
23 Mag Dialogo, ricerca di collegamenti possibili fra umanità distanti
Discorso di Padre Laurent Mazas, direttore esecutivo del “Cortile dei Gentili” alla Quinta Giornata Interculturale Bicocca “Ibridazioni Connessioni. Periferie, antirazzismi, ricerca di dialoghi possibili”.
Il riferimento all’esperienza del “Cortile dei Gentili” ha un significato all’interno della tematica della 5° Giornata Interculturale Bicocca dal tema “Periferie, Antirazzismi, ricerca di dialoghi possibili”. Infatti, questa iniziativa del Pontificio Consiglio della Cultura, ha come scopo di mettere in connessione, cioè in dialogo, credenti e non credenti, davanti alle grandi sfide a cui ci sottopone la società contemporanea.
Il dialogo può essere definito proprio come il metodo del “Cortile dei Gentili” che tramite esso, tenta di superare la diffidenza tra due mondi apparentemente inconciliabili e fra umanità distanti, un dialogo che si svolga intorno alle interrogazioni radicali che toccano i grandi temi come la vita e la morte, il vero e il falso, l’amore e il dolore, il bene e il male, libertà e solidarietà, parola e silenzio. Un dialogo che non esiti anche a inoltrarsi sui sentieri d’altura della trascendenza e del mistero, ove compare la domanda estrema sull’Ignoto, lo Sconosciuto.
Il “Cortile dei Gentili” è, quindi, il luogo ove si cercano percorsi comuni, senza scorciatoie ma anche senza diversivi e dispersioni, ove l’ascolto è specifico, pur nella differenza delle prospettive. Uno scrittore cattolico francese, Pierre Reverdy, era convinto che «ci sono atei feroci che si interessano di Dio più di certi credenti frivoli e leggeri» e credenti che si interessano dell’uomo e del mondo molto più di certi atei banali e sarcastici. Il dialogo che cerchiamo di tessere sarebbe, allora, tra persone intelligenti e appassionate, tese a trovare un senso, una risposta, una verità.
Il vocabolo “dialogo” significa l’uso “condiviso” (dià) della “ragione” (lógos), il fatto che due discorsi, due ragioni (lógoi)s’incrociano (dia)e si attraversano reciprocamente per arricchirsi nel superamento di una dialettica di opposizione. È un confronto che dev’essere condotto con libertà e rigore, senza esclusivismi radicali o sincretismi facili, accettando la sfida di inoltrarsi in terreni ignoti e anche di approdare a porti reciprocamente distanti. Ma dia in greco significa anche approfondimento. Si tratta di qualcosa di serio! L’immagine del duello e del duetto illustra bene la metodologia del dialogo. L’incontro tra credenti e “gentili”, non deve avere la forma di uno scontro che ha come fine ultimo l’eliminazione dell’avversario, al contrario, deve dar vita ad un duetto di voci capaci di creare un’armonia, senza però rinunciare alla propria identità individuale.
Come ha scritto nel suo ultimo libro il padre Enzo Bianchi, infatti, “il dialogo tra credenti e non credenti è la via umana, condivisa da tutti, è un metodo e uno spazio sostitutivo della violenza”.
La condizione di partenza affinché la forza della parola rifiuti di affidarsi alle parole della forza, è di aprirsi al mondo con la mitezza che già Paolo VI e il Concilio Vaticano II avevano indicato “come il carattere proprio del dialogo” (Ecclesiam Suam). E mi piace ricordare che proprio un laico come il filosofo Norberto Bobbio ha scritto anni fa un libro intitolato “Elogio della mitezza”, da considerare come il valore che consente di eliminare l’intolleranza e la discriminazione.
Anche Papa Francesco nel 2014 ha detto, durante una meditazione mattutina nella Cappella di Santa Marta: “Il dialogo si fa con l’umiltà anche a costo di ingoiare tanti rospi perché non bisogna lasciare che nel nostro cuore crescano muri di risentimento e di odio”.
La mitezza si deve accompagnare all’umiltà, e alla capacità di “farsi tutto a tutti” che, secondo Papa Francesco, sono i tre elementi base del dialogo. Poi il Papa ha lanciato un grido d’allarme sui muri e le barriere che allontanano umanità distanti fino al punto di costringere chi non può e non sa reagire ad abituarsi all’orrore.
Il vocabolo “dialogo”, dunque, significa l’uso “condiviso della ragione”; una ragione che è sinonimo di confronto da condurre con libertà e rigore senza esclusivismi radicali o sincretismi facili, accettando la sfida di inoltrarsi in terreni ignoti e anche approdare a porti reciprocamente distanti.
Un altro vocabolo importante è “ricerca”, sulla scia del monito che già brillava nell’Apologia di Socrate in cui Platone metteva in bocca al suo maestro questa frase illuminante: «Una vita senza ricerca non val la pena di essere vissuta». Non per nulla, il termine stesso “credente” non indica chi ha creduto una volta per tutte, ma chi – obbedendo al participio presente del verbo – rinnova il suo Credo incessantemente.
Il “Cortile dei Gentili” è uno spazio aperto, dove l’arroganza, la protervia e la prepotenza vengono messe in second’ordine da un profondo desiderio di scoprire, di comunicare, perché – nonostante i conflitti che attraversano molte parti del mondo – questo è il tempo del dialogo, cioè del rispetto e della dignità che consentono di camminare su sentieri dove si abbandonano le riserve mentali e si ricerca il bene comune e la verità.
Nella nostra società questo desiderio è molte volte minacciato da risentimenti di odio che non riconoscono nemmeno le eredità e i patrimoni culturali dei popoli. E qui ritorniamo alla paura espressa più volte da Papa Francesco sui muri e sulle periferie, che tendono ad annegare i principi della legalità e della solidarietà. In alcuni casi si tratta di veri e propri muri fisici e materiali, in altri di muri ideologici, culturali; è il cosiddetto etnocentrismo, corrente che ha radici antiche ma che oggi più che mai si torna ad esasperarsi in ambiti politici o religiosi di stampo integralistico, aggrappati fieramente alla convinzione che la propria civiltà, il proprio popolo, la propria cultura siano superiori in tutto alle altre.
All’etnocentrismo si è sempre opposto ilcomparativismo, che analizza le diverse culture sviluppatesi nel tempo e nello spazio e ne trae somiglianze ed elementi costanti invariabili. Nessuno dei due approcci, tuttavia, è attuale; dovremmo, infatti, parlare di interculturalità, intesa come modus di pensare e operare nel pieno rispetto e nella consapevolezza dell’eterogeneità culturale e socialeche caratterizza il mondo di oggi.
Interculturalità, dunque, significa complesso impegno di confronto e dialogo, di interscambio culturale e spirituale.
Per questo il “Cortile dei Gentili” cerca – attraverso numerose iniziative – di avvicinare ambienti e mondi diversi. Così è stato negli ultimi anni, grazie alla spinta del Cardinale Ravasi che presiede il Pontificio Consiglio per la Cultura, e così continua ad essere; quest’anno, per esempio, numerosi progetti del “Cortile dei Gentili” hanno come tema principale la ri-progettazione urbana delle periferie e delle città e l’arte e l’architettura come strumenti di riqualificazione, inclusione e partecipazione attiva.
Questi nostri progetti coinvolgono prevalentemente bambini e i giovani, cittadini del domani, sognatori consapevoli, architetti di un presente che deve essere accogliente, rispettoso e inclusivo.
Con la 6° edizione del “Treno dei Bambini”, “Città amica”, per esempio, coinvolgeremo i bambini delle grandi periferie di Roma (Trullo e San Basilio) e Milano (Gallaratese, Corvetto, Barona e via Padova) in un percorso pedagogico alla scoperta del proprio quartiere; una didattica del fare, per elaborare e dar voce alle idee e alle soluzioni dei più piccoli, per conoscere e migliorare la qualità della vita nei luoghi in cui vivono.
Al centro del percorso pedagogico del Treno dei Bambini c’è l’idea di rendere i più piccoli soggetti attivi portatori di pensiero e dunque attori da coinvolgere nel “tavolo” della partecipazione sociale. Siamo convinti, infatti, che la “progettazione partecipata” e la “rigenerazione urbana” (definizioni che appartengono al lessico abituale degli urbanisti e degli architetti) possano partire anche dallo sguardo e dalla cultura dell’infanzia e che, inoltre, il coinvolgimento dei bambini nelle problematiche dei quartieri delle periferie urbane possa essere utile per tutti gli abitanti.
Un altro esempio di dialogo interculturale è un nostro progetto in Africa, tra il Mali e il Kenya, con un duplice obiettivo: offrire un’alternativa concreta ai ragazzi di strada, attraverso un percorso pedagogico ed educativo, e sensibilizzare l’opinione pubblica italiana sulle condizioni di vita dei giovani di la, promuovendo il dialogo interculturale e la solidarietà.
Nella convinzione che l’arte in generale, e la fotografia in particolare, siano un potente strumento educativo e comunicativo, il “Cortile dei Gentili” – in collaborazione con un fotografo italiano e un fotografo della Costa D’Avorio – sta realizzando a Nairobi un laboratorio fotografico e dei workshop per i giovani che vivono in condizioni svantaggiate, per permettere loro di apprendere l’arte della fotografia e costruire un percorso socio-educativo che crei alternative professionali e sociali concrete.
Gli scatti realizzati durante il laboratorio saranno esposti a Roma per mostrare, attraverso il potere delle immagini, il percorso svolto dai ragazzi e le condizioni di vita in Kenya e in Mali, realtà troppo spesso ignorata. Le opere potranno essere acquistate e tutto il ricavato sarà destinato a sostenere nuove edizioni del progetto.