30 Ott Quando Gesù agiva da «rivoluzionario»
da Il Sole 24 Ore – 27 ottobre 2024 – di Gianfranco Ravasi.
In questo articolo il Card. Ravasi indaga la figura di Gesù in qualità di «rivoluzionario» a partire dalle considerazioni di Oscar Cullman, grande studioso neotestamentario nominato osservatore protestante al Concilio Vaticano II da Giovanni XXIII e da Paolo VI .
Ho avuto la fortuna, da giovane studente dell’Università Gregoriana, di ascoltarlo in un paio di conferenze a Roma. Allora egli era stato nominato osservatore protestante al Concilio Vaticano II su invito personale di Giovanni XXIII e di Paolo VI. Grande studioso neotestamentario, è stato anche l’artefice di un intenso dialogo ecumenico. Sto parlando di Oscar Cullmann, nato a Strasburgo nel 1902 e morto a Chamonix nel 1999, dopo un’ampia carriera accademica e un’imponente bibliografia, spesso tradotta anche in italiano.
Egli è già apparso su queste pagine in una recensione del suo saggio Dio e Cesare sul rapporto tra fede e politica (14 gennaio 2024). Ripresentiamo questo studioso perché è stata recentemente riedita per la quinta volta la versione italiana di un suo testo breve ma incisivo, emblematico già nel titolo, Gesù e i rivoluzionari del suo tempo, pubblicato per la prima volta in francese e tedesco nel 1970. Alla base possiamo forse porre la più forte domanda che Cristo fa serpeggiare nel suo uditorio, tra le 217 registrate dai Vangeli, e che suona così: «Ma voi, chi dite chi io sia?» (Matteo 16,15).
Per elencare tutte le risposte che sono state offerte nei secoli si dovrebbe compilare un intero volume, tanto esse sono disparate e mutevoli, adoranti e blasfeme, profonde e banali. Nel 1972 il filosofo marxista praghese Milan Machove scrisse un intero saggio persino su Gesù per gli atei. Proprio in questo abito affiorava la reiterata teoria del Cristo eroe rivoluzionario, strappato dagli altari e immerso nelle strade agitate della storia reggendo la bandiera della liberazione dei popoli oppressi. In altro senso, ma sempre su una traiettoria analoga, l’enfasi sfrenata di Giovanni Papini non esitava a celebrarlo come «il più grande Rovesciatore, il supremo Paradossista, il Capovolgitore radicale e senza paura».
Ma ritorniamo a Cullmann che, più rigorosamente, ci riporta alle coordinate storiche del maestro ambulante di Nazareth. È noto, infatti, che nel I secolo sulla provincia romana di Palestina si stendeva la cappa di piombo del potere imperiale, coi suoi funzionari avidi e spesso corrotti, con le sue forze d’occupazione non di rado costituite da mercenari, con una classe politica e sacrale giudaica talora connivente o impotente. È in questo contesto che si ramifica, prima in maniera sotterranea e poi in forma esplosiva, un movimento rivoluzionario articolato in due filoni: gli Zeloti, che puntavano a una riforma radicale del giudaismo politico e sacerdotale, così da opporsi alle ingerenze e alle repressioni romane, e i cosiddetti Sicarii, una denominazione derivante dal latino, sica, il “pugnale” da essi impugnato per compiere attentati terroristici, col programma di una liberazione espellendo la presenza imperiale dalla loro terra.
Celebre fu la resistenza del primo movimento – quello più organizzato e politico, ossia gli Zeloti – nella fortezza di Masada, sulla costa occidentale del Mar Morto, opponendosi strenuamente nel 74 d.C. alla “bonifica” della regione che la X Legione Fretense stava compiendo sulla regione, dopo la distruzione di Gerusalemme a opera del futuro imperatore Tito. Nel contesto antecedente della solita occupazione romana (siamo negli anni 30 del I secolo), Gesù come si era comportato, tenendo conto che la sua predicazione registrava un notevole seguito popolare? I dati evangelici, al riguardo, si rivelano variegati e hanno ammesso oscillazioni ermeneutiche antitetiche che vanno da un suo impegno rivoluzionario a una sorta di collaborazionismo, con molteplici variazioni intermedie, spesso ricorrendo a categorie moderne di analisi socio-politica.
Trattandosi di uno scritto esemplare per essenzialità (si tratta infatti del succo – in una trentina di pagine che sono il corpo sostanziale del libro – di una ricca ricerca che si intuisce in filigrana), segnaliamo solo la trilogia dei percorsi interpretativi proposti da Cullmann. Innanzitutto la questione del culto: Gesù impugna la frusta e purifica il tempio di Sion da ogni interesse economico, critica aspramente la classe sacerdotale, intellettuale e politica, smitizza una certa legislazione e tradizione sacrale. La sua, però, non è un’operazione distruttiva pura e semplice, ma è una proposta segnata da una prospettiva radicale di taglio escatologico.
Le altre due questioni vagliate dallo studioso sono più direttamente innestate nella storia di quegli anni: l’azione sociale che punta a snidare e a giudicare le clamorose ingiustizie, e quella politica per un nuovo ordine di gestione della cosa pubblica, componente sulla quale calcheranno la mano i suoi accusatori del Sinedrio per ottenerne la condanna imperiale. In questo duplice orizzonte entra in scena la categoria “Regno di Dio” che è nel cuore del suo messaggio e che si colloca oltre il dilemma dell’adesione all’ordine stabilito o della rivoluzione.
Cristo è contro una teocrazia (esemplare è il celebre «Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio»), evita una miscela tra fede e politica e un messianismo ambiguo, eppure il suo annuncio di un Regno di giustizia, a cui ogni persona deve dedicarsi con un’opzione esistenziale, non è un invito a decollare dalla realtà storica, ma neppure a esaurirsi in un mero progetto gestionale della società. Citando un suggestivo scritto del II secolo, la Lettera a Diogneto, Cullmann conclude che «i discepoli di Cristo in nessuna maniera si isolano dagli altri uomini… “Abitano nel mondo, ma non sono del mondo”».