Dizionarietto dall’«Agape» a «Zwingli»

da Il Sole 24 Ore – 31 luglio 2022 – di Gianfranco Ravasi

 

In questo articolo il Cardinal Ravasi ci guida attraverso i temi, i concetti e i simboli teologici.

È un po’ scontato che la parola «teologia» sia nata nell’Ellade, dato che intreccia due vocaboli greci, theós, «Dio», e lógos, «discorso», divenendo così la riflessione critica sulla trascendenza divina, sulle verità rivelate, sul mistero sacro. Meno noto è, invece, che a coniare questo termine sia stato Platone e precisamente nella Repubblica(379a) ove la definiva come la rappresentazione di Dio nella sua essenza «sia in versi epici o lirici, sia nei testi delle tragedie». Il suo discepolo Aristotele, nella Metafisica(1026a), accostandola alla filosofia e alla matematica, la collocava tra le scienze «contemplative», come la più eletta, avendo per oggetto la natura divina.

Fatta questa premessa filologica, ne aggiungiamo una più epistemologica. Avendo un suo statuto specifico – che la distingue, perciò, dalla semplice religiosità o dalla devozione e dalla spiritualità generica – la teologia nei secoli si è dotata di un suo linguaggio specifico, come accade alle altre discipline. Esso è modellato secondo le epoche storiche e si cristallizza in forme e formule canoniche, talora così connotate da diventare autoreferenziali (è il caso anche di certi teologi contemporanei dal dettato così esclusivo da rasentare l’oscurità oracolare). È, quindi, necessario a chi non pratica la materia in modo «professionale» ricorrere a una guida esplicativa, spesso necessaria anche per i non credenti perché i concetti, i temi, i simboli teologici hanno nei secoli condizionato, alimentato, provocato la filosofia, le arti, la cultura e la prassi generale.

È nato, così, un Dizionarietto di teologia per laici in una collana di analoghi sussidi per le più diverse discipline e soprattutto per alcune selezioni linguistiche mirate (l’arabo, il sanscrito e il tedesco dei filosofi, l’ebraico, il greco e il latino con terminologie specifiche). In realtà si tratta di un rifacimento di un Piccolo Lessico di Teologia apparso nel 1989, che è ora rivisitato, aggiornato e rielaborato da una pattuglia di giovani teologi guidati da un loro noto collega, il bresciano Giacomo Canobbio. La sequenza delle 588 voci ha come estremi alfabetici l’«abito», che non è però una veste bensì l’habitus classico, ossia «un modo di essere o di comportarsi stabile» dalle implicazioni morali, e «Zwingli», il famoso riformatore protestante svizzero, fiero oppositore della «transustanziazione» eucaristica (altro lemma presente nella serie).

È interessante scoprire, accanto a terminologie vetuste, legate al linguaggio teologico del passato soprattutto trattatistico, le nuove acquisizioni basate su approcci finora inediti. Per rendere l’idea, aprendo a caso il dizionario, ci imbattiamo ad esempio in «extradiegetico», aggettivo tipico della recente narratologia, accostato alfabeticamente all’antico e celebre «extra Ecclesiam nulla salus» che tante discussioni ha fatto proliferare nei secoli. Così all’«ontologia», cavallo di battaglia della filosofia cristiana, si accosta un inatteso «ontico e ontologico», di matrice heideggeriana. Tuttavia, come è naturale, imperano le grandi categorie: se stiamo solo alla prima lettera dell’alfabeto, sempre semplificando, ci imbattiamo in «agape, allegoria, analogia, anima, antropologia, apologetica, arianesimo» e così via.

Rimanendo nell’orizzonte della teologia, ci spostiamo però nella modernità, facendo salire sulla ribalta una sfilata eterogenea ma suggestiva di 26 teologi considerati – forse con un po’ di eccesso – i «giganti» recenti sulle cui spalle si deve salire per intuire il futuro che ci attende (secondo la celebre metafora medievale, cara a Eco e coniata da Giovanni di Salisbury). Come accade in ogni selezione, possono stupire certe presenze e, in questo caso, soprattutto le assenze. Esse sono giustificate da un criterio estrinseco forse necessario ma discutibile. Infatti, come scrive nella sua introduzione Marinella Perroni, «abbiamo deciso di occuparci solo di quei teologi che sono morti nelle prime due decadi di questo secolo».

In questo modo sono emarginati i veri giganti del secolo scorso sulle cui spalle si vedrebbe molto più lontano di quanto è possibile con questi pur pregevoli autori, alcuni decisamente minori, i cui ritratti sono affidati a teologi o studiosi italiani. Certo, non mancano figure che hanno lasciato una traccia significativa; la lettura dei loro scritti è stimolante; le loro proposte possono generare percorsi evolutivi e rivelare anche le involuzioni che la riflessione post-conciliare ha subìto con strascichi pastorali. Anzi, alcuni pochi hanno una statura degna per certi versi di essere accostati a quei «giganti» del secolo scorso.

Pensiamo, ad esempio, a Paul Ricoeur e alla sua ermeneutica simbolica, a Olivier Clément, costruttore di ponti tra le due sponde d’Oriente e d’Occidente della Chiesa, a Jacques Dupuis, maestro di un genuino pluralismo religioso, a Martin Hengel e Edward Schillebeck, studiosi di cristologia da angolature diverse, al polimorfo Raimon Panikkar, pensatore da crinale, all’acuto interprete di una «teologia politica» come Johann Baptist Metz, né si può ignorare l’influsso interculturale e interreligioso potente e provocatorio di Hans Küng. Naturalmente altri dei 26 scelti sono interessanti ed è proprio per questo che il volume diventa prezioso per ricomporre un affresco del pensiero teologico cristiano più recente.