Splendori cristiani brillano a Oriente

da Il Sole 24 Ore – 5 gennaio 2025 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Card. Ravasi analizza come il cristianesimo, nato in Oriente, ha lasciato un’impronta culturale e artistica notevole, dal Vicino Oriente al Medioevo. Il libro di Raphaëlle Ziadé esplora questa ricchezza attraverso opere d’arte e icone, culminando con testimonianze moderne.

Ex Oriente lux è un motto nobile e colto che non necessita di traduzione, soprattutto quando è adottato da una associazione di archeologi o da una rivista di egittologia. Sorprende, però, di vederlo talora usato anche da oculisti e persino da agenzie di viaggio che propongono itinerari nel Vicino o Estremo Oriente. Probabilmente a generarlo non è stato tanto il sorgere del sole a Est, quanto piuttosto la stella dei Magi che – secondo Matteo (2,2) – da Oriente guida con la sua luce questi personaggi fino al piccolo Gesù, dando il via a una sterminata iconografia.

Già Zaccaria, il padre del precursore Giovanni Battista, alludeva al Cristo come «un sole che sorge dall’alto per risplendere su quelli che stanno nelle tenebre» (Luca 1,78-79): è il sol ex Oriente a cui rimanderanno i Padri della Chiesa, come il papa Leone Magno il quale, tra l’altro, ricordava che ancora al suo tempo (V secolo) i cristiani romani, il giorno di Natale, prima di entrare nella basilica costantiniana di San Pietro, si rivolgevano verso il sole sorgente inchinandosi in segno di venerazione. Con un facile gioco di parole nel Medioevo si conierà una variante altrettanto lapidaria: ex Oriente lux, ex Occidente lex.

Questa premessa è destinata a introdurre due “luci” che da quelle terre brillano in modi diversi. La prima è una vera e propria esplosione luminosa che si riflette anche nel nostro Occidente, e che è espressa in un grandioso e sontuoso volume il cui titolo è già un programma, L’arte dei cristiani d’OrienteDall’Eufrate al Nilo. A edificare questa imponente architettura affidata a un’iconografia veramente impressionante (tutti gli aggettivi usati non sono enfatici ma realistici) è la studiosa Raphaëlle Ziadé, responsabile della sezione bizantina del Petit Palais di Parigi.

Può sembrare sorprendente e fin eccessivo, ma il cristianesimo è una religione orientale, non solo a causa del suo fondatore ma anche perché nei primi secoli la cultura cristiana si è manifestata attraverso un grandioso apparato artistico (oltre che letterario, teologico e persino politico) proprio nel Vicino Oriente, dall’Iraq all’Egitto, passando per Siria, Libano, Giordania e la Terrasanta. Questa fioritura topografica si manifestò in templi, in pellegrinaggi alle tombe dei martiri, in comunità monistiche, in tesori e arredi liturgici e naturalmente nelle Bibbie greche e siriache miniate.

L’irrompere dell’islam, nel VII secolo, non spegne quella luce sfolgorante, ma la abbassa di tono. Infatti, anche sotto gli Omayyadi e gli Abbasidi (VII-X secolo), l’arte cristiana, sia pure condizionata dalla nuova cultura, continua a irradiarsi nei dipinti murali e nei pavimenti musivi delle chiese, nelle immagini e nei manoscritti che svelano una letteratura cristiana araba. Si approda, poi, al Medioevo (XI-XIV secolo) ove entrano in scena i Crociati, ma si assiste anche alle epifanie mirabili delle icone e di una pittura originale. Al riguardo, stupisce che nel volume sia meno considerata Costantinopoli: solo per citare un esempio che abbiamo già illustrato in queste pagine, pensiamo alla chiesa di Chora, a Istanbul, col suo artefice Teodoro Metochita (1270-1332).

Il 29 maggio 1453 si compie una svolta radicale a tutti nota, con le armate turche che conquistano proprio la bizantina Costantinopoli, allora rinsecchita in una triste decadenza (aveva solo 50mila abitanti!). Si inaugura l’impero ottomano che perdurerà fino al XIX secolo e che farà affievolire ma non offuscare la luce dell’arte cristiana. Essa riuscirà a esprimersi sia coi manoscritti e gli stampati, sia soprattutto con le icone, in particolare quelle che compongono il palinsesto dell’“iconostasi”, la parete lignea divisoria tra l’area sacra e sacerdotale e quella assembleare. Le ultime illustrazioni del volume (lo ripetiamo, veramente affascinante nella sterminata sequenza delle immagini) rincorrono persino gli ultimi modesti dipinti popolari dei nostri giorni, come l’ingenuo acquerello finale dei «martiri di Libia» (2015), custodito nel Petit Palais parigino ove, come si diceva, opera Raphaëlle Ziadé, a cui dobbiamo questo lungo viaggio tra gli splendori cristiani dell’Oriente.

Tuttavia, da quell’islam entrato in dialettica con la cristianità d’Oriente, vogliamo far filtrare un’altra luce, sottile e percepibile solo indossando occhiali speciali. Fuor di metafora, proponiamo un arduo testo mistico persiano attribuito all’oscuro poeta sufi Shams al-din Bardasiri, morto attorno al 1220, il cui titolo rivela già un suo particolare chiarore, La Lampada degli Spiriti. Sarà un esercizio impegnativo, possibile solo se ci si affida a uno dei massimi iranisti italiani, Carlo Saccone, dell’università di Bologna, che ne ha curato la prima versione italiana (e in una lingua europea).

Siamo davanti a una sorta di dittico poetico di quasi 1100 versi, distribuiti in 69 capitoli. Nella prima più vasta tavola l’io narrante interpella il suo maestro spirituale sui temi teologici tradizionali (creazione, antropologia, escatologia, preghiera, etica e così via), ma anche su soggetti sorprendenti come l’astrologia e la cosmologia in un gioco pirotecnico di spunti esoterici. Più attraente è la seconda tavola del dittico, minore per estensione, ove si dipana un esaltante viaggio dell’anima in otto città simboliche interiori, in un’esperienza quasi analoga alla contemporanea Divina Commedia, sia pure con modalità, qualità ed esiti ben minori e differenti. L’originalità di questo itinerario da un abisso infernale a una vetta paradisiaca è che esso si consuma all’interno dell’anima, in un percorso intimo che non esita a incrociare anche la mistica di Mosè, Gesù e Zarathustra, in un inatteso dialogo interreligioso.