Mettersi tutto
in testa?

Il fisico e filosofo cattolico Pierre Duhem (1861-1916) riteneva che una teoria scientifica necessitasse sempre del conforto di una verifica sperimentale. Esistono però dei casi in cui non è possibile (almeno al momento della postulazione di una ipotesi scientifica) effettuare degli esperimenti per confermarla o confutarla e per questo tanti scienziati famosi hanno usato esperimenti concettuali – il démon de Laplace o il gatto di Schrödinger – per confermare o confutare teorie esistenti o per proporne delle nuove. Durante l’epoca d’oro danese (1800-1850), il fisico Hans Christian Ørsted (che diede il nome alla legge che prevede l’intensità di campo magnetico creato da una corrente elettrica e che era molto amico di Hans Christian Andersen), ispirandosi da una categoria filosofica, introdusse il concetto stesso di gedankenexperiment, postulando che fosse possibile immaginare le conseguenze di una ipotesi per dedurne i limiti della correttezza. Poco dopo, l’austriaco Ernst Mach (che diede il suo nome all’unità che misura della velocità del suono), definì meglio cosa fosse un “esperimento concettuale”, che comunque doveva sempre cercare di stabilire o di negare l’esistenza dei nessi causali fra fenomeni diversi.

Karl Popper propose di classificare gli esperimenti concettuali in “euristici”, “critici” o “apologetici”, ma la difficoltà principale nel loro uso rimase sempre la stessa, ossia quella di confermare o di negare l’esistenza di rapporti causali determinanti (e non di sole mere corrispondenze, come quelle temporali tipiche del classico post hoc ergo propter hoc, per esempio) fra eventi, a partire da ragionamenti e non da dati osservabili. Ora le “apofenie” – il supporre nessi causali fra eventi senza relazioni fra di loro – sono più smascherabili con gli esperimenti reali che con quelli concettuali: se si sente un cane abbaiare mentre piove, sarà più facile negare il nesso causale fra i due fenomeni, osservando il ritorno del sole mentre il cane continua a latrare che argomentando speculativamente sui possibili effetti dei suoi ululati.

Quando Galileo Galilei – che usò anch’egli degli esperimenti concettuali per confutare alcune posizioni della fisica aristotelica – descrisse il “sistema di riferimento inerziale” nel suo Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, indicò che un osservatore in «sotto coverta di un gran navilio» non potesse determinare senza salire sul ponte, lo stato di moto del vascello, dal solo volo di «mosche, farfalle e simili animaletti» nella stiva. Oggi, Galileo illustrerebbe la sua teoria salendo su un treno ad alta velocità o un aereo, ma il suo sarebbe sempre un esperimento reale e non un esperimento concettuale, poco importa che un frecciarossa o un jumbojet siano più adatti per osservare la sua ipotesi che una caravella. Bisogna sempre sapere distinguere fra una rappresentazione concettuale per quanto brillantemente logica, da una prova osservabile per quanto scarsamente misurabile.