09 Mag Il Discorso di Ratisbona e la Wirkungsgeschichte
Lo speciale “Quel che resta di Ratisbona” è a cura di Gabriele Palasciano. Testo di Francesco Bellino*.
Per comprendere un testo, bisogna interpretarlo. L’interprete non legge il testo come se fosse una tabula rasa, la sua è una tabula plena, piena di precomprensioni, di attese, di idee, di speranze, di problemi. Come ha insegnato Gadamer, un testo col tempo sembra quasi staccarsi dal suo autore e comincia a vivere una vita autonoma e a produrre degli effetti sulla storia successiva, intrecciandosi con altri prodotti culturali. La storia degli effetti di un testo (Wirkungsgeschichte) ne determina sempre più pienamente il suo senso e decide di ciò che si presenta a noi come problematico e come oggetto di ricerca. La distanza temporale ci aiuta ad avere una migliore comprensione del testo, perché siamo più consapevoli delle interpretazioni riduttive, inadeguate, e possiamo sostituirle con altre più corrette e adeguate. La storia e la ricchezza di un testo è soprattutto la storia e la ricchezza dei suoi effetti sulla cultura e sulla vita degli uomini.
La Lectio magistralis di papa Benedetto XVI su “Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni”, tenuta il 12 settembre 2006 presso l’Università di Ratisbona durante il suo viaggio in Baviera, rappresenta un intervento del pontefice sul tema dei rapporti tra fede e ragione di notevole rilievo sul piano teologico, filosofico e culturale. Ha prodotto una ricca cascata di effetti sulla storia successiva. Sul piano teoretico sono almeno tre gli effetti:
- Rapporto fede/ragione: allargamento della ragione e ragionevolezza della fede come conoscenza vitale.
- Contraddittorietà tra irrazionalità e fede.
- Contraddittorietà tra Dio-Logos e violenza.
[…]
2. La fede non è irrazionale, per un duplice motivo. Perché è ragionevole e la ragionevolezza è una forma di conoscenza, non solo intellettiva, ma vitale, e perché Dio è Logos, che significa insieme «ragione e parola – una ragione che è creatrice e capace di comunicarsi ma, appunto, come ragione» (DR: 2006). Papa Benedetto XVI rigetta il fideismo, che è la volontà di credere contro la ragione. Credo quia absurdum («credo proprio perché è contro la ragione»), frase attribuita erroneamente a Tertulliano, che non l’ha mai scritta, non è formula che interpreti la fede cattolica. «Dio non è assurdo, semmai è mistero. Il mistero, a sua volta, non è irrazionale, ma sovrabbondanza di senso, di significato, di verità. Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa. Così come quando gli occhi dell’uomo si dirigono direttamente al sole per guardarlo, vedono solo tenebra; ma chi direbbe che il sole non è luminoso, anzi la fonte della luce? La fede permette di guardare il “sole”, Dio, perché è accoglienza della sua rivelazione nella storia e, per così dire, riceve veramente tutta la luminosità del mistero di Dio, riconoscendo il grande miracolo: Dio si è avvicinato all’uomo, si è offerto alla sua conoscenza, accondiscendendo al limite creaturale della sua ragione (cf. Dei Verbum, 13). Allo stesso tempo, Dio, con la sua grazia, illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, incommensurabili e infiniti. Per questo, la fede costituisce uno stimolo a cercare sempre, a non fermarsi mai e a mai quietarsi nella scoperta inesausta della verità e della realtà» (UG: 2012). È vero che non posso vedere la fonte della luce, perché è troppo luminosa, ma è altrettanto vero, si può aggiungere, che grazie al sole posso vedere tutte le altre cose.
Anche la croce di Cristo, che era «scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani» (1 Cor 1, 23), non è un avvenimento irrazionale, «ma un fatto salvifico che possiede una propria ragionevolezza riconoscibile alla luce della fede» (UG: 2012). Anche l’apostolo Pietro, in un clima di persecuzioni e di forte esigenza di testimoniare la fede, chiede ai credenti di dare ragione della speranza che è in ognuno di loro e di giustificare con motivate ragioni la loro adesione alla parola del Vangelo (1 Pt 3, 15). Il Dio-Logos è l’incontro tra fede e ragione, tra l’autentico illuminismo greco e la religione cristiana. Fin dal tardo Medioevo, annota Benedetto XVI, si sono sviluppate nella teologia tendenze che rompono questa sintesi tra spirito greco e spirito cristiano. Si tratta di tendenze, che possono avvicinarsi alla dottrina musulmana, secondo la quale Dio è assolutamente trascendente e la sua volontà non è legata a nessuna delle nostre categorie, neppure a quella della ragionevolezza. Ibn Hazm, il pensatore medievale della scuola islamica zahirita, si spinge fino a dichiarare che Dio non sarebbe legato neanche dalla sua stessa parola e niente lo obbligherebbe a rivelare a noi la verità. Queste tendenze potrebbero portare all’immagine di un Dio-Arbitrio, che non è legato neanche alla verità e al bene.
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*Francesco Bellino è professore ordinario di filosofia morale, etica della comunicazione e bioetica dell’Università degli Studi di Bari. È direttore del master in “Counseling etico, bio-pedagogico e pratica filosofica” presso lo stesso ateneo. È inoltre docente di filosofia morale e politica e di filosofia della natura presso la Facoltà teologica pugliese. Nel 1987 ha promosso il primo corso universitario di bioetica in Italia e ha fondato e diretto il dipartimento di bioetica. Visiting professor presso l’Università Complutense di Madrid e l’Università di Torun, è uno studioso del pensiero di Popper, Gadamer, Mounier, dell’ontologia relazionale, dei fondamenti dell’etica e della bioetica, della ragionevolezza, del counseling filosofico e di numerosi problemi di etica applicata.