
02 Apr Fare coming out e chiedere aiuto
da Il Sole 24 Ore – 30 marzo 2025 – di Gianfranco Ravasi.
In questo articolo il Card. Ravasi riflette sulla sovrapproduzione libraria in Italia e seleziona tre opere minori ma significative: Via crucis di un ragazzo gay di Luigi Testa, Ti sogno fuori di don Domenico Cambareri e Pellegrino in corsia di don Gianluca Mangeri.
Se la vetrina di una grossa libreria di città volesse esporre tutti i libri che vengono annualmente editi in Italia, dovrebbe allestire una sorta di tapis roulant che, secondo un movimento lento ma incessante, facesse scorrere giorno e notte i vari volumi tanto è alto il numero delle pubblicazioni (si parla di migliaia e migliaia di testi destinati talora a nessuna o quasi copia venduta). Di questa bulimia bibliografica sono testimone pure io, anche se in un formato “miniaturizzato”, e confesso che non di rado la lettura si estingue solo dopo aver scorso il titolo o, al massimo, la quarta di copertina.
Eppure, talora passano sulla scrivania opere non fondamentali, ma con guizzi di originalità e di interesse. Quasi casualmente ho estratto da quel flusso editoriale pochi esempi che vorrei evocare, capaci però di sollecitare temi non marginali. Il primo titolo può essere provocatorio, come nel caso della Via crucis di un ragazzo gay, dove l’emblema cristiano è da intendere nel senso letterale: lo scritto è strutturato sulle 14 “stazioni” di quella pratica soprattutto quaresimale che scandisce la passione e morte di Cristo (ora si è soliti aggiungere anche una quindicesima tappa, la risurrezione).
A guidare questo itinerario sacro è Luigi Testa, docente di diritto all’università dell’Insubria e alla Bocconi, e lo fa con una straordinaria delicatezza umana e spirituale, lasciando trasparire la particolare situazione del credente omosessuale. La filigrana è quella delle varie tappe del martirio di Gesù che è giudicato, cade ripetutamente, è consolato solo da donne, è però sostenuto anche da un passante, il Cireneo, è spogliato delle vesti ed è inchiodato a una croce per una morte infame. Ma essa non ha come approdo l’epigrafe di una tomba ma l’alba di una nuova vita.
È difficile rendere l’intensità religiosa di queste pagine che smitizzano il sussulto di sopracciglia di quanti si fermano al titolo, pronti a versare sulla confessione-preghiera le solite spezie amare dell’ironia. Tuttavia, come scrive l’autore, «la prima volta che ho fatto coming out, Signore, è stato per chiedere aiuto… Ti ringrazio, Signore, per i Simoni di Cirene che hai messo sulla mia strada». Tra questi c’è il vescovo Francesco Savino con la sua intensa prefazione che non indulge alla retorica, ma interviene da teologo e pastore, così come incisiva è la postfazione di un sacerdote, Sergio Massironi, che ricompone in modo ampio l’antefatto, la vicenda esistenziale, la matrice spirituale sottesa all’opera. Su tutto poi si illuminano gli stupendi e potenti quadri fotografici dei Ferrariofrères che segnano ogni “stazione”.
Tanto altro mi ha suscitato questo libretto, così come mi è accaduto leggendo le 12 lettere che «un prete di galera» rivolge idealmente a uno dei ragazzi che hanno incrociato la sua missione di cappellano del carcere minorile di Bologna. Egli è chiamato con un anonimo “Y” che ha scontato la sua pena, e don Domenico Cambareri lo «sogna fuori», come recita il titolo del volume, libero e rinato. In realtà, in quelle lettere si svela un mondo ignoto a noi esterni, spesso perfino infastiditi dalle cronache che ne fanno balenare le tensioni, le ribellioni, gli sconcerti senza uno scavo nelle storie personali drammatiche. L’esito positivo del racconto epistolare è, invece, quello di diventare una guida per comprendere quanto sia rilevante un vero “educare” che – come sottintende il termine – suppone un e-ducere, un “estrarre” dal fondo dell’umanità di un colpevole la scintilla di luce.
Si va oltre, perciò, la pura e semplice punizione afflittiva, ma anche oltre l’enfasi della «restituzione del reo alla vita sociale». È, invece, un percorso spalla a spalla senza accomodamenti giustificatori ma con una “sintonia” e “simpatia” di comunicazione e di ascolto. Significativi sono, in questo senso, i contenuti delle lettere, tutt’altro che moraleggianti: sono, infatti, argomentati, capaci persino di ricorrere senza enfasi a Seneca, ma anche pronti ad aggrapparsi a testi delle canzoni trap, in un vero “dialogo”, cioè in un incontro di due visioni diverse ma degne entrambe di attenzione.
Questo è possibile perché alla base c’è un’esperienza autentica personale e non una mera analisi psico-sociologica oggettiva. È ciò che accade anche nel terzo volume che scegliamo da quella massa libraria. In scena ora è un ospedale, quello di Brescia, e ad aprirci le porte è un altro sacerdote che è pure medico oncologo, don Gianluca Mangeri, «pellegrino in corsia», come si intitola la sua testimonianza. Egli basa il suo racconto su una sorta di sceneggiatura che si articola in 33 storie diverse, tutte segnate dalle stimmate della sofferenza, che non è mai solo fisica ma anche esistenziale e spirituale.
Queste vicende vengono intrecciate con le esperienze parallele di altrettanti santi così da erigere alla fine, in dissolvenza all’ospedale, un «santuario della speranza», le cui navate sono le corsie dove si consumano spesso drammi non solo clinici ma anche religiosi, come insegna un’incessante letteratura, a partire dal libro biblico di Giobbe. In esse, però, si celebrano anche rinascite e là tutti siamo in qualche modo coinvolti a causa della comune finitudine, caducità e mortalità.