La «Bibbia» di Doré incisa nella memoria

da Il Sole 24 Ore – 20 settembre 2020 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo, il Cardinale Gianfranco Ravasi racconta di Gustave Doré e della sua rappresentazione della “storia sacra”.

Gustave Doré, incisore, pittore e scultore (nato a Strasburgo il 6 gennaio 1832 e morto a Parigi il 23 gennaio 1883) fu un artista così acclamato da aver visto già in vita una galleria a lui dedicata in Bond Street a Londra (1868), galleria che raccoglieva soprattutto quei quadri ai quali egli si illudeva di affidare la propria fama, La battaglia di Alma (1855) e La battaglia di Balaklava (1857), opere febbrili, persino esagitate e non certo così stupende come l’autore e gli ammiratori di allora credevano. Né migliore prova egli dette in qualità di scultore, affascinato più dal pittoresco che dal vigore della creatività (la sua prova migliore è la statua a Dumas padre, eseguita alle soglie della morte nel 1882 ed eretta a Parigi solo nel 1884, quando l’artista era già scomparso).

Doré, in realtà, è passato alla memoria dei posteri solo come illustratore, disegnatore, incisore, forse il più celebre e celebrato d’Europa. A soli sei anni disegnava già in modo originale e a sedici anni pubblicava già su riviste satiriche come «Caricature» e «Le Journal pour rire». Decisivo per lui – che non aveva mai seguito corsi regolari nelle accademie ma che si ispirava ai capolavori del Louvre o alla quotidianità dei volti delle strade di Parigi – fu nel 1852 l’incontro con Paul Lacroix, conservatore della Biblioteca dell’Arsenale di Parigi, che lo orientò sulla strada dell’illustrazione dei classici. La prima prova classica suggeritagli da Lacroix fu un Rabelais, cioè l’edizione delle opere dello sferzante creatore di Gargantua e Pantagruel, vissuto nel Cinquecento. Era il 1854. L’anno dopo Doré preparava con furore ben 425 disegni per Le sollazzevoli istorie di Balzac.

Ormai la via era segnata. Con un fervore che non conosce soste, nel 1855, viaggiando con Théophile Gautier in Spagna, disegna 65 vignette per il Viaggio ai Pirenei dello storico Hippolyte Taine. L’anno successivo è la volta del romanzo L’ebreo errante di Eugène Sue. L’attività prosegue frenetica ma è solo nel 1861 che appare l’Inferno di Dante, una raccolta di 75 disegni per la versione francese della celebre cantica, eseguita da P. A. Fiorentino, con testo originale a fronte (edizioni Hachette). Essa consacrerà la fama di Doré che successivamente completerà l’intera Divina Commedia. Basterebbe solo leggere la straordinaria ed entusiastica esegesi che Émile Montégut pubblicò proprio in quell’anno a Parigi sulla «Revue des Deux Mondes» (volume 36, pagg. 433-466) col titolo Interprétation pittoresque de Dante. Subito dopo segue il Don Chisciotte di Cervantes, che verrà edito però nel 1865; nel 1862 è la volta dei Racconti di Charles Perrault. Ma il vertice è raggiunto nel 1864 quando inizia la grandiosa avventura dell’illustrazione della Bibbia. A essa ci interesseremo ovviamente in modo specifico tra poco.

Segnaliamo intanto il flusso delle altre creazioni. Nel 1865 è il Paradiso perduto di Milton, pubblicato a Londra, nel 1867 sono le Favole di La Fontaine; verso il 1870 Doré si lascia conquistare dalla pittura con quegli esiti modesti che abbiamo già evocato, ma anche con un certo successo in Gran Bretagna. Ogni tanto riappare la nostalgia del disegno: ecco, allora, Le avventure del barone di Münchhausen di Rudolph E. Raspe, l’Atala di Chateaubriand e così via fino all’Orlando furioso dell’Ariosto, ultima sua impresa grafica del 1877.

Ma su tutte svetta La Sainte Bible che a Doré era stata commissionata nel 1864 non dal suo editore più costante, il potente Hachette di Parigi, bensì da una casa editrice specializzata in prodotti devozionali e catechetici, la Mame di Tours. A quest’opera il disegnatore francese si consacrò con una passione e un entusiasmo straordinari, affidandosi certo alla sua fantasia, ma anche non ignorando la documentazione disponibile. Dalla Palestina, infatti, cominciavano a giungere le prime fotografie e, benché l’artista non si fosse mai avventurato in quell’area, i rapporti dei giornalisti e dei viaggiatori (si pensi all’Itinerario da Parigi a Gerusalemme di Chateaubriand) gli permettevano di avere informazioni topografiche, archeologiche e storiche di una certa attendibilità.

Fioriva, così, una fitta e stupenda sequenza di 241 immagini che spaziano dalla Genesi all’Apocalisse, passando attraverso tutti i 73 libri biblici, compresi i Deuterocanonici, cioè i sette libri dell’Antico Testamento (Tobia, Giuditta, Primo e Secondo Libro dei Maccabei, Siracide e Baruc) non accolti nel canone ebraico e protestante, ma in quello cattolico e ortodosso. Dalla creazione della luce, per un arco molteplice di scene spesso emozionanti, si giungeva sino alla Gerusalemme celeste, la visione apocalittica che sigilla le Scritture.

Quella di Doré, pur con tutti i limiti della sua conoscenza in merito, può essere considerata una vera e propria esegesi figurativa al testo sacro, inseguito nelle sue vicende storiche, esaltato nei suoi profeti, celebrato nella sua pienezza neotestamentaria (indimenticabili sono le tavole evangeliche).

L’unico ambito che riceve poca attenzione è quello sapienziale: se si escludono due tavole su Giobbe, sono del tutto assenti il giardino dei simboli del Cantico dei cantici, l’orizzonte orante dei Salmi, le immagini provocatorie di Qoelet/Ecclesiaste, le pagine luminose della Sapienza e i quadretti di vita quotidiana dei Proverbi.

In verità, Doré ha voluto, più che illustrare la Bibbia nella sua integralità, delineare – come allora era particolarmente in voga – la «Storia sacra» nelle sue tappe più rilevanti e nei suoi episodi più coinvolgenti. È per questo che egli può dispiegare nelle scene storiche piuttosto realistiche (rispetto a quelle simboliche dei libri sapienziali appena evocati) tutta la sua enfasi drammatica, il suo intenso vitalismo, il romanticismo delle passioni e anche uno spiccato senso teatrale. Non bisogna dimenticare che egli era stato amico di Rossini e anche di famose soprano come l’italo-madrilena Adelina Patti (1843-1919) e la svedese Christina Nilsson (1843-1921) e aveva allestito – proprio mentre stava lavorando alla Bibbia – davanti a Napoleone III a Compiègne una rappresentazione della visita della regina di Saba a Salomone. Il pathos delle sue tavole, che venivano poi incise per la stampa da vari collaboratori, tra i quali primeggiava l’amico H. Pisan, si sposa con una minuziosa attenzione al particolare, mentre l’insieme crea sempre un’impressione di ieraticità tesa e solenne.

La sua iconografia fissa i personaggi in atti che sono familiari alla fantasia dei lettori delle Sacre Scritture: ad esempio, come non immaginare Mosè che regge le tavole se non nella posa definita da Doré? Lo stesso Cecil B. De Mille nel suo film I dieci comandamenti (1955) ricorrerà allusivamente a citazioni di Doré. Per una lunga serie di edizioni della Bibbia ci si affidò proprio a queste tavole, per offrire sostanza figurativa alle pagine sacre, che di solito erano presentate nella versione latina della Vulgata di san Girolamo o in traduzioni in lingue moderne da essa dipendenti. Così avvenne anche per l’italiano: l’editore milanese Treves assunse la versione che l’arcivescovo di Firenze, Antonio Martini, aveva elaborato dalla Vulgata in un italiano di grande nitore e raffinatezza tra il 1768 e il 1781 e la costellò di 230 illustrazioni di Doré. Così accadde in Inghilterra e negli Stati Uniti, ove apparve una The Holy Bible, with Illustrations by Gustave Doré nel 1866 in coedizione angloamericana Cassell, Petter e Galpin; così si fece pure in Germania con i due volumi Die Heilige Schrift mit Bildern von Gustav Doré della Verlags Anstalt di Stoc- carda (1875) e così si continuò in tante altre edizioni minori della Bibbia, spesso solo con una selezione delle immagini dell’artista francese.

Fino ai nostri giorni in molte case è proprio la «Bibbia di Doré» a troneggiare in edizioni impegnative, su carta ormai ingiallita, ma con lo stesso fascino figurativo. È per questo che, abbandonate quelle versioni ormai superate e considerando il corpus delle illustrazioni di Doré come un vero e proprio album biblico di forte efficacia, si è pensato di riproporre la sua Storia sacra in forma autonoma. L’impresa è già stata attuata nel 1974 dall’editore Dover di New York. Ora è ripetuta anche per il pubblico italiano che avrà la possibilità di percorrere l’intera vicenda biblica attraverso questo particolare e originale «filmato» di volti nobili e misteriosi, di eventi gloriosi, di splendori e tragedie, di atti quotidiani e trascendenti. Essi appartengono al «grande codice»: a esso noi tutti – credenti o agnostici – siamo legati, sia pure per ragioni e in modalità differenti. A riproporcelo è questo artista alsaziano che D. Kamenka nel 1932 così definiva nella voce a lui dedicata per il XIII volume dell’Enciclopedia Italiana (Treccani): «Senza essere certo un grande creatore, Doré ha tradotto meglio di chiunque altro certi aspetti della poesia: esiste un “mondo” di Doré, che non è uno dei più elevati, ma che resta uno dei più incantevoli mondi romantici».