La meraviglia dell’altro

“In principio era la meraviglia” (E.Berti). Ed in effetti una parte importante della tradizione filosofica occidentale collega la filosofia, ossia la conoscenza, allo stupore: “la meraviglia è il principio della filosofia” – scrive Platone nel Teeteto; “il desiderio di conoscere nasce dalla meraviglia” – conferma Aristotele nella Metafisica. Basta poi scorrere la voce meraviglia contenuta nel ‘Dizionario filosofico’ di Nicola Abbagnano per leggere tra i nomi dei filosofi che assegnano alla meraviglia un ruolo decisivo nell’atto del conoscere quello del padre della filosofia moderna: René Descartes – Cartesio.

Non è un caso che il titolo di un libro ricco di citazioni in tal senso sia “Lo stupore che conosce”. E sempre per lo stesso motivo ‘Il Milione’ di Marco Polo, sottotitolato ‘Il libro delle meraviglie’ è stato considerato “il primo esempio di prosa scientifica moderna” (C.Salinari). In un interessante articolo di inizio millennio apparso sulla rivista Pluriverso, A.Mellucci e S.L.Chorover vedono poi, nel perduto legame tra “conoscenza e meraviglia”, “la crisi della scienza moderna”.

Lo stesso cristianesimo evidenzia il ruolo del thauma in due momenti decisivi della propria storia – resi paradigmatici ed approfonditi dalla tradizione protestante e ortodossa. Il primo è quello della conversione di Paolo – già Saulo. Egli, infatti, noto e buon ebreo ortodosso ma ‘persecutore’ (Atti 8,3; 9,1-2) di quelli che all’epoca sono gli ebrei ‘messianici’ (poi ‘cristiani’ nella traduzione greca), resta scioccato dall’incontro con il Gesù risorto, sperimenta un profondo cambiamento (Atti 9,3-9,18-20.22) e si avvicina a coloro che prima imprigionava, provocando il loro stupore, certo impaurito (Atti 9,21.26-28), ma anche propositivo (Atti 9,10-17).

Il secondo momento è rappresentato dalla Pentecoste, dalla discesa dello Spirito, accogliendo il quale – sottoforma di fuoco (eracliteo?) e di tuono – i discepoli prima impauriti acquisiscono ora l’ispirazione per dia-logare con gli ebrei ‘stranieri’, per trovare le giuste parole, il linguaggio adeguato per farsi capire. Anche in tal caso la reazione dei presenti è sia negativa – “si sono ubriacati di vino” (Atti 2,13), sia positiva – “fuori di sé per lo stupore dicevano: – che significa questo – ?” (Atti 2,7.12).

Ciò comporta l’emergenza di un legame evidente tra lo stupore, la meraviglia ed alcune riflessioni precedenti, riguardanti – nel caso di Paolo – il giudizio definitivo e la fiducia misericordiosa nel cambiamento dell’altro, ovvero – nel caso della Pentecoste – la relazione tra lo straniero e le profondità dell’Io. D’altronde, pensare con giudizio è anche raccogliersi in silenzio – cessando di chiacchierare, per ospitare e accogliere l’a/Altro – e la sua parola, presente nell’Io: l’ignoto nel noto, l’invisibile nel visibile.

La meraviglia, infatti, è un’emozione, una “passione dell’anima” (direbbe Cartesio) invisibile – di cui forse si intravedono gli effetti, ma che nasce dall’esperienza visibile di qualcuno o qualcosa di inatteso, nuovo, improvviso ed imprevisto che prima non si percepiva e che ora ci muove, ci spinge a ‘sgranare gli occhi’, a ‘mirare oltre’, a ‘tras-gredire’, a ricercare sempre nuove esperienze e conoscenze.

In tal senso ci piace concludere questa prima parte della riflessione con una splendida canzone di Domenico Modugno – ripresa di recente dai Negroamaro. Nel brano ‘Meraviglioso’ si evoca un tentato suicidio avvenuto nell’oscurità della notte, ma fallito grazie al gesto – “mi portò via” – e alle parole di speranza provenienti da un misterioso passante: “perfino il tuo dolore potrà guarire”, “guarda intorno a te che doni ti hanno fatto”. Come a significare, forse, che il suicidio dell’uomo in frac poteva e può ogni volta essere evitato, ricominciando in tal modo a gustare il “sapore della vita”, solo attraverso un lungo lavoro di riscoperta in sé e negli altri, nella natura e nelle cose tutte, di ciò che nella sua iniziale (e finale) semplicità viene a noi, si dona a noi: “ti hanno inventato il mare (…) il sole, la vita, l’amore (…) il bene di una donna che ama solo te (…) la luce di un mattino, l’abbraccio di un amico”. – Banalità! – direbbe qualcuno. Non René Girard, per il quale spesso “le conclusioni (…) sono necessariamente banali poiché ripetono tutte, letteralmente, la stessa cosa”: “la riconciliazione tra l’individuo e il mondo, tra l’uomo e il sacro (…) come la riconquista di una possibilità a lungo rifiutata. L’universo molteplice delle passioni si decompone e ritorna alla semplicità”…

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