Un giardino di scritti pieni di storie

da Il Sole 24 Ore – 24 novembre 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Card. Ravasi narra come Sergio Pagano racconta 40 documenti dell’Archivio Apostolico Vaticano, dal minuscolo «Liber Diurnus pergamenaceo» a un articolo di «Paese sera» del 1972.

A molti piaceva proprio quell’aggettivo che supponeva qualcosa di misterioso, di innominabile e indecifrabile: fino a cinque anni fa il titolo era “Archivio Segreto Vaticano”, allestito – su basi documentarie e strutture antecedenti – tra 1611 e il 1614 da papa Paolo V Borghese. Il 22 ottobre 2019 papa Francesco ne ha mutato la denominazione in “Archivio Apostolico Vaticano”, aprendolo ulteriormente alla consultazione fino al 1958 (si pensi alla nota questione ebraica durante il pontificato di Pio XII). Aggregata a questa istituzione è la Scuola di Paleografia, Diplomatica e Archivistica, il tutto diretto fino allo scorso 6 luglio dal vescovo barnabita ligure, Sergio Pagano, nato nel 1948.

Si tratta di una figura di alta competenza scientifica, dotata anche di vivace capacità comunicativa, come è attestato dal libro-intervista Secretum, realizzato con Massimo Franco per Solferino lo scorso anno. La conoscenza di quell’imponente fondo documentario che si distende per chilometri di scaffali si intreccia in lui con la passione di essere guida a chi vuole inoltrarsi in angoli remoti, oltre le carte o le testimonianze più celebri di papi, cardinali, re e capi di stato. È ciò che ha voluto proporre con un delizioso volume miscellaneo intitolato Dall’Archivio del papa.

Come egli stesso confessa «si è trattato di scegliere fior da fiore, anzi pochissimi fiori in un giardino sterminato di scritti che abbracciano ormai più di dodici secoli (dal IX alla fine del XX)». La sua cernita, anche se modestamente definita «minima», riesce a comporre un’aiuola di quaranta fiori – per stare alla sua metafora – di colori diversi, ossia di differenti tipologie, cronologie, temi e caratteristiche. Così, collocandoci agli antipodi di questo arcobaleno cromatico, si va da uno dei documenti più antichi, un minuscolo Liber Diurnus pergamenaceo di 104 fogli del IX secolo con l’entrata in scena di un papa “eretico” del VII secolo, il campano Onorio I, e si approda a un articolo di «Paese sera» del 28 novembre 1972 nel quale il vaticanista Lillo Spadini pubblicava uno “scoop” infondato attorno a un processo scabroso vero del Seicento.

Già da queste due evocazioni si intuiscono le continue soprese che mons. Pagano inanella per il lettore. La sua dote, infatti, è quella di non abbandonare mai il rigore critico documentario e il relativo contesto storico, ma di saper rappresentare il testo e le vicende in una narrazione affascinante, spesso increspata da colpi di scena. È arduo, perciò, per il recensore selezionare alcuni fiori tra quei quaranta, perché tutti hanno una capacità attrattiva anche quando sono radicati in terreni nascosti, come nel caso di un inedito ricettario settecentesco di mascalcia (lascio al lettore scoprire di che si tratti, ricordando solo che siamo nell’ippiatria). Procederemo, allora, quasi a caso, sempre con l’imbarazzo della scelta e con il desiderio di non “spoilerare” le sorprese.

Così, sulla scia delle false mariofanie di Trevignano sono stato attratto – anche per la località brianzola di Pusiano, che ben conosco per le mie origini – dalla storia delle veggenti di quel paesino lacustre, appassionatamente sostenute dal loro parroco (1858) che aveva appellato persino al papa Pio IX che, informatosi, senza riceverlo, lo aveva liquidato come «una testa visionaria e strana». Ben più imbarazzato sarà il futuro Pio XII, il card. Pacelli, in occasione della morte a Roma per broncopolmonite di Luigi Pirandello. Era il 10 dicembre 1936 e nel suo testamento lo scrittore era stato lapidario: «Morto, non mi si vesta. Mi s’avvolga nudo in un lenzuolo… Bruciatemi. E il mio corpo, appena arso, sia lasciato disperdere; perché niente, neppure la cenere, vorrei avanzasse di me». Ed effettivamente la salma fu cremata e le ceneri, versate in un vaso, furono però collocate nel cinerario comune del Verano.

Imbarazzo anche del Duce e del regime fascista che con Pacelli, Segretario di Stato Vaticano, voleva celebrare un rito funebre solenne, nonostante il divieto dello scrittore e la cremazione allora proibita dalla Chiesa. Il risultato è nel titolo assegnato da Pagano alla vicenda: «Tre funerali e mezzo pirandelliani», un esito degno appunto dell’autore di Uno, nessuno, centomila. Ancor più imbarazzante risulterà la versione della strage di Portella della Ginestra sulla folla radunata per celebrare il 1° maggio 1947, offerta dall’allora ministro degli Interni Mario Scelba al Nunzio Apostolico nel 1951 durante il processo su quell’eccidio. Si legga la relazione del colloquio e il commento del nostro autore: «Si resta sbigottiti, quasi increduli, a leggere la “storiella” che il ministro Scelba raccontava al Nunzio in Italia, quasi a voler minimizzare, presso il Papa, la crudele sparatoria della banda Giuliano… Ma Scelba poteva credere tanto ingenui e sprovveduti i prelati vaticani da prestar fede alle sue parole?».

Se vogliamo continuare a ricorrere alla categoria dell’“imbarazzo” dobbiamo riconoscere che – a differenza dell’ipocrisia del ministro italiano e di una diffusa e inesausta prassi della stessa Curia romana – mons. Pagano ne è immune. La sua professione di storico lo abilita a penetrare anche nelle pieghe polverose dei faldoni. Così, tanto per concludere con un elenco parziale, ecco un infame caso di perversione e pedofilia di un ecclesiastico nell’Ottocento, oppure il nepotismo dei cardinali “giovinetti”, o Gregorio XIII che legittima il suo precedente figlio naturale (1548), o il vescovo «pervicacemente simoniaco a Nola», o il corrottissimo cardinale scomunicato Niccolò Coscia, o gli “inconsueti” documenti massonici ottocenteschi, o ancora i costi di un funerale papale e di un conclave, e persino uno strano brivido di pudicizia di Pio XII nella Basilica di San Pietro…