Un «grande Logos» per il dialogo delle culture

Lo speciale “Quel che resta di Ratisbona” è a cura di Gabriele Palasciano. Testo di Enrico Riparelli*.

[…] Prendiamo allora il via dall’annotazione che, volendo individuare il nucleo della tesi interculturale della lectio magistralis, esso può essere riconosciuto nella impossibilità di stabilire un dialogo tra le culture e le religioni ricusando la mediazione di un Logos irriducibile alla sola ragione calcolante. Nell’affrontare l’ampia questione del rapporto tra fede e ragione Benedetto XVI ricorda allora una discussione intercorsa tra l’imperatore bizantino Manuele II Paleologo e un dotto persiano, durante la quale il primo rilevava che per Dio non agire secondo ragione sarebbe stato in contrasto con la propria natura. Il papa osserva quindi come una tale affermazione fosse evidentemente frutto dell’educazione greca del Paleologo e nel contempo sottolinea l’esplicito riferimento al Logos da parte del prologo giovanneo, dicendosi quindi convinto che l’incontro tra il messaggio biblico e il pensiero greco non sia attribuibile a un semplice caso ma piuttosto rappresenti il frutto di una necessità intrinseca. Passa quindi in rassegna due potenti iniziative operate dapprima dai teologi della Riforma e successivamente dalla teologia liberale per affrancare il cristianesimo da una sorta di guscio culturale che avrebbe velato il suo puro messaggio e così purificarlo dalla tanto denunciata «ellenizzazione». A questo punto Benedetto XVI prende in considerazione una terza ondata di de-ellenizzazione, affrontando la delicata (e per una teologia interculturale assai urgente) questione della posizione che viene ad assumere la prima fase di inculturazione del cristianesimo in rapporto ai successivi sviluppi dell’annuncio:

In considerazione dell’incontro con la molteplicità delle culture si ama dire oggi che la sintesi con l’ellenismo, compiutasi nella chiesa antica, sarebbe stata una prima inculturazione, che non dovrebbe vincolare le altre culture. Queste dovrebbero avere il diritto di tornare indietro fino al punto che precedeva quella inculturazione per scoprire il semplice messaggio del Nuovo Testamento e inculturarlo poi di nuovo nei loro rispettivi ambienti. Questa tesi non è semplicemente sbagliata; è tuttavia grossolana e imprecisa. Il Nuovo Testamento, infatti, è stato scritto in lingua greca e porta in se stesso il contatto con lo spirito greco, un contatto che era maturato nello sviluppo precedente dell’Antico Testamento. Certamente ci sono elementi nel processo formativo della chiesa antica che non devono essere integrati in tutte le culture. Ma le decisioni di fondo che, appunto, riguardano il rapporto della fede con la ricerca della ragione umana, fanno parte della fede stessa e ne sono gli sviluppi, conformi alla sua natura.

Rifiutando decisamente la logica sottesa alle tre ondate di de-ellenizzazione richiamate, il papa invita a un allargamento del concetto di ragione, spesso ristretto alla sola versione empirico-positivista, per accogliere invece un «grande Logos», il quale, grazie alla sua stessa natura intrinsecamente dialogica, si pone a legittimo fondamento dell’incontro tra le diverse culture e religioni:

Solo così diventiamo anche capaci di un vero dialogo delle culture e delle religioni – un dialogo di cui abbiamo un così urgente bisogno. Nel mondo occidentale domina largamente l’opinione che soltanto la ragione positivista e le forme di filosofia da essa derivanti siano universali. Ma le culture profondamente religiose del mondo vedono proprio in questa esclusione del divino dall’universalità della ragione un attacco alle loro convinzioni più intime. Una ragione, che di fronte al divino è sorda e respinge la religione nell’ambito delle sottoculture, è incapace di inserirsi nel dialogo delle culture […]. È a questo grande Logos, a questa vastità della ragione, che invitiamo nel dialogo delle culture i nostri interlocutori.

Per quanto concerne più da vicino la tematica interculturale possiamo osservare che Benedetto XVI ha proposto in particolare due tesi intimamente connesse:

  1. Il dialogo delle culture non può limitarsi a un generico invito alla tolleranza né essere mediato da una ragione sorda alla dimensione dello spirito, ma va fondato sulla base di un «grande Logos», ossia di una ragione disponibile ad aprirsi all’esperienza del divino.
  2. Neppure in un’epoca come la nostra, caratterizzata da un vivace pluralismo culturale, la fede cristiana può rinunciare alle decisioni di fondo che riguardano il rapporto della fede stessa con la ricerca della ragione umana, decisioni scaturite dall’incontro provvidenziale con l’ellenismo realizzatosi nella chiesa antica, per cui si comprende lo statuto speciale che viene ad assumere quella originale sintesi con la cultura ellenistica. […]

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* Enrico Riparelli, nato nel 1959, è un teologo italiano tra i maggiori specialisti di tematiche interculturali e interreligiose. Ha studiato filosofia e teologia a Padova, Venezia e Roma. Dottore in teologia cattolica e in filosofia, insegna interculturalità e religione presso la Facoltà Teologica del Triveneto, nella sezione dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Padova. Numerose sono le sue pubblicazioni riguardo alle tematiche interculturali e al dialogo tra le religioni.

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