Spes: l’ultima dea?

Marzo 2020. Pandemia. Tutto il mondo: “Il 2021 andrà meglio!”. Marzo 2021. Sempre pandemia. Tutto il mondo: “Il 2022 andrà meglio!!” (due punti esclamativi perché dopo le fatiche dell’anno passato serve più carica). Marzo 2022. Guerra in Ucraina e, nel frattempo, pandemia. Ora, chi se la sente di dire che il 2023 andrà meglio? Meglio non alzare mani. È molto difficile pensare positivo (termine da evitare di questi tempi). Lo sconforto dilaga, giustamente. Tante preoccupazioni e paure, e nessuna luce in fondo al tunnel. Nessuno perde più tempo a sperare in un futuro migliore. Ci si interroga su come sarà il futuro: le mascherine saranno obbligatorie per sempre? Impareremo a convivere con il virus? Scoppierà una Terza Guerra Mondiale? Vincerà la diplomazia? Etc. L’interesse verso il futuro è calibrato solo in termini di angoscia. Sembra che vi sia una resa al dover sopravvivere, piuttosto che vivere. Reagire più o meno passivamente a tutto ciò che ci spetta di fare nel nostro ordinario. Studiare, lavorare, coltivare le nostre relazioni interpersonali. Per dirla in maniera sintetica e semplice, l’umore è basso. I dati statistici parlano chiaro e già il solo Bonus psicologo può essere strumento di misura per comprendere la situazione. A questo punto, non ci resta che dar ragione ai pessimisti, che, in quanto tale, non possono essere delusi dalla vita. Aspettando sempre il peggio non si può soffrire (fosse vero!). I pessimisti sono quindi diventati realisti? Alla fine, cosa abbiamo da sperare? Guardiamo in faccia la realtà, grazie. Fine.

Invece, no, non finisce così. Chi ha fatto la Storia? Di certo non i pessimisti, ma neanche gli ottimisti. L’ottimismo è un’inclinazione personale, una qualità positiva che tende a perdere il contatto con il principio di realtà. Chi ha fatto la Storia, quindi? Chi ha vinto le battaglie contro le ingiustizie e le discriminazioni? Chi ha sacrificato la propria vita o ha rischiato di perderla per una causa? Chi ha raggiunto mondi inesplorati? Gli uomini di speranza, definita dalla Treccani come “sentimento di aspettazione fiduciosa nella realizzazione, presente o futura, di quanto si desidera”. La speranza è una virtù e le virtù si possono coltivare (per i cristiani rientra nelle tre virtù teologali, insieme a fede e carità). In quanto tale richiede, quindi, costanza. Il salto dalla speranza alla disperazione è corto (de-sperare: assenza di speranza). I continui eventi della vita ci mettono alla prova, è inevitabile. Rimanere costanti nella speranza è difficile. Eppure, non possiamo farne a meno. Secondo Husserl, filosofo austriaco vissuto a cavallo tra Otto e Novecento, l’uomo è “un essere che progetta il suo futuro” e questo deriva proprio dal desiderio di felicità insito nell’uomo, che aspira sempre a un ad maiora. Avere speranza non è banale. Avere speranza richiede forza e convinzione. Richiede di avere degli obiettivi da raggiungere, un impegno per sé e per gli altri. Amore per sé e per gli altri. Il coraggio di lottare perciò in cui si crede e dare un significato profondo al nostro essere qui. “Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro” ha detto una volta Papa Paolo II.

Costanza Saliola