Le diverse modalità di creazione

da Il Sole 24 Ore – 15 maggio 2022 – di Gianfranco Ravasi

In questo articolo il Cardinal Ravasi parla del rapporto tra arte e intelligenza artificiale, un tema molto attuale nello Stato Vaticano, composto per due terzi da musei e monumenti.

«Ogni tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia». Ovviamente paradossale è questa affermazione di Arthur C. Clarke, l’autore nel 1968 di quel 2001: Odissea nello spazio, divenuto la base del famoso film di Stanley Kubrick. Eppure questo popolare scrittore di fantascienza, morto nel 2008, fu sempre preoccupato della verosimiglianza scientifica delle sue creazioni letterarie. Il motto che abbiamo citato è usato come epigrafe del primo saggio a cui rimandiamo, anche perché esso incrocia scienza e arte, ossia la fin esasperata tecnologia dell’intelligenza artificiale (IA) e la magia della creazione artistica.

Ho scelto di inoltrarmi in questo orizzonte così nebuloso, correndo il rischio di cadere nell’«effetto Dunning-Kruger», altrimenti detto «paradosso dell’incompetenza» (ignoranza della propria ignoranza), perché l’IA non è solo il mantra che viene introdotto in quasi tutti i convegni, ma perché è oggetto di ricerca anche in sede etica e nei dialoghi che svolgiamo all’interno del «Cortile dei Gentili» vaticano, ossia nel confronto intellettuale tra credenti e non credenti. Inoltre, il minuscolo Stato di cui sono cittadino, la Città del Vaticano è per oltre due terzi occupato da musei, monumenti artistici e giardini, così che l’arte è quasi uno dei vessilli ideali della Santa Sede.

Al crocevia tra la creazione artistica e l’elaborazione dell’IA si sono insediati i due volumi a cui ora alluderemo, affidati soprattutto ai cultori specifici dei due percorsi che in essi si intrecciano. Uno straordinario apparato iconografico costituisce, inoltre, una sorta di guida parallela. È Rebecca Pedrazzi ad aprire lo sguardo sui «futuri possibili scenari» del connubio tra le due esperienze e lo fa anche interpellando tredici IA-artisti dalle modalità espressive molto variegate (tra costoro suggeriamo per l’originalità del loro approccio l’inglese Anna Ridler, l’argentina Sofia Crespo e l’italiano Mauro Martino).

Lo status delle relazioni tra i due percorsi appare evidente a livello operativo: l’IA è ormai uno strumento efficace nella tutela delle opere e nella divulgazione didattica (esemplari sono il Metropolitan e il MOMA di New York, come la Tate londinese e il progetto Google Arts and Culture). Sorprendenti sono i chatbot, robot che espletano la funzione di assistenti intelligenti, pronti a presentare le opere d’arte e persino a interagire con gli umani quasi fossero guide. Preziosi sono anche i compiti di catalogazione, di registrazione, di tracciamento attraverso la blockchain, così come frequente è il ricorso a pagamenti virtuali (spesso attraverso l’uso di cripto valute come il bitcoin) per lo scambio e il commercio di opere. Importante è pure il ruolo dell’IA nella conservazione delle opere (la collezione SOLO di Madrid).

Ma l’aspetto più stimolante e provocante è la proposta di una «neuro-estetica», esplorando il generarsi della percezione della bellezza nella mente umana, così da isolare il processo attrattivo esercitato da un’opera d’arte. Si transita, per questa via, in un ambito antropologico ove emergono le questioni basilari dell’umano, a partire dai canoni universali o meno della categoria «bellezza» e del loro interagire con eventuali paradigmi biologici. Si passa così, quasi senza soluzione di continuità, al secondo volume curato da una studiosa di estetica, Alice Barale, che convoca vari attori in un campo particolare dell’IA in dialogo con l’arte, indicato nel sottotitolo criptico Be My Gan.

L’avvio è storico anche se apparentemente fantascientifico: nel 2018 la casa d’aste Christie’s ha battuto il dipinto Edmond de Belamy, realizzato da un collettivo francese con l’assistenza dell’IA, e subito dopo la concorrente Sotheby’s ha immesso un’installazione del tedesco Mario Klingemann (presente anche nel primo volume), pioniere dell’uso delle GAN, ossia Generative Adversarial Networks, le reti generative antagoniste. Come scrive la Barale, si tratta di «due reti neurali che giocano l’una contro l’altra. Una, detta discriminator, è istruita a partire da alcuni dati (immagini o testi o suoni). L’altra, generator, deve produrre una nuova serie di dati, abbastanza simili a quelli iniziali da far sì che il discriminator possa confonderli con essi» e quindi vagliarli.

Detto in altri termini, si tratta di due reti dotate di IA che interagiscono come le sinapsi del nostro cervello, attraverso però circuiti elettrici. Messe in competizione tra loro, la generator ha il compito di elaborare i dati esterni offrendone un’analisi (ad esempio, l’immagine di un oggetto nascosta in un quadro confuso); la discriminator, con una conoscenza programmata o acquisita da sé come machine learning, valuta e vaglia la produzione della prima. Di fronte a questo duplice sistema generativo-discriminativo, molti sono gli interrogativi oltre alle applicazioni.

I saggi presenti nel volume cercano di applicare le GAN alla creatività artistica, ma indirettamente offrono squarci per esplorare i processi creativi della mente umana che queste reti aspirano a riprodurre imitandoli. La domanda finale, certamente semplificata e provocatoria, potrebbe essere: queste IA riusciranno a valutare un’opera d’arte in modo originale rispetto all’essere umano o a produrre un’opera artistica il cui valore estetico sia analogo a quello di una creazione umana?

 

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