
12 Feb I «minori» che sono «maggiori»
da Il Sole 24 Ore – 9 febbraio 2025 – di Gianfranco Ravasi.
In questo articolo il Card. Ravasi esplora la figura di due autori considerati “minori” nella storia culturale. Il primo è Ottato di Milevi, vescovo del IV secolo, noto per il Trattato contro i Donatisti. Il secondo è Ortensio Lando, umanista del XVI secolo, noto per il suo scetticismo e coinvolgimento nelle dispute religiose post-riforma.
«Minore» deriva dal latino minus ed è in contrappunto col “maggiore” che può essere magister e, quindi, è un “più” (magis). È usuale nelle varie discipline artistico-letterarie classificare una serie di autori come “minori”, spesso votati all’hortus conclusus degli specialisti. In realtà, non di rado essi sono molto significativi soprattutto in certi settori ristretti ove potrebbero essere in concorrenza coi maggiori. Il nostro supplemento non esita a proporre varie incursioni in questo orizzonte della “minorità culturale”.
Anche noi, perciò, abbiamo voluto selezionare questa volta due “minori”, molto diversi tra loro per cronologia e competenza. Il primo è Ottato, vescovo di Milevi, nell’antica Numidia romana (Africa nord-occidentale) vissuto nella seconda metà del IV sec. È curioso notare che la titolarità di questa sede episcopale – ora puramente simbolica perché priva di cristiani – è ancora oggi simbolicamente assegnata, come per tanti altri centri dei primi secoli, a un vescovo. Appare ora in un’accurata edizione, col testo latino a fronte, con un ricco apparato di introduzioni e commenti e una curiosa appendice archivistico-processuale, l’opera maggiore di Ottato, il Trattato contro i Donatisti in sette libri, talora pubblicato col titolo esplicativo La vera Chiesa.
A curare questa edizione è Alessandro Rossi, da sempre dedito alla storia delle Chiese antiche africane e, in particolare, allo scisma dei Donatisti, così denominati dal loro corifeo Donato di Cartagine (morto attorno al 355), destinatario degli strali non solo di Ottato ma anche di s. Agostino. Secondo quest’ultimo, Ottato era un convertito di estrazione pagana, formato nelle arti liberali e «istruito nella saggezza degli Egizi». Ma veniamo alla radice teologica dello scisma donaziano che, in un certo senso, potrebbe anticipare certe reazioni conservatrici cattoliche attuali contro la predicazione della misericordia da parte di papa Francesco.
Infatti gli esponenti di quella Chiesa scismatica, appellando alla purezza e alla costanza dei martiri e degli oppressi durante la grande persecuzione di Diocleziano tra il 295 e il 305, dichiaravano decaduti quei vescovi che, durante quell’aspra prova, avevano ceduto ai persecutori consegnando i codici delle Sacre Scritture, destinandoli così a essere bruciati. Con loro, erano bollati come apostati e «contaminati» tutti i presbiteri e i fedeli che erano restati in comunione con questi «traditori», e giudicati nulli i sacramenti da loro amministrati. Sorse, così, uno scisma con polemiche feroci e con interventi dell’autorità imperiale che non riuscì, però, a ricomporre l’unità della Chiesa – nonostante l’alta contestazione teologica anti-donatista di Agostino – tant’è vero che lo scisma proseguì fino all’irruzione musulmana (VIII-IX sec.).
Come scrive Rossi, il Trattato contro i Donatisti di Ottato costituisce «una fonte preziosa e pressoché unica per la ricostruzione degli avvenimenti che caratterizzarono la contrapposizione tra donatisti e “cattolici”, ossia tra rigoristi e quanti consideravano i legami di fraternità e continuità sacramentale prevalenti rispetto ai doveri di purezza e delle rispettive elaborazioni teologiche».
Su un’analoga faglia di divisione ecclesiale si colloca, in tutt’altre coordinate, anche il “secondo” personaggio minore che presentiamo. Si tratta di Ortensio Lando, nato a Milano attorno al 1512; dopo l’ingresso in varie corti italiane, approdò a Venezia, dedicandosi all’editoria di testi e traducendo l’Utopia di Tommaso Moro (1548). Morirà nel 1560, forse nella sua città d’origine, Milano, dopo che cinque anni prima tutte le sue opere erano finite nel gorgo dell’Indice dei libri proibiti.
Nella voce che la Treccani riserva a lui emerge la temperie di un personaggio «bizzarro e paradossale, che portò nel campo umanistico la parodia e lo scetticismo: scrisse, così, un’invettiva contro Cicerone e insieme una difesa». Proprio per questo egli visse costantemente su un crinale, col rischio di scivolare verso uno dei versanti. Parlavamo sopra di “faglia”: basta osservare la cronologia per comprendere che uno dei versanti era quello della Riforma protestante avviata da Lutero nel 1517. Ora, l’anno dopo, un colto domenicano, l’alsaziano Martin Bucer (o Butzer), seguiva le orme del riformatore, divenendo progressivamente da Strasburgo una delle figure più rilevanti della “protesta”, anche a livello politico.
Ebbene, il nostro Ortensio si lasciò coinvolgere dalla lettura dei testi di quel maestro che sapeva temperare l’arditezza teologica luterana ondeggiando su quel crinale. È in questa luce che si sviluppano le Disquisizioni sui passi scelti della Santa Scrittura che Silvana Seidel Menchi, in modo esemplare e con raffinata competenza, ha ora pubblicato col testo latino a fronte basandosi sull’unico manoscritto a noi giunto, il n. 1002 della Biblioteca Comunale di Trento, databile attorno al 1552, purtroppo mutilo. Invano l’opera fu dedicata al vescovo di Trento, il cardinale Cristoforo Madruzzo, perché essa non passò mai sotto i torchi della stampa.
Il genere letterario è affine a quella di un altro scritto di Lando, i Quattro libri de’ dubbi: è un ricorso all’interrogazione per vagliare criticamente i testi biblici, cercando di proporre varie tesi alternative, anche eterodosse, lasciandole sotto lo stigma del dubbio. Per questo l’incipit delle 143 Disquisizioni a noi giunte è scandito dal latino Cur, il “perché?” problematico, così da evitare di cadere sotto la mannaia della censura. In verità il testo – anche nei casi esegetico-teologici più scottanti – mostra una sagacia e un equilibrio sorprendenti che, però, non permisero all’opera di uscire indenne in pubblico.