Inno alla gioia e alla tristezza

da Il Sole 24 Ore – 3 novembre 2019 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinale Gianfranco Ravasi ci parla di sentimenti e di come sia importante esplorare e valutare le nostre sensazioni interiori per fare un po’ di chiarezza.

Nel 1670 Baruch Spinoza, filosofo olandese di matrice familiare ebreo-portoghese, pubblicava un’opera intitolata Trattato teologico-politico, scritta nella lingua scientifica di allora, il latino. Ebbene, in una delle prime pagine egli formulava il suo programma in modo molto limpido e netto:

Sedulo curavi actiones humanas

non ridere,

non lugere,

neque detestari,

sed solum intelligere

L’impegno costante della sua ricerca era quello di non deridere, né compiangere, né detestare ma di comprendere in profondità (intelligere da intus legere) i comportamenti umani. È questo un sano esercizio intellettuale ed etico molto importante anche nei nostri giorni così superficiali, ove imperano l’urlato, la prevaricazione e l’incompetenza,adottati senza pudore come metodo. Riconosciuto questo principio basilare, bisogna però aggiungere un complemento necessario che equilibra il nostro giudizio sulla realtà in modo più globale.

Infatti noi sappiamo che la nostra conoscenza è polimorfa, si compie attraverso molti e diversi canali: certo, capitale è quello dell’intelligenza e della razionalità, ma altrettanto importanti sono i percorsi dell’estetica (l’arte e la letteratura), della spiritualità e della religione (la fede e la teologia), dell’amore che ha leggi proprie. E, a questo punto, dobbiamo aggiungere la via del sentimento, della passione, dell’emozione, dell’intuizione, dell’affettività: era proprio ciò che Spinoza e, successivamente, l’Illuminismo razionalista cercavano di escludere, considerandolo come una sorta di nebbia che il vento cristallino della ragione doveva spazzar via.

Anche gli storici in prevalenza ignoravano, nella ricostruzione degli eventi umani, questa dimensione valorizzata invece dall’antropologia, dalla psicologia e dall’etica, per attestarsi solo sulle azioni e sui dati fattuali e sugli eventuali progetti sottesi. Diversa è l’impostazione storiografica contemporanea che ha iniziato ad assumere nel suo bagaglio documentario anche queste componenti: significativa, al riguardo, è stata – a partire dai francesi Annales già nel 1941 – la scelta di «ricostruire anche la vita affettiva di una determinata epoca», come affermava lo storico Lucien Febvre. Nel 1985 si coniò persino il brutto neologismo «emozionologia» da parte di Peter e Carol Stearns, mentre nel 2012 uno storico tedesco, Jan Plamper, pubblicava un saggio intitolato Geschichte und Gefühl, cioè «Storia e sentimento», impropriamente reso nella versione italiana del 2018 come Storia delle emozioni. Considerata la qualità molto semplice ed essenziale delle pagine che seguiranno, non è nostro compito allegare l’imponente ricerca che si è sviluppata attorno ai sentimenti e alle emozioni (è già complessa la distinzione di valore tra questi due termini spesso usati come sinonimi). Ricordiamo solo che duellano tra loro due tesi. C’è la concezione «socio-costruttivista» che è convinta della pluralità sperimentale ed espressiva delle varie culture rispetto ai sentimenti: essi sarebbero, perciò, plasmati dalle caratteristiche linguistiche, culturali e sociali dei vari popoli e, quindi, mutevoli e variabili secondo le differenti etnie e civiltà.

Al contrario, la visione «universalista», ritiene che emozioni e sentimenti siano realtà strutturali comuni e innate a tutta l’umanità, tesi sostenuta da neuroscienziati come i noti Antonio Damasio e Giacomo Rizzolatti, ma anche da psicologi (Paul Ekman e Silvan Tomkins) e persino da storici dell’arte come David Freedberg. Molto più semplicemente e riduttivamente noi ci accontentiamo di offrire al lettore un piccolo florilegio di sentimenti in una forma immediata, adottando come codice di riferimento – data la nostra limitata finalità di indole morale e religiosa – il testo biblico che è pur sempre il fondale non solo della spiritualità ma anche della civiltà occidentale.

In alcuni casi si registreranno espansioni che vanno oltre il puro e semplice sentimento, tenendo conto del fatto che le esperienze antropologiche fondamentali come, per esempio l’amore o la sofferenza, hanno sempre un risvolto emotivo-sentimentale. Per questo parlavamo sopra di florilegio, cioè di un’antologia che, simile alla corolla di un fiore, sceglie alcuni petali dalle sfumature diverse ma non esaurisce lo spettro della gamma cromatica di una determinata e complessa realtà umana. A questo proposito vorremmo solo ricorrere a un’esemplificazione lessicale. Scegliamo solo due estremi che pure affronteremo, cioè la gioia e la sofferenza. Ora, se noi sfogliamo il vocabolario dei sinonimi, ci accorgeremo della molteplicità variegata di queste due esperienze proprio sulla base dei termini omogenei. Così al «gioire» si accosta anche una sequenza di esperienze come l’allegria, il godimento, il piacere, la beatitudine, l’estasi, l’euforia, l’entusiasmo, la soddisfazione e così via. Similmente sotto l’ombrello del «dolore» o «sofferenza» c’è anche la pena, la disperazione, la solitudine, la tristezza, l’amarezza, la desolazione, l’abbattimento, le patologie depressive e altro ancora.

I sentimenti, poi, si muovono spesso in coppie antitetiche perché, per esempio, al piacere corrisponde in negativo il dispiacere, all’amore l’odio, alla simpatia l’antipatia, alla pietà la crudeltà, al rispetto il disprezzo, in una doppia lista infinita. Anzi, in alcuni casi lo stesso sentimento racchiude in sé quei due volti: nella reazione dell’ira si può celare la rabbia violenta, che è un vizio capitale, ma anche lo sdegno per l’ingiustizia che è, invece, una virtù, come è attestato dalla voce dei profeti biblici e dello stesso Cristo con le loro severe denunce del male. Lo stesso dicasi della gelosia che può scendere nell’invidia e nel possesso brutale ma è anche passione amorosa, tant’è vero che – come si vedrà – viene assegnata a Dio stesso, e nel Cantico dei cantici è sinonimo appunto di passione fiammeggiante che fiorisce dall’amore (Ct 8,6).

Un po’ sulla falsariga di questa duplicità, non necessariamente antitetica, abbiamo scelto nella serie delle voci della nostra mini-antologia di proporre una duplice titolatura. Al primo sentimento, che è quello dominante e talora evoca persino una realtà strutturale della persona umana che noi non vogliamo esaminare nella sua pienezza e vastità (pensiamo all’«amore» o alla «paura»), abbiamo associato una sua degenerazione («lussuria» per l’«amore») o una sua variazione (il «timore» è soprattutto «rispetto» e quindi consapevolezza dell’altro e della sua dignità, a differenza della pura e semplice «paura»). Le voci intenzionalmente non sono omogenee per ampiezza perché abbiamo riassunto in modo sintetico alcune categorie spirituali molto note e di facile approfondimento, riservando invece più spazio a certi sentimenti meno considerati nelle varie trattazioni teologico-morali. Inoltre, abbiamo in prevalenza accostato alle varie emozioni o sentimenti una loro sfumatura, come è evidente nei casi della «gioia-allegria», della «meraviglia-stupore», dell’«odio-astio», della «tristezza-malinconia » e così via.

In questa luce si comprende il sorprendente fenomeno dell’antropomorfismo applicato alla divinità dalla Bibbia (ma anche da altre religioni). Nel 2014 abbiamo condotto una breve ricerca proprio sulle emozioni di Dio, pubblicata sotto un titolo salmico, Ride Colui che sta nei cieli (cfr. Sal 2,4). È, quindi, possibile anche una «teologia delle emozioni e dei sentimenti» che si apra non solo alla dimensione morale umana ma anche a quella trascendente divina, adottando la via classica dell’«analogia».

Come suggerisce il Libro della Sapienza, «dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro Autore» (Sap 13,5). A lui, perciò, si può risalire anche attraverso tutto l’arcobaleno delle esperienze della sua creatura più alta e «molto buona/bella» (Gen 1,31), com’è quella umana, «sua immagine» (1,27). E il vertice di questo processo è nell’Incarnazione, in quell’uomo-Dio, Gesù Cristo, che «sa prendere parte alle nostre debolezze perché egli stesso è stato messo alla prova in ogni cosa come noi, eccetto il peccato» (Eb 4,15).

A margine notiamo che nel nostro profilo molto essenziale usiamo con una certa fluidità una terminologia categoriale che in sede psicologica è invece articolata. In tale prospettiva, infatti, il «sentimento» ha una risonanza meno intensa rispetto alla «passione» e più duratura riguardo all’«emozione». Ricordiamo, poi, come osserva Umberto Galimberti, che «in psicologia il sentimento è stato oggetto di analisi fenomenologiche e di considerazioni specifiche nell’ambito della psicologia del profondo». Un altro ambito rilevante che non appartiene all’itinerario proposto dall’alfabeto tematico che ora proponiamo.