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La globalizzazione fa paura?

La globalizzazione, i suoi effetti, le prospettive future e le teorie geopolitiche raccontate da una studentessa di 17 anni.

La globalizzazione consiste nella connessione trasversale e nel condizionamento reciproco tra Stati. Si tratta di un processo ineluttabile e irreversibile,  che coinvolge tutti e che, per non alimentare ulteriormente  il disordine mondiale, non può essere gestito da Stati deboli. Essa ha causato la contrazione di due elementi fondamentali della vita delle persone, lo spazio e il tempo, al punto da polarizzare la società in due nuclei: chi si adegua al mutamento sociale, economico e politico, e chi non ci riesce, diventando così un escluso.

Viviamo già da tempo ormai in una società mondiale estremamente gerarchica che non garantisce stabilità, ma produce forte mobilità.Tuttavia questo dinamismo appartiene solo a chi ha la possibilità di spostarsi e riesce ad entrare nell’ottica della globalizzazione, chi invece non può rimane emarginato e risponde a tale disagio chiudendosi ancora di più nel proprio “spazio sicuro”. Oggi la nostra società si stratifica in base al nostro grado di adattabilità (mobilità, flessibilità, disponibilità) e in questo sistema chi non può/vuole adattarsi è destinato a soccombere sotto il peso dell’isolamento.

Ed è proprio in questo contesto che si articola la riflessione sullo Stato, che è visto da alcuni come il principale fautore della politica internazionale, da altri come un sistema da trasformare e da altri ancora da estinguere. Innanzitutto è necessario ritornare a due concetti di fondo dello Stato: la territorialità e la sovranità. Il primo significa che lo Stato si incarna fisicamente in una porzione della superficie terrestre e esercita su di essa il proprio potere. Il secondo – in breve – significa che lo Stato sul proprio territorio può esercitare in modo indipendente il proprio potere senza essere soggetto a influenze esterne.

La globalizzazione tende a deteriorare il territorio, perché lo rende globale, ma allo stesso tempo lo rafforza perché accentua le diversità tra gruppi etnici. Inoltre essa è la causa della dislocazione della sovranità dello Stato, che per essere ceduta ad organi sovranazionali determina la dispersione dei poteri statali e lo svuotamento dello Stato stesso. Ne è un esempio l’Unione Europea, che ha come obiettivo quello di trasferire i poteri dal livello nazionale a livello sovranazionale; gli Stati membri, infatti, adottano una moneta unica, condividono la stessa politica estera, sono rappresentati nel Parlamento europeo e  godono della cittadinanza europea. Si tratta però di un processo che parte essenzialmente dall’alto e per questo spesso non è apprezzato o compreso da molti.

L’altra faccia della globalizzazione è il rafforzamento del local. Cosa significa? Basti pensare alle numerose guerre combattute da gruppi terroristici, nelle quali gli Stati sembrano essere scomodi protagonisti incapaci di rispondere ai cambiamenti imposti dalla globalizzazione.

E’ bene sottolineare, inoltre, che la globalizzazione agisce proprio su quelle tre colonne che danno legittimità a uno Stato: economia, esercito e cultura. 

Per quanto riguarda l’economia, il neoliberismo ha contribuito alla privatizzazione del commercio mondiale, in cui si sono gerarchizzate le aree di libero scambio. Un segno evidente è la scomposizione del ciclo produttivo, che viene dislocato nelle zone in cui le aziende possono trarre maggior profitto, quindi nei paesi poveri, dove la manodopera è a basso costo, non qualificata e soprattutto non tutelata. Invece i centri direzionali vengono collocati nei paesi ricchi poiché richiedono manodopera qualificata. Nei paesi meno sviluppati le multinazionali non seguono le leggi  e lo Stato perde il controllo, tanto che le controversie sul commercio internazionale vengono gestite non dal potere giudiziario pubblico, ma dai privati, che sorvegliano l’economia globale e attestano la credibilità economica dei vari Stati. Attualmente il controllo del potere economico-giudiziario dello Stato è limitato, anzi è quasi esclusivamente nelle mani dei privati, che non possono che agire nei loro stessi interessi, i quali spesso non coincidono con quelli della collettività. Un altro aspetto da tenere in considerazione è l’aumento del flusso dei capitali nel mercato digitalizzato, la cui dinamicità evidenzia il dislivello tra politica ed economia. La prima è ancora radicata al suo territorio, la seconda è diventata completamente indipendente, i ruoli tra queste due forze sono ribaltati: la politica non regola più l’economia, ma è la politica che segue l’economia.

Parliamo, poi, dell’esercito: se in passato lo Stato moderno è  nato dall’atto di un sovrano che disarma la nobiltà di spada per affidare i poteri militari a un esercito professionale e stipendiato, ora avviene il contrario. Il potere militare, infatti, non è più un monopolio esclusivo, bensì viene schiacciato sia da istituzioni internazionali, che prevedono una difesa collettiva e una politica estera comune. Oggi è difficile individuare il nemico e le sue strategie, perché la guerra viene combattuta in uno spazio sempre meno fisico, non ha più confini e raramente viene disputata da Stati.

La globalizzazione, infine, ha effetti sulla cultura; essa determina una crisi dell’identità, poiché priva un gruppo sociale dei suoi caratteri contraddistintivi, imponendogli una cultura globale. La risposta immediata a questo livellamento culturale è il rafforzamento locale, che comporta inevitabilmente un rafforzamento del nazionalismo, che spesso scade nel fanatismo. E sono i popoli più poveri a pagare le conseguenze della globalizzazione, perché vengono visti dall’opinione pubblica come un pericolo per la stabilità mondiale. Inoltre, la delocalizzazione del lavoro nel territorio nazionale ha causato l’indebolimento della classe operaia e questo si riflette nella sfera politica con perdita di consensi dei sindacati e dei partiti di sinistra e soprattutto nell’abbandono della partecipazione attiva alla vita politica da parte dei cittadini.

Un ultimo punto da considerare parlando di globalizzazione è l’immigrazione internazionale, che è sempre esistita, ma che adesso coinvolge tutto il mondo. Innanzitutto bisogna distinguere tra migranti qualificati (fuga di cervelli) che si mobilitano alla ricerca di una migliore condizione lavorativa e i migranti poveri, che si spostano seguendo tratte clandestine e pericolose, che esportano manodopera non qualificata, che svolgono lavori più degradati e che migrano per preservare la loro vita. E siccome i paesi ospitanti accolgono immigrati di diverse zone geografiche e culture,  la tendenza generale e semplificativa è quella di chiudere i confini perché ci si sente minacciati dallo straniero.  Le conseguenze di questo odio sono il razzismo e l’avanzare di partiti  nazionalisti e populisti di destra, come recentemente avvenuto in Francia, Germania, Polonia e Italia).

La nuova politica mondiale dovrebbe rompere le cornici degli Stati nazionali per mirare allo sviluppo globale, dato che le esigenze e i problemi attuali non possono più essere affrontati in chiave locale. Sono convinta che, perché questa nuova politica possa realizzarsi, i presupposti fondamentali dovrebbero essere gli stessi proposti da Kant in “la Pace perpetua” (1795): pacifismo,diritto internazionalefederalismo. La condizione di pace, infatti, permette di affidare il potere giuridico nazionale ad un organo trasnazionale capace di costruire un diritto internazionale in grado di dirimere le controversie tra Stati federati. Questi ultimi costituiscono una via di mezzo tra globale e locale, in quanto il potere viene gestito e controllato in maniera orizzontale. Bisogna quindi adottare una visione cosmopolita basata sul pluralismo, perché solo riconducendo tutto il mondo a noi stessi e comportandoci da cittadini del mondo daremo inizio a una politica realistica e inclusiva che risponde alle necessità del popolo.

Irene Nuzzo, 17 anni