I farisei non son così male

da Il Sole 24 Ore – 22 maggio 2022 – di Gianfranco Ravasi

 

In questo articolo il Cardinal Ravasi racconta delle ricerche condotte da un team di studiosi ebrei, protestanti e cattolici riuniti a Roma nel maggio 2019 in un convegno dedicato proprio a Gesù e i farisei.

Se si ricorre alla «garzantina» dei Sinonimi e contrari e si cerca la voce «fariseo», si legge: «falso, ipocrita, insincero». E se, per curiosità, si procede fino a «gesuita/gesuitico», si sente replicare questa sinonimia: «ipocrita, simulatore, insincero, doppio, subdolo». Due istituzioni religiose, separate tra loro da secoli, sono accomunate all’ombra della doppiezza e della simulazione, avendo come «contrario» la sincerità, la schiettezza, la lealtà, la franchezza, l’autenticità. Il dizionario ovviamente deve registrare uno stereotipo inchiodato nella mente di una società, anche se, come spesso accade, la realtà è ben più complessa e persino alternativa rispetto al luogo comune.

Ebbene, per uno di questi due soggetti, a smantellare le sovrastrutture semantiche dominanti, anzi, a minarle fin dalle loro fondamenta, forse con qualche eccesso «ecumenico», sono le ricerche condotte da un team di studiosi ebrei, protestanti e cattolici riuniti a Roma nel maggio 2019 in un convegno dedicato proprio a Gesù e i farisei, col suggello di un discorso di papa Francesco. Sono ora disponibili gli atti che comprendono ben 25 relazioni multidisciplinari che naturalmente partono dall’interpretazione del vocabolo stesso «fariseo», presente ben 98 volte nel Nuovo Testamento e assunto da un ineccepibile san Paolo senza esitazione nella sua ideale «carta d’identità» offerta ai Filippesi: «Circonciso all’età di otto giorni, della stirpe di Israele, della tribù di Beniamino, ebreo figlio di ebrei e, quanto alla Legge, fariseo» (3,5). Il valore del termine è discusso, pur prevalendo l’accezione «separati», ma l’interesse maggiore punta sul loro reale rapporto con Gesù.

C’è, infatti, un paradosso: da un lato, i Vangeli a prima vista rappresentano una relazione dialettica per non dire conflittuale; d’altro lato, se si appaiano le due concezioni, la gesuana e la farisea, si scoprono convergenze sorprendenti. In questa prospettiva, nel volume si apre un ventaglio di saggi molto interessanti che, ad esempio, mostrano quanto più in sintonia sia con loro Gesù rispetto all’altra corrente, quella aristocratico-sacerdotale-conservatrice dei Sadducei. Tra l’altro, si scopre nel Vangelo di Giovanni la presenza suggestiva di un’alta personalità farisea come Nicodemo. Variazioni di giudizio si registrano all’interno dell’opera duplice di Luca (Vangelo-Atti degli apostoli). Si contestualizzano anche le pagine evangeliche più aspre (Matteo 23); si allarga l’orizzonte entro il quale il fenomeno del fariseismo è innestato.

Così, si risale al giudaismo rabbinico precedente, contemporaneo e successivo; ci si inoltra nella sequenza dei secoli posteriori, a partire dai Padri della Chiesa e dalle eresiologie cristiane con la relativa apologetica, per arrivare fino a Lutero e a Calvino. Ma i capitoli che interesseranno maggiormente i nostri lettori sono altri, come quello che mette in scena l’arte figurativa, un terreno inesplorato comprendente mosaici, codici pergamenacei, stampati, dipinti, disegni, secondo un’iconografia a vario soggetto (Nicodemo, la celebre parabola del fariseo e del pubblicano di Luca 18,10-14, la scena dell’adultera e così via). Oppure il saggio sulla famosa Passione di Oberammergau, rappresentazione drammatica in vigore da oltre 350 anni. O ancora quello sui farisei nella filmografia: la lista è lunga ma si impone il trittico del Vangelo secondo Matteo di Pasolini, del Gesù di Nazareth di Zeffirelli e del Jésus de Montréal di Arcand.

Per consonanza, anche se per ragioni di spazio solo in appendice, collochiamo la preziosa ristampa delle Istituzioni dell’Antico Testamento di Roland de Vaux, un vero e proprio «classico», nonostante la datazione originaria (1957) e i necessari aggiornamenti. L’autore, nato a Parigi nel 1903, frate domenicano nel 1929, morto nel 1971, dopo una vita trascorsa in Israele e Giordania, è stato un’autorità nel campo dell’archeologia (noti sono i suoi scavi nel sito di Qumran della cui comunità giudaica pubblicò anche alcuni dei manoscritti scoperti) e della storia dell’Israele biblico, rivelando la sua sensibilità culturale di laureato in lettere alla Sorbona e di direttore dell’«École biblique», un importante ente accademico francese di Gerusalemme.

Difficile è delineare l’architettura di questo suo studio da molti considerato il suo capolavoro, frutto di decenni di ricerche storiche, archeologiche, epigrafiche, letterarie. La tipica clarté francese permette, però, di individuare una mappa di base che procede dall’antefatto nomadico-tribale di Israele la cui impronta permarrà anche quando il popolo si sarà stanziato nella terra di Canaan, organizzandosi in strutture politiche, sociali e religiose. Esse configurano i punti cardinali della mappa: le istituzioni familiari, quelle civili, le militari e le religiose.

A queste ultime è riservato lo spazio più ampio, considerata la documentazione biblica disponibile. De Vaux ci conduce a visitare idealmente gli antichi santuari semitici ed ebraici per guidarci poi nell’area del tempio gerosolimitano ove viene centralizzato il culto. Si sosta davanti all’altare e ai sacrifici rituali, seguendo l’opera liturgica di sacerdoti e leviti, e si partecipa alle scansioni dei tempi sacri (feste e sabati). Un’esperienza straordinaria, quasi dal vivo, che va ben oltre l’arido elenco che siamo stati costretti a proporre in questa segnalazione.