L’Isis distrugge l’arte: tre domande a Claudio Strinati

Tre domande a Claudio Strinati.

Professor Strinati, andando oltre l’immediato impulso di dolore, smarrimento, indignazione, perché è gravissima la distruzione di opere d’arte che, come in questa atroce situazione, giungono dai secoli?

È gravissima perché l’arte è una testimonianza preziosa e irripetibile. È l’unico documento storico che contiene in sè la doppia caratteristica del passato e del presente. A differenza, infatti, di qualsivoglia documento cartaceo o video l’opera d’arte è presente nella sua materialità al passare del tempo. I rivoltosi hanno toccato oggetti che sono antichi (alcuni peraltro sono veramente copie il che mi fa pensare che abbiano anche voluto stupire e deridere) perché prodotti in tempi remotissimi ma nella loro sostanza materiale sono presenti e quindi sempre contemporanei all’epoca in cui vengono fruiti.

La Primavera del Botticelli è lo stesso oggetto che il Botticelli stesso toccò e così tutte le opere d’arte figurativa di questo mondo. Certo anche la copia della Magna Charta che si conserva in Inghilterra è scritta sulla carta che l’amanuense adoperò all’epoca, ma quel che conta massimamente nel documento d’archivio è il contenuto. Così possiamo leggere la Divina Commedia su internet senza per questo perdere la sostanza artistica dell’opera, ma nel caso del Botticelli l’opera e il suo supporto materiale coincidono tanto che se la vediamo in riproduzione perdiamo comunque l’essenziale.

Perdere dunque oggetti simili vuol dire depauperare una esperienza che andrebbe invece rigorosamente tutelata perché è l’unica, insieme con la fede religiosa, che suggerisce all’essere umano una dimensione del tempo che travalica le vite dei singoli e unisce le generazioni.

Che posto occupa, nella formazione di una coscienza libera, un’opera d’arte classica? Penso, tra esempi sommi, a Raffaello, Leonardo, Michelangelo.

Occupa una posizione ragguardevole. Il concetto stesso di classicità significa appunto questo: uno scrigno di memorie e di conoscenze che restano valide al mutare delle mode, delle tendenze, delle idee finanche.

Dostoevskij scrisse che la bellezza salverà il mondo. Perché, secondo lei? E perché negarla?

Non è del tutto esatto. La frase di Dostoevskij non vuole significare precisamente questo. Peraltro è profondamente vera nella sostanza perché la bellezza è quella dimensione che l’essere umano avverte comunque come più vicina alle sue aspirazioni. Dunque salverà il mondo non perché lo preserverà dal male (che spesso assume le sembianze del bello e dell’attraente) ma perché preserverà l’attitudine alla scelta dell’essere umano, la sua più alta funzione che comunque lo preserva dall’annientamento.

Anche se il mondo deve salvarsi, per così dire, ogni giorno e non in una prospettiva escatologica che pertiene solo alla sfera religiosa.

di Vittorio V. Alberti

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