Crisi climatica: nessun passo avanti nella Cop29

La Conferenza delle Parti della Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, meglio conosciuta come COP29, è terminata qualche giorno fa a Baku, in Azerbaijian, chiudendo i lavori con un accordo purtroppo insoddisfacente soprattutto da parte dei Paesi in via di sviluppo che necessitano più che mai di fondi per fronteggiare la crisi climatica presente e futura.

Il risultato di questa conferenza, che ha riunito al tavolo 193 delegazioni da tutto il mondo, non è stato quello che molti si aspettavano. Si è discusso per lo più di finanza climatica, all’interno della quale ci sono gli aiuti economici che i paesi più ricchi e storicamente responsabili per le emissioni di gas serra erogano a quelli meno sviluppati dal punto di vista economico. La sfida principale per questa edizione doveva essere quella di trovare un compromesso su questi fondi per le nazioni più povere e vulnerabili ai cambiamenti climatici.

I Paesi industrializzati devolveranno i finanziamenti a quelli in via di sviluppo in forma di sovvenzioni a fondo perduto o in prestiti a basso tasso di interesse, in finanza pubblica e privata mobilitata. Teoricamente l’accordo prevede fondi per 1.300 miliardi all’anno. Nella pratica ne arriveranno, invece, 300. Questi 300 miliardi sono una cifra tre volte superiore a quella di 100 miliardi l’anno entro 2025 contenuta nel vecchio obiettivo globale di finanza per il clima, ma al tempo stesso nettamente inferiore ai 1.300 miliardi annui che secondo esperti indipendenti sarebbe necessari per far fronte alle più urgenti necessità in termini di crisi climatica.

L’accordo di Baku auspica il raggiungimento dei fondi effettivamente necessari per combattere il climate change entro il 2035, ma le previsioni non sono così incoraggianti soprattutto perché i Paesi non ancora inseriti ufficialmente tra quelli sviluppati nella Convenzione ONU sul clima, ma che però hanno attualmente un’elevata capacità contributiva e un peso rilevante nelle emissioni – Cina, Corea del Sud, Paesi OPEC del Golfo – al momento non sono obbligati a contribuire. Anche per questo motivo, il conseguimento degli obiettivi è più che mai a repentaglio, soprattutto nei confronti dei Paesi più vulnerabili agli effetti del cambiamento climatico i quali hanno bisogno di intervenire urgentemente in opere e infrastrutture.

Alla luce di questa decisione inadeguata e che scontenta molti, le parole di Papa Francesco riportate a Baku dal Cardinale Parolin risuonano più che mai come un monito a coloro che potrebbero fare di più e che, invece, hanno scelto un approccio più soft di quanto dovrebbe essere. Il Santo Padre, tramite il Segretario di Stato, ha ribadito che è una questione di “giustizia”, non di “generosità”: i Paesi ricchi, memori di tante gravi decisioni del passato, hanno il dovere di “condonare i debiti dei Paesi che non saranno mai in grado di ripagarli”, ricordando che tra Nord e Sud del mondo c’è un vero e proprio “debito ecologico” connesso a “squilibri commerciali con effetti sull’ambiente” e all’“uso sproporzionato delle risorse naturali” per lunghi periodi di tempo. Papa Francesco, nel suo messaggio, ha invitato a mettere in piedi “una nuova architettura finanziaria internazionale”, audace e creativa, e a dimostrare, attraverso la COP29, che “esiste una comunità internazionale pronta a guardare oltre i particolarismi e porre al centro il bene dell’umanità e la nostra casa comune, che Dio ha affidato alla nostra cura e responsabilità”.

“La salvaguardia del creato è una delle questioni più urgenti del nostro tempo. Dobbiamo anche riconoscere che è strettamente interrelata alla salvaguardia della pace”, ha sentenziato Parolin. Infine Francesco, quasi prevedendo quello che sarebbe stato l’accordo finale, ha ricordato che “l’egoismo – individuale, nazionale e dei gruppi di potere – alimenta un clima di sfiducia e divisione che non risponde alle esigenze di un mondo interdipendente in cui dovremmo agire e vivere come membri di un’unica famiglia che abita lo stesso villaggio globale interconnesso”. Al momento, però, il grido di aiuto della comunità globale è stato ancora una volta ignorato.

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