05 Apr Il diritto al silenzio
Era il 1964 e il brano Il silenzio del trombettista italiano Nini Rosso scalava le classifiche mondiali, raggiungendo la cifra di 10 milioni di copie vendute.
I «favolosi anni ’60» facevano da sfondo a una società in divenire, libera dal fardello della guerra e con lo sguardo al futuro pieno di speranza.
Ma torniamo nel 2020. Pardon, 2022. Che a furia di sproloquiare su questa pandemia, abbiamo realizzato a fatica che ormai c’è un numero 2 al posto di quello 0. Ma non è questo il punto.
Cosa abbiamo imparato durante questi mesi difficili e sofferti? Tante cose. In primis, la minaccia costante ad alcuni importanti diritti. Come il diritto alla salute, ad esempio. Ma c’è un diritto forse troppo calpestato e sottovalutato di cui nessuno si cura più ormai: il diritto al silenzio.
«Esiste però un tema generale. Riguarda il nostro bisogno quasi compulsivo di esprimerci su tutto; anche prima di avere gli elementi per farlo senza rischiare di dire o scrivere sciocchezze.» Lo scrittore Gianfranco Carofiglio ha centrato la questione.
Da tempo, ormai, siamo tutti inconsapevoli vittime della «trappola dell’opinione» che ci spinge a condannare o glorificare qualcuno, con un semplice click. Questa terrificante pratica già in atto prima della pandemia, ha raggiunto l’apice durante questo periodo complesso e i social media ne sono stati il luogo privilegiato.
L’Osservatorio Vox sui diritti ha rilevato 1.304.537 tweet, tra marzo e settembre 2020, di cui circa 565.526 sono tweet negativi.
Nel corso del 2020 le categorie più colpite sono state le donne (49,91%) e gli ebrei (18,45 %), senza tralasciare i migranti (14, 40%), i disabili (1,95 %), gli omosessuali (3, 28%) e i musulmani (12,01 %).
Uno scenario poco edificante per le nostre coscienze, per il nostro continuo j’accuse digitale di cui la pandemia è poco responsabile. Dunque, rivendichiamo con forza questo diritto al silenzio, questo diritto al “cogito ergo sum” anziché “digito ergo sum”. Non è mai troppo tardi per il silenzio. Non è mai troppo tardi per ascoltare Nini Rosso.
Ylenia Romanazzi