Isola

Le isole hanno da sempre alimentato l’immaginario collettivo come luoghi di pace e bellezza incontaminata. Spiagge di sabbia bianca, acque cristalline e natura rigogliosa: queste terre circondate dal mare rappresentano rifugi idilliaci, lontani dal caos della vita quotidiana. Oggi, tuttavia, un nuovo tipo di isola si sta formando nei nostri oceani: le isole di plastica. Nel Pacifico, una massa galleggiante di rifiuti plastici, conosciuta come il Great Pacific Garbage Patch, ha raggiunto dimensioni impressionanti, stimata tra 700.000 e 1.600.000 chilometri quadrati, una superficie più grande di molte nazioni; e non è nemmeno l’unica, se ne stimano almeno  altre cinque di dimensioni più ridotte.

Questo fenomeno non è solo un disastro ambientale che minaccia la fauna marina e gli equilibri ecosistemici, ma anche un simbolo tangibile dell’inquinamento globale e dell’egoismo umano. Ogni anno, secondo le Nazioni Unite, circa 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono negli oceani, un dato che ci impone una profonda riflessione sulle conseguenze delle nostre azioni individuali e collettive.

Ma la parola “isola” non è solo un sostantivo affascinante; può anche trasformarsi in un verbo: “isolarsi”. In un’epoca in cui la tecnologia ci offre strumenti senza precedenti per connetterci, paradossalmente ci troviamo sempre più distanti gli uni dagli altri. Un tempo, il telefono era un mezzo per avvicinare persone lontane; oggi, spesso ci allontana da chi ci è vicino. Quante volte ci ritroviamo in una stanza piena di persone, ognuna immersa nel proprio schermo, senza scambiare una parola? La connessione virtuale ha sostituito l’interazione reale, creando una società in cui l’individualismo prevale sulla collettività. L’isolamento può sfociare anche in atteggiamenti patologici riconducibili al fenomeno, nato in Giappone, degli “HIKIKOMORI”, giovani adulti che si ritirano volontariamente dalla vita sociale per lunghi periodi di tempo. Bisogna comunque distinguere l’isolamento temporaneo che ci permette di ritrovarci con noi stessi, ad esempio quando preghiamo o meditiamo, e il ritiro prolungato che può diventare una fuga dalla realtà.

La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente accentuato questo isolamento di lungo termine. Quello che era inizialmente un distanziamento fisico necessario si è trasformato in una distanza mentale ed emotiva. Abbiamo scoperto nuovi modi di connetterci virtualmente, sia nel lavoro che nella vita personale, ma queste connessioni spesso mancano di profondità e autenticità.

Nonostante queste distanze e le “isole” che abbiamo creato attorno a noi, abbiamo la possibilità di cambiare rotta. Le isole di plastica nel Pacifico e il nostro isolamento sociale sono due facce della stessa medaglia: entrambi sono il risultato di scelte che possono essere riviste e modificate. Possiamo scegliere di riavvicinarci, di ricostruire relazioni autentiche e di agire in modo    responsabile    verso    l’ambiente    e    verso    gli    altri.

Il destino del nostro pianeta è nelle nostre mani. Ma siamo davvero consapevoli del potere che abbiamo di trasformare l’isolamento – mentale e fisico – in un’opportunità di connessione e rinascita? Ogni gesto, per quanto piccolo, può alimentare la corrente del cambiamento, una spirale di rinnovamento. Siamo disposti a scegliere la solidarietà per affrontare insieme le sfide che ci attendono? Come vogliamo rispondere a questa chiamata: continueremo a navigare separati, o ci uniremo per plasmare un futuro migliore? Le risposte sono dentro ciascuno di noi, pronte a guidarci verso l’azione.

 

Zoe Baccini

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