saggio Timore e tremore (1843) per decifrare il comando sconcertante, dall’esito però inatteso, rivolto al patriarca ebreo Abramo in quell’impressionante c. 22 della Genesi: «Prendi il tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va’ nel territorio di Moria e offrilo in olocausto sul monte che ti indicherò». Senza batter ciglio, Abramo si inerpica sul quel monte che la tradizione identificherà poi nell’altura ove sorgerà il tempio di Gerusalemme. Il filosofo danese assume questo episodio come il paradigma della fede pura, che per credere non ha più neppure l’appoggio della promessa divina, incarnata appunto da quel figlio.
Con la rasura di ogni prova, anche la più alta, Dio stacca da sé Abramo perché, come il bambino allontanato dal seno materno, si inoltri nel territorio della libertà, vera anima della fede. Naturalmente questo brano è stato sottoposto a ermeneutiche disparate spesso sulla base della ‘aqedah in ebraico la “legatura”, di Isacco vittima sacrificale, in attesa che cali su di lui il coltello del padre facendone il simbolo del martirio nelle persecuzioni antisemite. C’è stata, poi, l’interpretazione psicanalitica sul contrasto tra paternità tirannica e filiazione-possesso; è seguita quella famosa antropologico-culturale di René Girard; la lettura del filosofo Kołakowski sull’obbedienza alla ragione di Stato “in nome di Dio”, mentre Kant riteneva che in azione fosse Satana travestito da Dio e tentatore di Abramo, e così via.
Oltre a quella letteraria, imponente è stata la ripresa artistica e a farcene gustare una selezione è uno dei maggiori studiosi di iconografia sacra, François Bœspflug, docente emerito dell’università di Strasburgo, autore di una preziosa, vasta e variegata bibliografia che più di una volta abbiamo ospitato anche in queste pagine. Il suo approccio è interreligioso perché vengono convocati i tre monoteismi che hanno in Abramo il comune padre della fede. Ecco, allora, ad esempio, la prima – cronologicamente parlando – rappresentazione, quella della sinagoga di Dura Europos in Siria (forse attorno al 240). Da lì fluisce un filone giudaico che approda ai molteplici dipinti di Marc Chagall: in uno di essi, a sorpresa, nel fondale della scena appare Cristo con la croce, secondo un modulo classico nella teologia e nell’arte cristiana.
Anche l’islam, che spesso attinge alla Bibbia, ha nella sura XXXVII del Corano il suo riferimento fondamentale, con la variazione del figlio che è Ismaele, capostipite degli Arabi. A dominare è la miniatura, soprattutto in Iran e Turchia dal Medioevo fino ai nostri giorni: non per nulla, la copertina del saggio di Bœspflug è affidata a una di queste miniature contemporanee. Ma, come è scontato, a dominare è l’arte cristiana: essendo stato per 15 anni responsabile della custodia delle catacombe italiane, come presidente della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, il mio rimando spontaneo va agli affreschi catacombali di San Callisto, di Priscilla, di Via Latina, o i vari sarcofagi dai bassorilievi emozionanti, sempre con un approccio implicitamente cristologico.
La successiva sequenza allestita dallo studioso francese si allarga a tutte le tipologie, dai mosaici alle miniature, dagli altorilievi alle sculture, dalle tavole alle tele e alle vetrate, percorrendo le varie tappe storiche, con scelte spesso originali affidate a un’affascinante documentazione fotografica. Tanti sono i grandi che si cimentano su questo soggetto, da Mantegna a Donatello, da Cranach a Tiziano, da Caravaggio a Rembrandt. Ma inattesi sono molti minori, alcuni quasi sconosciuti, che con purezza e persino ingenuità di sguardi riportano il tema alla quotidianità attuale. Altrettanto suggestiva è la gamma incessante delle variazioni introdotte sulle figure e sugli atti dei due protagonisti.
Ogni lettore sarà come un pellegrino stupito in questa galleria sacra di immagini, forse soffermandosi su talune che impressionano, pur senza essere capolavori. Ne propongo una coppia secondo un mio impatto personale. Si tratta di due sculture indipendenti ma analoghe. La prima è un bronzo di George Segal del 1978, collocato inizialmente in pieno centro a Princeton, accanto alla cappella della Kent State University: Abramo è abbigliato come un cittadino attuale e Isacco come uno studente, in ginocchio davanti a un padre che impugna un coltello. L’altra è, invece, di Pierre de Grauw ed è del 1958, anch’essa posta all’aperto in una cittadina della Bretagna: è necessario scoprirla direttamente a pagina 152, essendo difficile descriverne l’originalità rappresentativa.