Gesù a parole chiare

«Ascensione di Cristo tra angeli musicanti», 1472 circa, Roma, Palazzo del Quirinale

 

Benî hizzaer ‘asôt sefarîm harbeh ‘en qets, «figlio mio, bada bene: non si finisce mai di pubblicare libri». Potremmo assumere questo monito del vecchio e ironico Qohelet/Ecclesiaste biblico (12,12) a motto universale dell’editoria anche in questi tempi così squisitamente digitali, passati dalla selce delle epigrafi al silicio dei tablet. L’esortazione di questo sapiente biblico (o meglio del redattore finale del suo breve testo fatto nell’originale ebraico di sole 2987 parole) vale soprattutto per i libri che commentano le Scritture Sacre, la cui incessante produzione è costantemente monitorata da apposite riviste, come ad esempio l’Old Testament (e in parallelo New Testament) Abstracts o l’International Zeitschriftenschau für Bibelwissenschaft und Grenzgebiete, ormai sostituiti dalle più celeri bibliografie informatiche. Ogni tanto facciamo anche noi qualche incursione in questo oceano cartaceo, per rendere ragione sia della fertilità della ricerca esegetico-teologica, di solito ignota al mondo accademico “1aico”, data l’assenza di facoltà teologiche nelle università statali (a differenza di quanto accade in altri paesi), sia per far balenare la complessità di tali investigazioni.

Era spesso questo il tema dei miei dialoghi con uno straordinario studioso di alta qualità intellettuale il compianto Beniamino Placido, dal quale ho ereditato la sorprendente sezione biblica della sua biblioteca, paradossalmente preziosa anche per me – che pure ho trascorso una vita in questi studi – per la finissima selezione di saggi dedicati all’interazione tra Bibbia e cultura. Nel breve profilo bibliografico che ora vorrei abbozzare, mi fermerò solo su alcuni esempi riguardanti il Nuovo Testamento. Partiamo dal nucleo duro del cristianesimo così formulato dall’apostolo Paolo:

«Se Cristo non è risorto, vuota/vana è la nostra fede» (1Corinzi 15,14.17). L’evento pasquale è arduo da decifrare e definire anche perché le fonti primarie a disposizione – cioè i quattro Vangeli – affermano che Cristo è risorto, ma non dicono come; anzi, preferiscono ricorrere a un linguaggio polimorfo che, accanto alla categoria “risurrezione”, ne introduce altre come “glorificazione, esaltazione, il vivente (con zoè, non conbíos)”, nella consapevolezza della singolarità di quell’atto che coinvolge storia e trascendenza.

Abbiamo trovato particolarmente limpido il saggio di Gérard Rossé che ha puntato direttamente sulla Risurrezione di Gesù, cioè sulla formula più adottata dagli scritti neotestamentari, ancorata a un modello già noto alle Scritture ebraiche. Lo studioso francese ha, così, vagliato tutte le questioni più scottanti che s’annodano attorno a quel lemma col loro corteo di interrogativi: quale modulo antropologico è sotteso alla figura del Risorto (certamente non quello neoplatonico)? Che significato è da assegnare al sepolcro vuoto? Che valore hanno le cosiddette “apparizioni” del Risorto? Quale grado di attendibilità può essere attribuito ai testimoni dell’evento pasquale? La figura di Paolo che ruolo esercita nell’elaborazione della dottrina del Cristo risorto? Come è evidente, si tratta di domande che accavallano storia e fede e richiedono perciò estrema cautela, fermo restando il dato che l’atto della risurrezione in sé considerato – come si diceva –non è narrato se non dall’apocrifo Vangelo di Pietro e accuratamente taciuto dai Vangeli canonici.

Ad alcuni lettori può, perciò, sembrare strano, ma il possente Cristo che si leva dal sepolcro dipinto da Piero della Francesca nel 1463 nella sala dell’antico palazzo comunale del suo paese natale, Borgo Sansepolcro, e l’infinita teoria di scene analoghe che costellano la storia dell’arte, non riflettono il dettato evangelico primigenio. Sta di fatto che l’evento pasquale cristiano – un po’ come la parallela ma differente pasqua esodica ebraica – ha costituito la sorgente generativa del cristianesimo. Il primo anello di questa genealogia è rappresentato dalla predicazione orale dei primi testimoni (il cosiddetto kerygma o “annunzio”) a cui è seguita la trilogia dei Vangeli sinottici (Marco, Matteo, Luca) che si arricchiscono dell’altra attestazione del quarto Vangelo giovanneo. A chi vuole una delle sintesi più recenti di questi passaggi segnaliamo il sussidio dedicato ai Vangeli sinottici e Atti degli apostoli da Massimo Grilli dell’Università Gregoriana di Roma che ne vaglia le macro-strutture, le coordinate storico-ambientali e i motivi teologici. Per Giovanni, che basa il suo Vangelo sui due poli simbolico-teologici dei sette “segni” miracolosi e dell’“ora” finale, segnaliamo invece il bel profilo di Pierre Dumoulin che ha a lungo insegnato in Russia, in Kazakistan e in Georgia.

Paolo, a cui abbiamo fatto già riferimento, è il grande ponte non solo verso l’Occidente greco-romano ma verso la storia successiva del cristianesimo i cui anni decisivi per la sua evoluzione furono quelli che vanno dal 100 al 250. Essi sono oggetto di un saggio agile ma puntuale di Pierre Prigent dell’università di Strasburgo, che non esita a introdursi in un groviglio di vicende che coinvolgono martiri e apologisti, deviazioni gnostiche e marcionite (legate soprattutto all’ermeneutica del Nuovo Testamento), dibattiti roventi sulla data della Pasqua e sul profetismo nella Chiesa con l’apparire di un personaggio come Montano, un’oscura figura della Frigia capace, però, di conquistare un genio come Tertulliano, e infine la definizione del Canone delle Scritture che segna un indubbio punto fermo nella marea fluttuante delle teologie. Prigent fa salire sulla tribuna del pensiero cristiano una tetralogia intellettuale di grande livello: Ireneo di Lione dal robusto impianto metodologico, il citato Tertulliano, quell’appassionato fautore del dialogo con la cultura che è stato Clemente di Alessandria e il geniale Origine, destinato a lasciare un’impronta incisiva nella storia della teologia cristiana.

Il cuore di questa grande architettura storico-teorica rimane, comunque, sempre Gesù Nazaret, al quale si sono consacrate non solo le vite di molti discepoli, le menti di tanti pensatori, le opere di una sequenza ininterrotta di artisti, l’impegno esistenziale di un numero infinito di credenti, ma anche le reazioni ostili di non pochi contestatori. È curioso notare, ad esempio, che l’arco più ampio delle pagine del dialogo di Dario Fo con Giuseppina Manin sul suo rapporto con Dio è riservato proprio alla cristologia un po’ sgangherata ma calorosa dell’autore del Mistero buffo. Ma, per avere un ritratto più pertinente criticamente, rimandiamo al simpatico volumetto di un noto teologo francese, Joseph Doré, già arcivescovo di Strasburgo. Il titolo è lapidario: Gesù spiegato a tutti, così come lo sono i capitoli-tappe che vanno dalla storia del protagonista al suo messaggio, dalla sua identità alla posterità, cioè alla scia che accompagna Cristo fino ad oggi. Il tutto distribuito su una batteria di un’ottantina di domande che centrano senza fronzoli le questioni anche le più spinose. A chi non lo segue come Signore, dobbiamo pero dire che Gesù spiegato in profondità – come nota Doré – aiuta a «comprendere meglio l’esistenza umana» e il suo senso ultimo. E questo non è poco.