Misericordia e diritto in equilibrio

da Il Sole 24 Ore – 1 maggio 2022 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinal Ravasi parla di una raccolta di saggi pubblicata da un canonista da anni in servizio presso la Santa Sede con diversi incarichi, il vescovo Giuseppe Sciacca.

«La salvezza delle anime deve sempre essere nella Chiesa la legge suprema». Sono queste le parole finali dell’ultimo canone, il 1752, del Codice di diritto canonico promulgato nel 1983 e tuttora in vigore. Questa dichiarazione fa comprendere l’unicità della legge suprema della Chiesa cattolica rispetto ad altri ordinamenti giuridici. Sia antecedentemente al famoso Decretum Gratiani (1315 ca.), che è stato la prima raccolta sistematica di diritto canonico, sia nei secoli successivi, questa singolarità fu conservata nel costante equilibrio tra le componenti tradizionali, talora attinte anche al diritto romano, e la progressiva evoluzione dell’ecclesiologia. Un esempio per tutti, basti pensare al trapasso segnato dal Concilio Vaticano II riguardo al concetto di Chiesa da societas perfecta a «popolo di Dio» con la dimensione della comunione fraterna.

Questo discorso storico e teologico di adattamento tra i princìpi e la loro applicazione comprende nell’ambito della giurisprudenza ecclesiale il ricorso alla misericordia, all’humanitas-benignitas-pietas, all’aequitas e così via, in modo da temperare l’approccio meramente legale. È un po’ questo il fondale dal quale far emergere la raccolta di saggi pubblicata da un fine canonista siciliano da anni in servizio presso la Santa Sede con diversi incarichi, il vescovo Giuseppe Sciacca. Suggestivo è il titolo che rimanda al simbolo dei «nodi» da districare. Certo, essi hanno viluppi eterogenei, ma riescono a illustrare le differenti sfaccettature della questione sopra evocata (non per nulla a prefare l’opera è uno dei maggiori teologi attuali, il cardinale tedesco Walter Kasper).

In questa linea si potrebbe partire proprio dai due saggi iniziali che intrecciano una triade che segna la singolarità e tipicità della giustizia ecclesiale: da un lato, appunto, la trilogia pietas-misericordia-aequitas e, dall’altro, la relativa applicazione nel diritto penale. Sempre lungo questa traiettoria, si dovrebbe accostare il capitolo dedicato all’«armonia» che intercorre tra il citato Vaticano II col suo documento ecclesiologico Lumen gentium e i due motu proprio di papa Francesco, già emblematici nel titolo: Come una madre amorevole (2016) sulla rimozione dei vescovi diocesani dal loro ufficio per cause gravi, e Vos estis lux mundi (2019) sulle procedure nei casi di abusi sessuali da parte di ecclesiastici.

La nostra libera e non “tecnica” proposta di lettura potrebbe, poi, rimandare alle pagine riservate ai tribunali apostolici e correlati, come quello «Supremo» della Segnatura apostolica ma anche la Rota romana, la Penitenzieria apostolica e i vari tribunali dello Stato della Città del Vaticano e del Vicariato di Roma. È un orizzonte che talora appare sulle pagine dei quotidiani per processi clamorosi, e che si allarga anche alla periferia coi tribunali locali al servizio del matrimonio e della famiglia. Sciacca punta a illustrare sempre quell’equilibrio a cui accennavamo tra un positivismo giuridico necessario e la flessibilità della trilogia sopra evocata. Suggestive, al riguardo, sono le parole che Paolo VI nel 1966 rivolse agli Uditori della Rota romana perché si lasciassero «penetrare da quel senso umano, al tempo umile e sapiente, che fa del giudice il maestro, una guida, un padre e un amico».

A quanti sono cultori, anche solo a livello di curiositas culturale, della storia del diritto sono poi da consigliare le pagine riservate alla giurisdizione della Basilica Vaticana, un vivace saggio storico-giuridico che ha al centro la figura del cardinale arciprete. Ci sembra, poi, che risulterà interessante per i cultori di giurisprudenza confrontarsi con alcune sfide tipiche dell’ordinamento penale canonico riguardanti la difesa del diritto di legalità: ad esempio, la portata del principio nullum crimen sine lege poenali previa, oppure l’uso calibrato di istituti quali la prescrizione e la presunzione di non colpevolezza.

Uno spazio speciale, considerato il tema, merita la riflessione di mons. Sciacca sulla rinuncia del vescovo di Roma, un soggetto che ha generato non poche fantasie da parte di «esperti» improvvisati. L’autore delinea, invece, un’acuta e accurata esegesi della questione spaziando dalla tradizione medievale alle dottrine canonistiche degli ultimi tre secoli, analizzando le fonti più autorevoli nella loro complessità e penetrando anche nei meandri ermeneutici dei vari testi legislativi. Semplificando, potremmo dire che nei vari saggi raccolti nel volume rimangono fermi due percorsi interpretativi. Da un lato, la fermezza nell’intendere le leggi secundum propriam verborum significationem (canone 17 del Codice attuale) e, dall’altro, la sussidiaria esplorazione contestuale delle circostanze locali, sociali, politiche, ecclesiali che influiscono nell’emanazione delle leggi.

Molto altro è racchiuso nella silloge dei «problemi aperti» delineati da mons. Sciacca che si avvale anche di una postfazione di un importante magistrato e giurista come Alessandro Pajno. Certo è che egli sa ricomporre con raffinatezza la triplice genetica delle leggi: la loro ideazione, l’applicazione e l’interpretazione. Ferma restando sempre quella dimensione singolare ecclesiale da cui siamo partiti, capace di gettare una luce particolare anche sui celebri principi capitali del diritto romano che il giureconsulto Ulpiano nel II-III sec. d.C. formulava così: honeste vivere, alterum non laedere, suum cuique tribuere.

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