La “libertà” di rendersi merce

Qual è l’imperativo della nostra società? Ama? Sogna? Pensa? Godi.

Un godimento desadiano che ci rende come api intente a suggere, a strappare dal mondo tutto ciò che lo soddisfa. In questo contesto l’altro è progressivamente diventato non più un soggetto con cui condividere, ma un oggetto da portare via, da mettere a nudo, nella sua intimità fisica ed emozionale, e poi da scartare. Di tutto ciò pagano uno scotto importante i corpi, specialmente (per la struttura ancora patriarcale della società) quelli femminili.

Come notava già Pasolini quasi cinquant’anni fa essi non sono più solo un oggetto, sono un prodotto commerciale, in alcuni casi compreso in un “pacchetto” completo di uomo o di donna in vendita (messi in vetrina già dal Carosello), in altri casi completamente indipendente e venduto addirittura a pezzi. È celebre il caso-precursore della pubblicità dei jeans “Jesus”, contro cui Pasolini si scagliò dalle colonne del Corriere della Sera del 17 maggio 1973: a sponsorizzare il prodotto sui cartelloni pubblicitari c’era non una persona, ma solo, a sostituirla, il suo avvenente lato B. Con una scritta significativa: “Non avrai altro jeans all’infuori di me” o, in una variante, “chi mi ama mi segua”. In vendita c’è un prodotto, uno stile di vita, un corpo, un’idea potente, una religione; tutto mescolato. Da questa oggettificazione feticista (la donna diventa mero corpo) promana una forma di consumo sessuale simile a quella che Huxley descrive nel suo capolavoro, “Il mondo nuovo”: trovo, prendo, scarto. Perché, in fondo, vale anche per le relazioni umane: meglio ricomprare che rattoppare.

Nell’età dei diritti in cui (fortunatamente) viviamo risulta essere un esercizio di libertà quello di rendersi merce? O quello di compiacersi di/acquistare, in varie forme, corpi mercificati? Ovvero: ci sono dei diritti di comunità, sociali, umani, che la libertà individuale dell’Homo Deus non può tangere?

È una questione senz’altro spinosa, ma è una questione attuale, intrecciata con quella dell’immagine di noi che, da fasce d’età sempre più basse, comunichiamo sui social network (cosa desidero io? E cosa desiderano vedere di me gli altri?), della quale si preferisce tacere.

Proprio qualche giorno fa Francesco Totti, scottato dalla pubblicazione (senza consensi) su una nota rivista di immagini decisamente oggettificanti del corpo della figlia, ha denunciato il “problema sempre più evidente della sessualizzazione e mercificazione del corpo delle adolescenti”. Ebbene, la questione è stata aperta da uno sportivo (sottolineo: non da un intellettuale, non da un esponente politico): approfittiamo per affrontare il problema criticamente, questa volta?

Andrea Raffaele Aquino