
31 Gen Per una “lettura pedagogica” del Discorso di Ratisbona
Lo speciale “Quel che resta di Ratisbona” è a cura di Gabriele Palasciano. Un testo di Andrea Porcarelli*.
Il discorso tenuto da papa Benedetto XVI ai rappresentanti della scienza nell’aula magna dell’Università di Regensburg, può essere letto – in prospettiva pedagogica – come un percorso formativo, proposto a persone adulte (che in questo caso sono anche professori universitari, attivamente impegnati nella costruzione di beni di cultura), mirante a favorire una progressiva presa di consapevolezza di alcuni punti di riferimento, secondo una logica che – nella letteratura pedagogica – viene identificata come quella dell’apprendimento trasformativo.
Sullo sfondo di tale percorso vi è uno scenario culturale in cui diversi pregiudizi gravano sulle sorti di un fecondo dialogo tra fede e ragione nel mondo di coloro che sono costruttori attivi di una cultura accademica. Vi è un pregiudizio scientista, per cui l’unica forma di “ragione” accettabile sarebbe quella di tipo positivista, che esclude a priori non solo la prospettiva teologica, ma anche quella di una filosofia aperta ad una dimensione soprasensibile. Vi è poi un pregiudizio di tipo laicista, caratterizzato dalla diffidenza nei confronti del ruolo pubblico o sociale della religione e quindi “chiuso” ad una prospettiva teologica che rischia di vedersi relegata nel regno delle libere opinioni o delle ingiustificate fantasie. Con un pizzico di humor Benedetto XVI, dopo avere comunque affermato come l’Università ospitante fosse fiera delle sue due facoltà teologiche (cattolica ed evangelica), rileva come una volta sia trapelata «la notizia che uno dei colleghi aveva detto che nella nostra università c’era una stranezza: due facoltà che si occupavano di una cosa che non esisteva – di Dio». La battuta appare come un inciso lieve, lasciato cadere con nonchalance, ma ha una funzione all’interno del percorso di cui si è detto: si tratta comunque di far prendere coscienza del fatto che sia presente (in modo più o meno massiccio) tale pregiudizio laicista anche nel mondo accademico. In realtà il rischio di un laicismo pregiudiziale è molto più diffuso di quanto potrebbe lasciar cogliere il tono garbato dell’accenno di Benedetto XVI ed è capitato a molte persone – compreso chi scrive – di toccarne con mano la presenza e le conseguenze sul piano accademico. Tale rischio riguarda, evidentemente, non solo la teologia cristiana (nelle sue diverse confessioni), ma anche tutte le altre sapienze teologiche che fanno riferimento alle altre religioni, per cui il percorso in cui si propone un cammino di riconciliazione tra fede e ragione ha un potenziale interculturale fin dalle sue radici: sgombrare il campo da pregiudizi che sono dannosi per tutti, favorisce certamente anche il dialogo tra le diverse culture e religioni. Senza contare il fatto che lo stesso dialogo con la cultura laica, una volta aiutata a superare i pregiudizi laicisti, si può configurare come un dialogo interculturale, tra i più urgenti nel tempo in cui viviamo.
Proviamo ora a seguire il percorso proposto in prospettiva pedagogica, per vedere non solo “che cosa” vuole comunicare il messaggio, ma anche “come” si vuole portare l’interlocutore a prendere sul serio alcune consapevolezze. […]
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*Professore associato di pedagogia generale e sociale all’Università degli Studi di Padova.