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Il “vagabondo”, lo “sdraiato” e il “pellegrino”

Ottobre. Il tempo del Sinodo dei giovani è giunto. Con la speranza che questo krònos riesca a compiersi – e trasfigurarsi – in un mese di kairòs. La natura stessa, in questo periodo, richiede all’uomo l’impegno della vendemmia. E le forze non dovrebbero mancare, essendo da poco terminate quelle vacanze in cui giovani, adulti e consacrati hanno viaggiato verso mete prestabilite e girovagato secondo il caso o la curiosità del momento, ogni tanto adagiandosi stanchi su qualche comodo giaciglio.

A tal proposito, è curioso notare come tali modalità di riposo, di ri-creazione del sé, vengano spesso evocate da Papa Francesco attraverso determinate figure, utilizzate per descrivere alcuni aspetti della condizione giovanile e del rapporto (conscio o meno) che essa ha con il tempo. Non certo per dare dei giovani un giudizio semplicistico – “fare una passeggiata di qua e di là, no, questo è bello!”,bensì, come in una parabola, per rimandare l’uditore della Parola all’analisi ed alla comprensione di se stesso e del proprio modo di vivere questo tempo – sullo sfondo della buona notizia che ciascuno di noi non è mai solo terra buona, solo sassi, solo spine, solo strada (Mc 4,1-20).

Il primo modo su cui attira la nostra attenzione Papa Francesco è quello rappresentato dalla figura del “turista della vita”che non sa se non “girovagare senza meta”,“vagabondare senza senso”,3 “superficialmente, (…) con un atteggiamento di ipocrisia, (…) facendo finta di…”:1

voi avete visto questi che fanno fotografie di tutto (…) e non guardano nulla. Non sanno guardare… e poi guardano le fotografie a casa! … E se la nostra vita è da turista, noi guarderemo soltanto le fotografie o le cose che pensiamo della realtà … Questo vuol dire che io non tocco la realtà, non guardo le cose che succedono. Non guardo le cose come sono”.1

Il secondo modo è quello rappresentato dalla figura del “giovane-divano”3,4 che se ne sta “al sicuro”,3,4 tristemente chiuso e ripiegato su di sé per “egoismo”o per “paura”:5

C’è gente che (…) rimane sempre ferma, troppo quieta e non cresce. Quando un ragazzo, una ragazza (…) si ‘accomoda sul divano’, non cresce”;è brutto vedere un giovane che va in pensione a 20 anni (…) ed è brutto anche vedere un giovane che vive sul divano. Né giovani ‘ in pensione’, né giovani ‘da divano’”.6

Queste due modalità, però, sono entrambe facce – più che volti – della stessa “cultura del vuoto e della solitudine”,nella quale “abbiamo bisogno del chiasso per non sentire”1 ed in cui si consuma l’Io quando gira a vuoto dentro di sé:

Tante volte, nella vita, perdiamo tempo a domandarci: – Ma chi sono io? -. Tu puoi domandarti chi sei tu e fare tutta una vita cercando chi sei tu. Ma domandati: – Per chi sono io? – … Perchi sono io, non chi sono io: questo viene dopo, sì, è una domanda che si deve fare, ma [prima di tutto] ‘perché’fare un lavoro, un lavoro di tutta la vita, un lavoro che ti faccia pensare, che ti faccia sentire, che ti faccia operare”.6

Il terzo modo, infine, è quello rappresentato dalla figura del giovane “in cammino”che sa “viaggiare”,aprendosi alla “sfida”e al “rischio”dell’incontro con la diversità,nonostante le “incertezze” e le “sofferenze”attraversate in “momenti oscuri, brutti” o “su strade senza luce, senza ideali”:6

La vita è un continuo “buongiorno” e “arrivederci” …  Si cresce incontrandosi e congedandosi … E’ vero, i tuoi compagni non saranno gli stessi (…), ma ci sono nuovi compagni che tu devi incontrare … E noi nella vita dobbiamo abituarci a questo cammino: lasciare qualcosa e incontrare le cose nuove (…), nuova gente (…), nuove situazioni … E così si cresce”.5

Che poi Papa Francesco istituisca uno stretto rapporto parabolico tra queste tre figuree i tempi della storia, può stupire solo chi non ricorda che il pensiero umano ha da sempre legato ogni “pellegrinaggio”alla qualità del tempo vissuto.

Il giovane-pensionato, sdraiato sul divano, viene dunque descritto come legato ad un passato nel quale i ricordi sono “ammassati”ed in cui viene risucchiato sia il presente che il futuro, ma:

dare il dovuto valore alla tradizione (…) non vuol dire essere tradizionalisti … Non si tratta di un passato remoto. Saper fare memoria del passato non significa essere nostalgici o rimanere attaccati a un determinato periodo della storia … Sarebbe un guaio e non gioverebbe a nessuno coltivare una memoria paralizzante, che fa fare sempre le stesse cose nello stesso modo”.3

Il giovane-turista, vagabondo per il mondo, è invece visto come immerso in un falso presente, costituito da “flash-mob” e “performance”,ma in cui respinge via da sé sia il futuro che il passato:

Una società che valorizza solo il presente tende anche a svalutare tutto ciò che si eredita dal passato … I volti dei giovani, nei ‘social’, compaiono in tante fotografie che raccontano eventi più o meno reali, ma non sappiamo quanto di tutto questo sia ‘storia’, esperienza che possa essere narrata, dotata di un fine e di un senso. I programmi in TV sono pieni di cosiddetti ‘reality show’, ma non sono storie reali, sono solo minuti che scorrono davanti a una telecamera, in cui i personaggi vivono alla giornata, senza un progetto. Non fatevi fuorviare da questa falsa immagine della realtà!”.3

Infine, il giovane-viaggiatore, pellegrino in sé e fuori di sé, è colui che sa fare “memoria del passato, ma avendo anche coraggio nel presente e speranza per il futuro”,è colui che sa “riconoscere le proprie origini, per ritornare sempre all’essenziale e lanciarsi con fedeltà creativa nella costruzione di tempi nuovi”:3

Mentre aprite le ali al vento, è importante che scopriate le vostre radici e raccogliate il testimone dalle persone che vi hanno preceduto. Per costruire un futuro che abbia senso, bisogna conoscere gli avvenimenti passati e prendere posizione di fronte ad essi”.3

In altri termini, ogni giovane dovrebbe giungere al traguardo esistenziale del sapersi fare carico del “senso” dei propri “ricordi” –che solo così diventano “memoria”, “storia”, “tradizione” –per poterli poi aprire ad un futuro inedito e dinamico:

essere giovani non vuol dire essere disconnessi dal passato … Fare memoria del passato serve anche ad accogliere gli interventi inediti che Dio vuole realizzare in noi e attraverso di noi …Bisogna imparare a far sì che i fatti del passato diventino realtà dinamica, sulla quale riflettere e da cui trarre insegnamento e significato per il nostro presente e futuro … Avere un passato non è la stessa cosa che avere una storia. Nella nostra vita possiamo avere tanti ricordi, ma quanti di essi costruiscono davvero la nostra memoria? Quanti sono significativi per il nostro cuore e aiutano a dare un senso alla nostra esistenza?”.3

Soltanto in tale futuro si potrà veramente sperare che sia possibile rimettere “insieme”3, ricomporre la frammentazione che caratterizza la società odierna, ricostruendone di nuovo “l’unità”3, ma nella forma del “mosaico”– di quel poliedro che è tanto caro a Papa Francesco (EG, 236).

 

Prof. Sergio Ventura

 

 

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1 Discorso ai giovani della missione diocesana di Genova (27.5.2017).

2 Discorso per l’incontro con i giovani del Bangladesh (2.12.2017).

3 Messaggio per la XXXII^ GMG (27.2.2017).

4 Videomessaggio ai giovani di tutto il mondo in occasione delle prossime GMG (21.3.2017).

5 Discorso ai ragazzi del gruppo “Cavalieri” (2.6.2017).

6 Discorso durante la veglia di preghiera per la GMG (8.4.2017).