Quel che oggi ci dice Cesario di Arles

da Il Sole 24 Ore – 20 ottobre 2024 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Card. Ravasi esplora la figura di Cesario di Arles, vescovo francese venerato come santo dalla Chiesa, focalizzandosi sulle sue prediche che offrono un ampio ventaglio di questioni teologiche e uno spaccato dei tempi.

È una vera e propria prateria che si distende in varie regioni e in essa pascolano e sostano torme di figure insaziabili. È stata proprio una di queste figure a ricorrere a una simile metafora pastorale per descrivere uno sterminato repertorio letterario, quello cristiano latino e greco (ma non mancano altre lingue del Vicino Oriente) dei primi secoli, fino al sorgere dell’era altomedievale. Si trattava di uno dei tanti studiosi, spesso dotati di un’impressionante acribia, che si consacrano anche a un solo autore per un’intera vita.

Essi, in verità, sono – come si diceva – torme che si ritrovano non solo nei congressi specialistici di quella che viene un po’ approssimativamente definita “patristica” (studio dei Padri della Chiesa e di scrittori vari cristiani), ma soprattutto nelle collane editoriali. In quell’orizzonte culturale e teologico esse inanellano centinaia di personaggi studiati minuziosamente nelle loro opere. Anche l’Italia, e non solo la Germania, la Francia o l’Inghilterra si distingue per questa raffinata produzione critica.

In essa spicca, pur non essendo unica, l’editrice romana Città Nuova, che ha allestito un ventaglio variegato di edizioni accurate di quegli autori antichi, alcuni dei quali in grado di occupare la sequenza dei tomi di un’intera collana specifica (pensiamo solo a s. Agostino, a Tertulliano o a s. Girolamo). Ora, però, segnaliamo una serie di volumi più accessibili ma altrettanto preziosi: sono i “Testi patristici” che – col libro che presentiamo – hanno raggiunto il numero 278. Tutto era iniziato col primo tomo dedicato a Origene e al suo Commento al Cantico dei Cantici a cura di quel grande studioso a cui dobbiamo l’immagine d’apertura da lui proposta in una conferenza, Manlio Simonetti (1926-2017) della Sapienza di Roma. A fondare questa collana era stato un altro importante docente Antonio Quacquarelli (1918-2001), e ora essa è sotto la guida di un professore altrettanto rilevante, emerito dell’Università di Pisa, Claudio Moreschini.

Ma torniamo al nostro numero 278, occupato da Cesario, vescovo di Arles nelle Gallie, un avamposto allora assediato dai “barbari”. Egli era nato nel 470 ed eletto a quella sede sul delta del Rodano nel 503. Il 6 ottobre 1822 questa antica diocesi è stata aggregata all’altrettanto antica Aquensis, ossia Aix-en-Provence. Da vescovo esemplare, l’opera emblematica di Cesario è stata la raccolta dei suoi Sermoni al popolo che ora possiamo ascoltare quasi dal vivo nella versione trasparente, accompagnata da una vasta introduzione, curata da due docenti emeriti della Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale in Napoli, Pasquale Giustiniano e Luigi Longobardo.

A loro si deve anche una vera e propria mappa dei temi che sono in filigrana a queste ottanta prediche, il cui percorso si dipana secondo un duplice livello. Da un lato, si ricompone un arco teologico e morale molto ramificato: si va dal rilievo della Parola di Dio agli stili di vita, dal confronto coi non cristiani (ebrei e pagani) all’impegno di carità; ci si leva verso la vetta ideale di una comunità ecclesiale di taglio quasi monastico e si piomba anche nel borgo oscuro dei vizi con una concretezza vigorosa (si leggano i sermoni 46 e 47 sull’ubriachezza). D’altro lato, però, si riesce a intravedere in dissolvenza lo statuto storico-socio-culturale delle Gallie: le classi dei nobili, degli operai, dei contadini e degli schiavi, le opzioni pastorali del clero e dei vescovi confratelli di Cesario, l’emergere di nuovi ideali monastici, la temperie morale generale, anche con qualche stereotipo (ad esempio, sulle donne, sia pure senza eccessi misogini).

Tanto altro si scopre nella lettura-ascolto del grande predicatore attraverso la limpida versione delle sue pagine e la guida offerta in questo volume. In ideale appendice, stando sempre nelle “praterie” letterarie patristiche, proponiamo invece una curiosa inversione. Partiamo da un vescovo e papa come Giovanni XXIII e seguiamo i suoi percorsi a ritroso proprio nei testi dei Padri che assumeva a ideale sorgente della sua vicenda personale spirituale e della sua missione pastorale. A far risuonare le voci antiche attraverso la parola di papa Roncalli è un altro grande studioso della letteratura cristiana antica, Luigi Franco Pizzolato, per oltre quarant’anni docente nell’Università Cattolica di Milano, capace però di confrontare la vitalità di quell’eredità con la modernità (al riguardo, posso attestare il confronto e il contributo che il cardinal Carlo Maria Martini chiedeva a lui quando doveva elaborare testi dai risvolti sociali contemporanei).

Roncalli-Giovanni XXIII veniva da una formazione storica e, quindi, risaliva con passione alle fonti che faceva poi fiorire nelle applicazioni concrete alle esperienze della sua vita personale e pastorale, spesso reiterandole nel variare dei contesti. Pizzolato seleziona 53 massime dei Padri della Chiesa e intesse un’interfaccia tra queste «parole memorande» e la loro eco nell’esistenza di Roncalli. Ne deriva quasi una narrazione in cui la ieraticità di molte citazioni si stempera nella quotidianità degli eventi vissuti dal futuro pontefice. E l’approdo non può essere che nella frase più rappresentativa dell’anima “giovannea”: Voluntas Dei, pax nostra, la cui matrice è di Gregorio Nazianzeno, illustre Padre della Chiesa di Cappadocia nel IV secolo (e Roncalli era stato nunzio in Turchia).

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