20 Nov Buddhisti ed ebrei davanti all’etica
da Il Sole 24 Ore – 17 novembre 2024 – di Gianfranco Ravasi.
In questo articolo il Card. Ravasi si focalizza su due figure. La prima è quella di Tiziano Tosolini, docente alla Pontificia Università Gregoriana, il quale affronta temi attuali quali aborto, eutanasia, guerra e sessualità scavando nella filosofia orientale. La seconda è quella di Massimo Giuliani, uno dei massimi esperti di «moralità e sapienza ebraica», la cui riflessione parte dal «musar», corrispettivo ebraico della «paideia» greca, che trascende la moralità.
«Giratela come vi pare: prima viene lo stomaco, poi viene la morale». Famosa, anche nella sua brutalità realistica, questa frase dell’Opera da tre soldi di Brecht, anche perché è il motto di molti per necessità e di alcuni per vero egoismo o superficialità. L’etica è, però, una delle nervature fondamentali dell’antropologia filosofica, un caposaldo delle religioni e un oggetto di contesa a livello sociale dove spesso la morale viene emarginata, se non ostracizzata. Certo, non si può ignorare anche la deriva deformante del moralismo, scudo di difesa degli ipocriti. Altrettanto folgorante era Chesterton quando osservava che, «se c’è qualcosa di peggio dell’odierno indebolirsi dei grandi principi morali, è l’attuale irrigidirsi dei piccoli principi morali».
Nel passato la trattatistica teologica cattolica era imponente e minuziosa, impostata sulla casistica, soprattutto nel terreno scivoloso del De Sexto, come si usava dire, ossia del sesto comandamento col ventaglio variegato della sessualità e delle sue perversioni. Noi ora vorremmo migrare verso altre regioni religiose, quella buddhista ed ebraica, seguendo però itinerari piuttosto inediti e fin ignoti alla nostra cultura occidentale tradizionale. Tiziano Tosolini, docente alla Pontificia Università Gregoriana, che ha alle spalle una vasta bibliografia soprattutto sulla religiosità giapponese, sceglie un percorso molto originale nell’etica buddhista.
È noto che la via morale in quella spiritualità è il sentiero da percorrere per raggiungere la pienezza del nirvana. Uno degli asserti capitali del Dhammapada, appartenente al canone buddhistico, è lapidario: «L’astensione da ogni atto malvagio, l’acquisizione del bene, la purificazione della propria mente: ecco l’insegnamento dei risvegliati». Ma come si pone questa morale nei confronti di alcuni interrogativi che scuotono la società contemporanea: l’ambientalismo, l’etica animalista, l’aborto, il suicidio assistito, l’eutanasia, la sessualità nelle sue varie modulazioni, per non parlare poi della violenza, della guerra, del terrorismo, e dell’etica sociale ed economica?
Ebbene, Tosolini ha deciso in modo sistematico di affrontare proprio questi temi spesso roventi nel nostro dibattito, scavando all’interno della letteratura religiosa e filosofica buddhista e del suo sistema categoriale che risulta piuttosto allogeno rispetto al nostro occidentale. La stessa fluidità di quel pensiero, che non manca di prescrizioni morali, rende arduo isolare risposte agli interrogativi citati. Eppure, forse anche lo stimolo generato dall’empatia di molti occidentali con le varie scuole di meditazione, con le conversioni e l’ascolto di asceti orientali (ovviamente con le relative degenerazioni), ha fatto sì che lo stesso buddhismo si confrontasse con quelle domande.
Anche se la familiarità dello studioso col “Canone Pali” e altri testi rende talora complesso al lettore l’ingresso in quella foresta religiosa, egli sa dipanare risposte spesso sorprendenti che interpellano la stessa mentalità attuale incline a semplificazioni. Non possiamo qui sintetizzare le interlocuzioni con l’elenco di questioni etiche sopra delineate, pena lo svilimento; invitiamo solo a scoprirne alcune, in particolare riguardo a temi che agitano il nostro presente come l’aborto (a cui è riservato un vasto capitolo), il suicidio, l’eutanasia e l’intero orizzonte sessuale. Questa sarebbe anche una via feconda per il dialogo interreligioso e interculturale.
Passare alla «moralità e sapienza ebraica» sembrerebbe più agevole perché, pur nella sua matrice biblica e semitica, esse sono incastonate nell’Occidente europeo. La lettura del saggio di uno dei nostri maggiori esperti in materia, Massimo Giuliani delle università di Trento e di Urbino, ci lascia invece quasi confusi. L’apparato documentario, nonostante sia vicino a noi cronologicamente (si punta su Yisrael Lipkin, detto il Salanter, vissuto nell’Ottocento), sia pure dotato di ampie matrici teoriche antecedenti, crea una vera e propria vertigine per la sua varietà, ricchezza, densità. Il cuore di questo studio è nella definizione storico-critica del musar, il corrispettivo ebraico della paideia greca. Si tratta, quindi, di una realtà che comprende e trascende la pura e semplice moralità, allargandosi ad altre dimensioni sapienziali tendenti a un’antropologia olistica. I confini sono, dunque, più labili e si aprono a istanze filosofiche, teologiche, pedagogiche, in qualche caso psicologiche ante litteram. Giuliani svela una consuetudine impressionante con questo orizzonte convocando un “parterre” di autori antesignani di questo sistema di pensiero.
Si va dalla Bibbia e dal Talmud e la Mishnah, transitando alla letteratura ebraico-sefardita medievale, ai cultori della Qabbalah e al mondo sefardita di area ottomana, per approdare appunto all’Ottocento-Novecento con una fitta galleria di autori dediti alla ricerca (e anche alla critica) di questa moralità, «sintesi di ragione e sentimento, esteriorità e interiorità, corpo e anima, legge e intenzione, timore e amore».
In appendice, rientrando nell’alveo cristiano suggeriamo un interessante trattato di Etica (pagg. 538) impostato secondo il taglio battista e narrativo, appena pubblicato dalle vivaci edizioni protestanti GBU (Gruppi Biblici Universitari), opera del teologo battista nordamericano James W. McClendon, scomparso nel 2000.