Generazione perduta: giovani in fuga dall’Italia

Non solo l’Italia è un Paese che sta invecchiando a ritmi sostenuti perché l’inverno demografico è sempre più presente e impattante. L’invecchiamento della popolazione italiana è legato anche al fatto che i giovani non vogliono né possono più rimanere nel loro Paese d’origine. In Italia, la mancanza di opportunità lavorative e, di conseguenza, l’impossibilità di costruire un futuro è la principale causa della fuga dei giovani, che vedono nel loro luogo di nascita un Paese poco attraente, nonché una nazione che da decenni non investe sulle potenzialità delle giovani generazioni e su politiche adatte.

Nonostante la battuta di arresto causata dalla pandemia, è ripartito l’esodo dei giovani italiani verso l’estero. Nel solo biennio 2022-2023, circa 100mila giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato il Paese, numero quasi tre volte superiore rispetto a coloro che sono rientrati, pari a poco più di 37mila. Il fenomeno, secondo i dati della Fondazione Nord Est, riguarda in particolare il Nord Italia, da cui proviene metà dei giovani emigrati. Se si prende in considerazione un periodo di tempo più esteso, tra il 2011 e il 2023 sono ben 377mila i giovani italiani emigrati, un saldo fortemente negativo; e questo dato potrebbe addirittura essere maggiore se si considerano tutte quelle persone molti mantengono la residenza italiana pur vivendo stabilmente all’estero.

Rispetto a quanto si potrebbe pensare, sono le regioni del Nord Italia quelle che più soffrono di questa “emorragia” giovanile, sebbene siano la principale destinazione per i giovani del Mezzogiorno (che vedono questo spostamento già come un “espatrio”). La Lombardia, infatti, ha registrato il peggior saldo migratorio nel 2023 (-5.760), seguita dal Veneto (-3.759). Nel complesso, comunque, le cancellazioni anagrafiche per trasferimento all’estero sono arrivate a 550mila nel periodo che va dal 2011 al 2023, a fronte di soli 172mila rientri.

Questa massiccia fuga di cervelli ha comportato una perdita stimata in 134 miliardi di euro di capitale umano per il nostro Paese. Ma non è solo una questione che si riduce ai semplici valori economici. L’Italia non attrae giovani talenti, neanche quelli nativi. Offre basse retribuzioni e opportunità lavorative scadenti e non in linea con i percorsi di studi in cui i ragazzi si cimentano con dedizione per anni, in attesa di un lavoro appagante dal punto di vista economico e personale. Con questi presupposti i giovani sono schiacciati in un meccanismo sociale che rende sempre più lontani e irrealizzabili i loro sogni per il futuro: una casa, una famiglia, una carriera professionale stimolante e opportunamente retribuita, una qualità della vita proporzionata ai propri desideri.

Le politiche giovanili attuali sono il punto più debole del nostro Paese, motivo per il quale molti espatriano. L’Italia si presenta agli occhi di molti come uno Stato arretrato anche per quanto riguarda le infrastrutture digitali che sono molto criticate dalle nuove generazioni. Ma ciò che “spaventa” i giovani, al di là della mancanza di opportunità lavorative e delle basse retribuzioni, è lo stato attuale dei servizi alla famiglia e del welfare. Se non si implementa lo Stato sociale, il nostro Paese andrà via via sgretolandosi e invecchiando, lasciando andar via i propri “figli”. E uno Stato che non si prende cura dei figli, mette in pericolo il proprio futuro e la capacità stessa di progettarne uno.

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