Viaggio nel Creato, bello e minacciato

da Il Sole 24 Ore – 21 febbraio 2021 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinale Gianfranco Ravasi propone un viaggio in sette tappe nel capolavoro della Creazione.

«Dio ha scritto un libro stupendo le cui lettere sono la moltitudine delle creature presenti nell’universo». Così san Giovanni Paolo II nella catechesi del 30 gennaio 2002 raccoglieva un’immagine implicita nella stessa Bibbia che leggeva nel creato una sorta di rivelazione cosmica da accostare alla Sacra Scrittura, come si canta nel Salmo 19 che avremo occasione di commentare. La dichiarazione di papa Wojtyla è ripresa dalla Laudato si’ di papa Francesco (n. 85), ove viene commentata attraverso le parole appassionate di una Lettera pastorale dei vescovi del Canada (4 ottobre 2003): «Dai più ampi panorami alle più esili forme di vita, la natura è una continua sorgente di meraviglia e di riverenza. Essa è, inoltre, una rivelazione continua del divino» […]

Una sorta di squillo destinato a squarciare l’indifferenza ecclesiale ma anche socio-politica globale è stata certamente l’enciclica di papa Francesco, a cui ha fatto seguito una costellazione di documenti, sia a livello di Chiese locali sia anche in ambito vaticano come, ad esempio, il testo redatto e pubblicato nel giugno 2020 dal «Tavolo interdicasteriale della Santa Sede sull’ecologia integrale» col titolo In cammino per la cura della casa comune.

L’orizzonte tematico che la questione della custodia di questa dimora comune dell’umanità che è il creato, è immenso e la Laudato si’ coi suoi capitoli ne è un catalogo straordinariamente efficace, perché non si accontenta di affermazioni di principio pur necessarie, a partire dal «Vangelo della creazione», ma disegna un vasto progetto di piste d’azione. […].

L’approccio che abbiamo adottato in questo volume non ignorerà alcuni degli interrogativi evocati ma li innesterà all’interno di un quadro speciale, quello della Rivelazione biblica. Essa è, pur sempre, per il credente «lampada per i passi e luce sul cammino» (Sal 119,105) della vita personale, ecclesiale e comunitaria, ma è anche per il non credente «il grande codice» di riferimento della cultura occidentale. […]

La mappa del nostro percorso avrà certamente come testo primario di riferimento i due racconti iniziali della Genesi sulla creazione, l’uno di solito assegnato alla Tradizione Sacerdotale del VI sec. a.C. (Gen 1,1-2,4a), l’altro in passato attribuito alla Tradizione Jahvista (X sec. a.C.), attualmente oggetto di diverse collocazioni secondo altre coordinate storico letterarie (Gen 2,4b-3,24). Ovviamente, se questa è la sorgente fondamentale, il fiume della nostra analisi si ramificherà nel vasto territorio delle S. Scritture ebraiche e cristiane.

Il primo capitolo, quindi, non può che aprirsi sull’orizzonte della creazione che squarcia il silenzio del nulla attraverso la parola creatrice divina. Al vertice dell’atto creativo entra in scena l’ha-’adam, l’Uomo, con la sua missione di «coltivare e custodire» la terra, ma anche di «dominarla e soggiogarla», espressioni che meriteranno un’attenta esegesi per evitare prevaricazioni. Fioriscono molti altri corollari importanti: dalla sostenibilità al dialogo tra scienza e fede, soprattutto con la dialettica evoluzione-creazione, dall’estetica del creato alla sua destinazione escatologica.

Il secondo capitolo è rischiarato dalla creatura primordiale, la luce, un archetipo non solo naturale universale ma anche teologico, espresso con l’asserto «Dio è luce» e con la possibilità – attraverso la sua stessa qualità – di illustrare l’immanenza e la trascendenza. Si allargherà, poi, lo sguardo alle stelle simili a sentinelle celesti, al sole che può essere «fermato» nell’episodio di Giosuè, al fuoco, ma anche alle categorie spirituali dello splendore del Natale e del Cristo, «luce del mondo».

Il terzo capitolo introduce l’altra realtà primigenia, l’acqua, il cui flusso naturale e simbolico intride tante pagine bibliche, divenendo segno di vita fisica ma anche spirituale, dissetando la gola e rigenerando lo spirito nel battesimo. È possibile ricomporre un vero e proprio acquario biblico fatto di sorgenti e torrenti, di fiumi e pozzi, di piscine e cisterne, di nubi e piogge, di onde e tempeste, di neve e rugiada. Ma, se è vero che esiste un’idrografia biblica marina e fluviale che ha come asse il Giordano, è altrettanto vero che si delinea un volto oscuro dell’acqua. È il mistero che si cela nel mare, visto come emblema del caos e del nulla: nel diluvio ha la sua manifestazione devastante, producendo una sorta di de-creazione.

Nel quarto capitolo svettano i monti, che assumono profili diversi nella struttura geografica e storica. Sono, infatti, spesso cime sacre e fin mistiche, letterarie, ma anche «alture», segni di idolatria. L’orografia biblica permette di delineare in un certo senso una sequenza della stessa storia della salvezza. È ciò che proporremo attraverso l’ascesa a nove «sante montagne», cinque per l’Antico Testamento (Moriah, Sinai, Nebo, Sion e Carmelo) e quattro per il Nuovo (Beatitudini, Trasfigurazione, Golgota, Ulivi).

Il quinto capitolo si affaccerà su un panorama verdeggiante, quello della vegetazione. La botanica biblica è fenomenica e simbolica al tempo stesso e si apre col misterioso e affascinante giardino dell’Eden, ove si levano anche alberi non classificabili a livello scientifico, come quelli «della vita» e «della conoscenza del bene e del male». Il giardino è luogo della colpa ma anche sede dell’amore nel Cantico dei cantici, e si trasfigura nel paradiso escatologico. Senza ignorare il deserto, abbiamo voluto coltivare, da un lato, un erbario biblico illustrato con i soggetti più noti, dell’ulivo, del fico, della vite, del rovo, delle palme, piante tipiche dell’ecologia sacra; d’altro lato, faremo scorrere un «alfabeto verde» dall’A di «acacia» fino alla Z di «zizzania». Ma a dominare in finale saranno le parabole di Gesù con l’orizzonte agricolo su cui si appuntano i suoi occhi, mentre noi tenteremo persino di inoltrarci nell’ambito problematico dell’omeopatia, apparentemente praticata anche dall’antico Israele.

Il sesto capitolo sarà, invece, popolato dagli animali col loro legame con gli umani e con l’attenzione a un indubbio animalismo «biblico». Sfilerà, così, uno stupendo bestiario che ci permette di elaborare un «alfabeto zoologico» dall’A di «agnello» o «ape» fino alla Z di «zanzara». In scena entrerà il mirabile bestiario di Giobbe (cc. 38-42), ma dovremo delineare anche ritratti specifici di alcuni animali dalla forte carica simbolica, come il citato agnello, il serpente, l’asino, il cavallo, la colomba, i pesci e persino il cammello e lo scorpione. Consapevoli, però, del fatto che spesso l’etologia viene adottata nell’etica (le favole insegnano), rendendo gli animali maestri degli uomini, faremo risalire sulla ribalta l’impressionante corsa dei quattro cavalli e dei relativi cavalieri dell’Apocalisse (6,1-8).

Il settimo capitolo imbandisce una mensa col cibo che, in senso non materialistico ma simbolico, definisce l’umanità con le sue varie esperienze personali e comunitarie. Il pane e il vino sono le componenti radicali della tavola biblica, soprattutto per il loro risvolto eucaristico, a cui si associa il motivo della carità fraterna e dell’ospitalità. Non si può ignorare, però, per il suo rilievo, l’antipodo del digiuno, così come la virtù della temperanza. Anche in questo caso si allestirà una specie di menù biblico, in pratica un lessico del cibo che dall’A degli «azzimi» o dell’«aceto» giunge fino all’U di «uovo». Non si ignorerà, però, il tema controverso della dieta solo vegetariana.

Con questo settenario si potrebbe concludere il percorso esegetico-teologico del nostro testo, suggellando così la mappa. Tuttavia abbiamo ritenuta preziosa per il lettore la possibilità di aprire un ulteriore squarcio orante e meditativo o contemplativo. Lo stesso papa Francesco alla finale della sua enciclica appone una «preghiera per la nostra terra» e negli ultimi numeri del documento convoca, oltre alla liturgia, anche un mistico e poeta come san Giovanni della Croce. Perché, se è vero – come confessava il grande Blaise Pascal nei suoi Pensieri (n. 206) – che «il silenzio eterno di questi spazi infiniti mi atterrisce», è altrettanto necessario riconoscere che questo stesso silenzio può essere non mera assenza, quasi fosse «nero» e vuoto, ma può essere «bianco», cioè sintesi di tutte le parole fondamentali e supreme, come accade per i colori.