Università, il fragile mosaico del domani

Nelle classi silenziose e tra i corridoi affollati delle università si intrecciano storie di ambizione, scoperta e speranza. L’università, per definizione, è lo spazio dove il sapere incontra l’umano, dove si forma una società più consapevole, più giusta. Ogni aula è un piccolo crocevia di speranze, un microcosmo di potenzialità. Parrebbe, tuttavia, che negli ultimi anni il loro splendore vada offuscandosi: il sapere rischia di piegarsi al peso dell’immediato, la ricerca si frammenta, l’accesso si restringe. Nell’epoca della tirannia del subitaneo, delle pubblicazioni stringenti, delle metriche fredde e delle competenze istantanee, il sapere viene soffocato dalla necessità di giustificarsi in termini di mercato, e dedicare il giusto tempo alla ricerca e alla riflessione sembra essere una pratica appartenente a un’altra era.

Non è solo una questione di numeri, sebbene questi ultimi colpiscano: l’ISTAT ci dice che, in Italia, solo il 30% dei giovani si laurea. È una questione di senso. L’università è ancora un luogo di profondità, o si è trasformata in una fabbrica di crediti formativi e tirocini curriculari non pagati? E la sua universalità, quella promessa inscritta nel suo nome, resiste in un contesto che esclude sempre più chi non può permettersi tasse crescenti, affitti insostenibili, un futuro incerto?

Eppure, c’è ancora qualcosa di sacro nelle sue biblioteche colme di libri polverosi, nei laboratori illuminati a tarda notte, nei dibattiti che accendono il pensiero. L’università potrebbe essere il baluardo contro l’appiattimento culturale, il luogo dove non si cerca solo una risposta, ma si impara a porsi le giuste domande – dove la conoscenza non è strumentale, ma trasformativa.

Ma può un’istituzione incastonata tra burocrazie e tagli di bilancio mantenere vivo questo ideale? Può davvero essere il faro che illumina le sfide del domani, o rischia di essere spenta dal pragmatismo del presente? Forse, più che un tempio, l’università è un mosaico fragile, fatto di contraddizioni e potenzialità. E allora la vera domanda non è cosa l’università sia oggi, ma cosa vogliamo che domani diventi. Potremmo lasciarla ridursi a una pallida ombra di ciò che era, oppure possiamo immaginare insieme un luogo dove l’intelletto torni a incontrare l’anima, dove non si apprende solo per sé stessi ma per il mondo. Un luogo vivo, pulsante, capace di abbracciare non solo ciò che è già noto, ma anche l’ignoto, e capace di essere non solo custode del passato, ma architetto del futuro. Sopra ogni cosa, infatti, l’università deve essere la promessa che l’ingegno umano può costruire qualcosa di migliore. È il terreno dove germogliano le idee che risponderanno alle domande che oggi nemmeno sappiamo porci. E se ci fosse una domanda non scritta, non insegnata, che aspetta solo di essere posta? Saremmo capaci di leggerla?

Il futuro non aspetta. Si costruisce oggi, passo dopo passo, domanda dopo domanda. Forse, è questo il grande compito dell’università: ricordarci che ogni mente illuminata porta con sé la luce per un mondo migliore. Sta a noi decidere se alimentare quel fuoco.

 

Beatrice Agnese Sapone