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Parità di genere e violenza contro le donne: il nostro percorso con i giovani

Rispetto. Ascolto. Dignità. Identità. Il “Cortile dei Gentili” ha lavorato su questi atteggiamenti, su questi valori, per affrontare l’urgente tema della violenza contro le donne e della parità di genere. Abbiamo voluto farlo con i giovani e per i giovani, voci e volti del futuro. Perché, come ha affermato il Card. Gianfranco Ravasi, “contro la violenza di genere e i femminicidi non serve l’educazione sessuale, perché i ragazzi di oggi sanno già tutto. Serve un’educazione culturale”. 

*Il presente articolo è stato pubblicato sul n° 2/2018 della Rivista di Scienze dell’Educazione della Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione Auxilium.

Il “Cortile dei Gentili”, dipartimento del Pontificio Consiglio della Cultura per il dialogo tra credenti e non credenti, ha raccolto lo spunto e l’invito del Card. Gianfranco Ravasi, affrontando l’urgente tema della violenza sulle donne e della parità di genere – nelle famiglie, nella società, nelle scuole e nel mondo del lavoro. E ha voluto farlo con i giovani, per i giovani, voci e volti del futuro.

Gli eventi e gli incontri promossi dal “Cortile degli Studenti” – a cui hanno partecipato numerosissimi gli alunni dei licei di Roma – hanno raccolto testimonianze, riflessioni e domande su diversi aspetti e sfumature del fenomeno, come il ruolo dell’uomo e della donna nella società moderna, sui modelli culturali da promuovere o abbandonare, sul ruolo che media, web e social network hanno e dovrebbero avere nel contrastare il fenomeno.

Le iniziative organizzate, tuttavia, sono solo l’inizio di un cammino avviato dal “Cortile dei Gentili” insieme ai giovani. Perché, come ha sottolineato il Cardinale Ravasi, “l’unico strumento di prevenzione della violenza, in generale e nello specifico contro le donne, è l’educazione, e questo è un grande compito per la scuola e per la Chiesa”.

Sessualità, possesso e controllo, tra cultura, educazione e natura: le riflessioni dei ragazzi

Il nostro viaggio con i giovani sul tema della violenza contro le donne inizia nell’autunno del 2016; nelle aule del Pontificio Consiglio della Cultura, il Card. Gianfranco Ravasi e il Prof. Giuliano Amato – presidente della Consulta scientifica del “Cortile dei Gentili” – hanno incontrato gli alunni del Liceo Classico “Torquato Tasso” di Roma, accompagnati dal Prof. Sergio Ventura, coordinatore del “Cortile degli Studenti”.

Un incontro a porte chiuse, un’aula piena di giovani, volti curiosi e attenti, un dialogo libero e vivace: tra le prime riflessioni, il problema della relazione tra violenza e sessualità e, di conseguenza, il desiderio di legame affettivo e sessuale e i concetti di possesso e controllo sull’altro.

Gli spunti di riflessione e le domande a cui dare risposta sono numerose: il possesso è legato a una questione culturale, cioè è la cultura che ci ha abituato, con l’ideologia religiosa o filosofica, a possedere il femminile, o è un dato naturale? È la natura che ha dato un imprinting su cui la cultura ha agito, oppure è la cultura che ha esasperato una tendenza già insita nell’uomo? Qual è il ruolo, in questo contesto, dell’autorità? Esistono dei modelli di eroi ed eroine a cui ispirarsi? La società insegna a riconoscerli? E i media, quale messaggio vogliono veicolare?

La questione della violenza sulle donne risale alla Bibbia, e questo significa che i cambiamenti culturali che sono intervenuti da allora non hanno interrotto la continuità di un fenomeno che continua a esserci. Tuttavia, nel nostro tempo, si dà grande importanza al cambiamento culturale insito nell’emancipazione femminile, quindi, nel fatto che la donna non sia più un animale mansueto, a disposizione – anche sessualmente – del maschio, ma un pari che parte dal principio, per altro giusto, che l’amore si fa in due e che un singolo non può avere a disposizione un corpo per soddisfare i propri istinti sessuali. Questo ha creato un’enorme crisi del maschio, che, oggi, è dominato da quest’ansia, la più antica ansia di prestazione, nei confronti di una donna che decide liberamente il come e il quando dei rapporti sessuali. A questo punto la violenza può diventare essa stessa prodotta dalla paura della donna, più che dall’affermazione del possesso della donna. È come se l’uomo provasse paura e, per vincerla, usa la violenza, riaffermando, così, l’antico possesso nei confronti di un esso che è diventato una lei. Se le due cose si mettono insieme, riaffiora l’affermazione del possesso per sconfiggere la paura. Questa è una cosa che nei sentimenti maschili, anche se non dichiarata, è possibile che ci sia, ma solo i maschi lo sanno; le donne possono solo percepirlo”, esordisce il Prof. Amato, dando avvio alla discussione.

Non mancano le riflessioni e le opinioni dei giovani. Giovanni, diciassettenne, sostiene che oltre all’influsso culturale, esista anche un dato naturale, insito nella natura maschile, che lo spinge a dominare, anche fisicamente, la donna. La necessità dei giovani di appartenere ad gruppo di riconoscimento, di identificarsi in un determinato ruolo – quello del “macho invincibile”, modello spesso proposto dai media e dall’industria culturale – inoltre, sono fattori che, secondo lo studente, contribuiscono a promuovere una percezione della donna come oggetto, esclusivamente legato all’affermazione di sé, utile ad alimentare lo stereotipo di “uomo alfa”.

A tal proposito Alessandra, 20 anni, sottolinea come i modelli maschili promossi da televisione, riviste e film abbiano effetto non solo sui ragazzi, ma anche sulle ragazze. Racconta la sua esperienza personale, parla di amiche profondamente convinte di aver bisogno di un maschio forte per sentirsi complete, definite, protette. Per Alessandra è proprio in questo meccanismo che va ricercato il problema culturale: tra uomo e donna la relazione di possesso si instaura perché mancano esempi e narrative positive e si moltiplicano, invece, i contenuti che associano “maschi forti” a “donne deboli”.

La voce di Chiara, 17 anni, è fuori dal coro. Negli ultimi anni, afferma convinta, sono nati molti più modelli femminili positivi di quanti ce ne siano mai stati. Nei libri, nei film, nelle serie tv, sui giornali – da Star Wars a Anna Karenina, da Madame Bovary a Michelle Obama – giovani donne, eroine dei tempi moderni, trovano il loro spazio. Non mancano le storie, dice, manca la capacità di identificarle, di saperle riconoscere.

Ma si può parlare davvero di eroine femminili? Eugenio, 16 anni e tante domande, nelle donne-simbolo proposte oggi fatica a vedere una reale figura di “eroe”, concretamente codificata; non c’è progresso ma solo perbenismo, provoca, nel rappresentare le donne – così come molte altre minoranze – connotandole semplicemente con gli stessi elementi solitamente attribuiti agli uomini. Nei prodotti televisivi, in particolar modo, Eugenio riconosce una tendenza sempre più accentuata a proporre minoranze sociali, gruppi culturali e figure prima ritenute marginali, in modo superficiale e poco profondo, solo perché considerato “politicamente corretto”, solo perché dà illusione di progresso e uguaglianza.

E ancora, accanto a modelli culturali diversi, crede fermamente che sia necessario promuovere un diverso tipo di educazione, orientata al non uso della violenza e non all’uso selettivo della violenza. “Non picchiare le donne”, “non picchiare i più deboli”, ripetono spesso genitori e insegnanti ai figli, quasi come se fosse invece legittimo picchiare un uomo, picchiare un ragazzo simile a sé per statura e forza. Fa delle riflessioni. La semplicità delle affermazioni di Eugenio è disarmante: “non picchiare, non fare del male. A nessuno. Punto”, dice. È questo il messaggio da veicolare.

Il dibattito alla Regione Lazio: prepotenza e paura, la dignità delle donne contro la violenza

Le riflessioni, la partecipazione e l’entusiasmo – così come le domande rimaste irrisolte, gli spunti ancora da approfondire e le considerazioni acute e profonde – dei primi incontri hanno reso necessario ampliare il dibattito e la conversazione sul tema. Nel marzo 2017, dunque, oltre 300 studenti – dai licei Tasso, Dante, Gassman, Albertelli, Pacinotti, Visconti, Kennedy, De Chirico – si sono riuniti alla Regione Lazio, di fronte al Card. Gianfranco Ravasi, il Prof. Giuliano Amato, la Prof.ssaFrancesca Corrao, esperta islamista e membro della Consulta Scientifica del “Cortile dei Gentili”, la Prof.ssa Consuelo Corradi, Presidente della Fondazione Cortile dei Gentili, la Dott.ssa Giorgia Abeltino, Direttore delle relazioni istituzionali di Google Italia,Gemma VecchioeMaite Bulgari, CEO di Anthos Produzioni. Ad accogliere i ragazzi anche il Presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti.

“Come possiamo tornare ad essere interessate prima di tutto a noi stesse, senza dover piacere agli altri? È la fragilità a far alzare all’uomo le mani? Come il modello del macho emargina quello del “panda gentile”? Quanto l’educazione familiare è responsabile della violenza tra sessi, e in particolar modo della violenza contro le donne?” sono solo alcune delle domande fatte dai giovani presenti in sala.

Secondo il Prof. Giuliano Amato, la violenza nasce dalla paura della donna, più che dall’affermazione del suo possesso: “Il problema non è la donna, ma l’uomo. Il dramma di oggi è il suo gigantesco disadattamento. La storia dell’umanità è segnata dal maschio che vuole dominare, nonostante la sua dipendenza dalla donna. Oggi, invece, si trova di fronte all’emancipazione femminile, quindi, al fatto che la donna non sia più un animale mansueto, a disposizione, anche sessualmente, del maschio, ma un pari. Il modello di macho, gli è di conforto, gli restituisce apparente sicurezza”.

A mettere in luce la natura del rapporto uomo-donna, il Cardinale Gianfranco Ravasi, il quale descrive la relazione con le parole iores: “La donna è vista come una cosa e a dominare è il primo anello della figura umana, quello sessuale, che condivide con gli animali. Oggi la relazione ha perso la dimensione dell’eros, ossia della tenerezza, del sentimento, e quella dell’amore, il vertice di tutto. L’atto d’amore è guardarsi negli occhi”. Ricorda anche le parole di Pascal: “Nella fede, come nell’amore, i silenzi sono più eloquenti delle parole”.

Segue, poi, il toccante intervento di Gemma Vecchio, la quale, raccontando la sua esperienza personale, ha posto l’accento su un aspetto preciso: “Venendo dall’Africa pensavo che agli occidentali non appartenessero forme di violenza. La cultura è qualcosa di bello, di alto, ma si tratta di un costume che cambia in base al luogo, al progresso, al benessere e alle leggi di un Paese. Tutto dipende, quindi, dall’emancipazione, dal rispetto e dal riconoscimento delle pari opportunità”.

La Dott.ssa Abeltino richiama la questione del cyberbullismo, propriamente occidentale: “Questo tema è molto sentito da Google. Nelle grandi aziende digitali vige il principio ‘tolleranza zero alla violenza e al razzismo’. La tecnologia è fondamentale, ma deve essere responsabile. Anche gli utenti, le persone, devono indignarsi e segnalare contenuti ‘non appropriati’. Il cambiamento richiede l’intervento di tutti”.

Il motore della lotta alla violenza è l’intervento degli educatori, e soprattutto delle famiglie, sostiene poi la Presidente della Fondazione Cortile dei Gentili, Consuelo Corradi: “La famiglia è importante perché insegna il rispetto degli altri. Non si può pensare che la violenza possa esser vinta mettendo le donne contro gli uomini e viceversa. Quando la violenza ha inizio non si sa mai chi è stato il primo. Il punto è fermarla quando la vediamo”.

Contrastare la violenza sulle donne: l’incontro al MIUR in occasione della Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne

Un ulteriore momento di dialogo concreto e sincero: in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne del 25 novembre, il “Cortile dei Gentili” organizza un incontro tra gli studenti dei licei di Roma, il Card. Gianfranco Ravasi e la Ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Valeria Fedeli.

Sono stati proprio i ragazzi a dare inizio al confronto, con riflessioni profonde, esperienze complesse e domande sfidanti. Lorenzo, 17 anni, alla domanda “cosa si può fare per aiutare una ragazza che ha subito delle violenze?”, risponde sicuro: “Si ascolta”.

D’accordo anche il Card. Ravasi, che commenta: “Lorenzo ha usato un verbo significativo: ascoltare. Sapere di avere una persona di cui fidarsi può essere un’oasi, un primo punto di partenza per ricostruire e per combattere l’indifferenza, che è una delle più grandi malattie del nostro tempo”.

Giulia, 18 anni, riflette invece su una questione tanto drammatica quanto comune. Tante donne sono così legate al proprio partner, che non solo non lo denunciano, ma spesso rifiutano l’aiuto degli altri; addirittura li accusano, li allontanano. È sconcertate, certo, ma allo stesso tempo frequente che una donna difenda una relazione malata. “Spetta a noi – nella figura di un amico, di un familiare e soprattutto della comunità educante – convincerla che sta facendo uno sbaglio”, risponde il Cardinale Ravasi.

Questi solo alcuni dei numerosi temi che sono stati affrontati nella mattinata, durante la quale Sua Eminenza il Card. Ravasi ha sottolineato: “La sessualità è una componente dell’essere umano, guidata dall’istinto. L’eros, invece, è guidato dalla bellezza e dalla tenerezza dei sentimenti. Ma solo l’amore è donare e donarsi. L’errore dell’uomo è chiamare amore tutto il resto. Il lavoro da fare è questo. È riscoprire e ricordare la bellezza e l’importanza dell’amore, inteso come rispetto, come reciprocità”.

È intervenuta nel dibattito anche la Prof.ssa Consuelo Corradi, Presidente della Fondazione Cortile dei Gentili e Pro-Rettore alla Ricerca e all’Internazionalizzazione dell’Università Lumsa rilevando che: “Le donne vittime di violenza si sentono sole. E per far sì che smettano di sentirsi sole ci vuole un accompagnamento”. “Intorno ad una vittima, ad una ragazza che sta soffrendo e che da sola non ce la può fare, noi dobbiamo esserci, dobbiamo ascoltarle – ha ribadito il Cardinale – ma dobbiamo anche fare rete, offrire loro un supporto concreto”.

Nel corso dell’evento gli studenti hanno potuto assistere anche allo spettacolo dell’Associazione Opera Liquida la compagnia teatrale della Iª Casa di Reclusione Milano Opera, che ha portato in scena Undicesimo comandamento: uccidi chi non ti ama, spettacolo che si propone di incoraggiare le donne vittime di violenza a reagire utilizzando gli strumenti legislativi esistenti.

Il percorso di alternanza scuola-lavoro: la narrazione mediatica e il ruolo dell’informazione

Nella convinzione che solo una cultura matura e attenta ai grandi temi della società possa contribuire a rendere gli studenti cittadini del futuro, consapevoli e attivi, il “Cortile dei Gentili” ha portato avanti il suo impegno nei confronti dei giovani proponendo modelli culturali positivi. Attraverso una didattica innovativa, pensata per permettere agli studenti dei Licei di coniugare la conoscenza con l’esperienza pratica, un progetto di Alternanza scuola-lavoro è stato realizzato con quindici studenti del Liceo Classico Tasso di Roma. I giovani hanno avuto l’opportunità di partecipare a laboratori formativi e pratici per indagare e approfondire le modalità di narrazione mediatica della violenza di genere e il ruolo che web e mezzi di informazione giocano nel costruire la percezione pubblica del fenomeno.

Grazie all’intervento e alla partecipazione di professionisti del settore – come Paola Saluzzi, Gianluca Semprini, Nello Scavo, Luca Attanasio e Daniele Autieri – gli studenti hanno avuto la possibilità di apprendere e sperimentare teorie e tecniche del giornalismo, mettendosi alla prova e realizzando articoli, elaborati scritti, video interviste e contenuti per i social media.

Il progetto di Alternanza scuola-lavoro, tuttavia, ha un secondo obiettivo: oltre a fornire agli studenti competenze professionali concrete, ogni incontro ha approfondito vari aspetti della narrazione mediatica, strumento che ha il potere di trasmettere messaggi, consolidare opinioni e tendenze, condizionare i lettori meno attenti, promuovere e mostrare atteggiamenti culturali, cambiare una cultura che ancora pensa alla donna su un piano di subalternità.

Saper raccontare i fenomeni di violenza è fondamentale perché significa promuovere concretamente la prevenzione e il contrasto alla violenza. C’è sempre il rischio di banalizzazione e normalizzazione nell’atteggiamento dei media, i quali tendono ad attribuire ad alcuni episodiun carattere di accettabilità, persino di desiderabilità sociale dei fatti. Non di rado si parla di violenza di genere alimentando il mito della passione, descrivendo un carnefice mosso da gelosia, da rancore, da “troppo amore” per la vittima. Purtroppo questo tipo di narrativa deresponsabilizza l’autore e, il modo in cui vengono ricostruite le relazioni, dipinte come conflittuali, rischia di giustificare la violenza come una reazione, spostando la responsabilità dall’aggressore all’intera dinamica di coppia.

Sempre più spesso le donne che hanno subito violenza vengono dipinte come vittime o soggetti passivi incapaci di reagire, e gli stereotipi culturali che vedono la donna subordinata all’uomo continuano a persistere. Tali meccanismi narrativi attribuiscono responsabilità, più o meno apertamente, al sesso femminile, colpevole di aver indossato abiti poco consoni o aver adottato atteggiamenti in qualche modo consideranti imprudenti o compromettenti.

Tra gli altri temi trattati, anche le violenze psicologiche, non meno comuni o dannose di quelle fisiche, ma che, a causa della loro minor attrattiva sul pubblico, vengono spesso omesse dai racconti dei media.

Parità di genere, omosessualità, violenza e senso di colpa

Tra le riflessioni più interessanti dei ragazzi ricorrono anche quelle relative alle dinamiche relazionali e ai fenomeni di violenza nelle coppie omosessuali. Continuando a riflettere sui concetti di identità, parità, modelli culturali e simboli sociali, gli studenti si sono chiesti più volte se i fenomeni di violenza fossero più comuni e in qualche modo riguardassero esclusivamente la relazione uomo-donna o potessero essere ricondotti ai rapporti di coppia in generale.

Francesco, 16 anni, racconta un fatto di cronaca avvenuto nel suo quartiere: il suicidio di un suo coetaneo omosessuale, spesso deriso ed emarginato dai compagni. “Di chi è la colpa, se esiste una colpa?”,si chiede Francesco. Se la vittima è un ragazzo non parliamo più di violenza di genere? Ma non è forse la violenza psicologica – sia essa esercitata su una donna o su un uomo – pericolosa e potente tanto quanto quella fisica? Educazione, istruzione e tutela legale sono le uniche risposte a questo tipo di fenomeni.

Anche Marco, sulla questione della violenza all’interno delle coppie omosessuali, reagisce. Ricorda un’analisi statistica, condotta da un’equipe inglese o tedesca, da cui è emerso che tanto nelle coppie eterosessuali, quanto in quelle omosessuali, è presente la violenza su vari livelli, psicologico, fisico o verbale; e che non esiste una violenza 70-30 o 30-70, ma delle violenze 50 e 50, cioè su diversi livelli ma egualmente problematici. Per quanto riguarda, invece il tema dei femminicidi, rapporta che dagli anni novanta a oggi, sono molto diminuiti, rimanendo stabili in alcuni periodi e diminuendo in altri.  Possiamo quindi semplicemente dire che molti giornalisti hanno fatto carriera su quello e, con il fatto che oggi ci siano i social network, qualunque informazione può diffondersi molto rapidamente. Questo per dire che un singolo femminicidio ha una risonanza molto maggiore rispetto ai cento di dieci anni fa.

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