Il Cortile di Antigone (prima parte)

di Vittorio V. Alberti 

 

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Perché Antigone?

Perché questa prodigiosa opera del pensiero antico costituisce il modello originario del rapporto tra potere politico, coscienza morale, religione. In altre parole, l’Antigone è il primario pilastro del difficile campo della laicità.

Con questa prima parte si apre una breve serie di scritti dedicati a questa tragedia di Sofocle, dai quali mi auguro possa trarre giovamento soprattutto chi non ha avuto la gran fortuna di leggerla e studiarla. Qui si farà una introduzione anche concettuale. Nei prossimi pezzi che via via andranno on-line si svilupperà una piccola di guida alla lettura che includerà i passi che più interessano l’attività del Cortile dei Gentili.

Procediamo con ordine. Prima di tutto, comprendere questa storia nel suo contesto.

Il mito greco, la libertà, la tragedia

L’esistenza dell’uomo greco è intrisa di religiosità ma egli non elabora una dottrina della fede, non crea chiese organizzate, caste sacerdotali o regimi politici teocratici. Il politeismo greco genera invece una magnifica mitologia nella quale confluiscono realtà, leggende, fantasie, narrazioni.

Le storie umane che percorrono il mito greco sono dominate dalla necessità (Ananke, Ἀνάγκη). Esse obbediscono a forze che le trascendono rendendo ineluttabili i loro destini. Tuttavia gli uomini del mito non sono come oggetti inerti, sbalzati qua e là solo da un volere non loro. Essi agiscono o possono agire integralmente da uomini e la loro condotta genera una potente pedagogia.

Nel mito greco la libertà umana non è direttamente legata alla volontà, ma consiste nella capacità più o meno ampia di riconoscere e piegarsi al proprio destino. Il fato è inesorabile, tanto che alla sua potestà non sfuggono neanche gli dèi.

La necessità non impedisce, tuttavia, che vi siano taluni spazi di libertà, intesa – secondo come la intendiamo noi – come la facoltà di un soggetto di agire senza vincoli per determinare in modo autonomo i propri fini, avendo o procurandosi da sé i mezzi attraverso i quali conseguirli.

La tragedia greca è tutta qui: nell’ambiguità, nella mai chiara determinazione tra necessità e libertà.

Il termine “tragedia” (τραγωδία) significa “canto dei capri”. I tràgoi (τράγοι) sono i seguaci di Dioniso camuffati da caproni. Le tragedie prendono ispirazione da ritualità magico-religiose: i dròmena (δρώμενα) sono gesti liturgici – il termine “dramma” (δράμα) ha la stessa radice etimologica. Nella tragedia che, per così dire, riorganizza il mito in un nuovo linguaggio, l’uomo è libero di una libertà che sussiste solo in virtù della capacità di inserirsi nell’ordine divino. Quando l’uomo diviene preda della superbia, soggiogato da passioni eccedenti, perde la misura e cade vittima della hýbris (ΰβρις, arroganza, protervia). E la Giustizia, figlia di Zeus, interviene inesorabile a ricostituire l’ordine infranto riportando il superbo nel recinto dei suoi limiti.

L’Antigone (’Antigόνh) simbolizza nel modo più ricco la contesa tra la costruzione celeste e la costruzione umana.

Cenni sul momento storico

Dopo dieci anni di battaglie, nel 480 a. C., nelle acque di Salamina si concluse la guerra dei Greci contro l’impero di Persia. Sofocle (Colono, 497 a. C.- Atene 406 a.C.) allora era un adolescente e fu designato come corifeo del peana che celebrava la vittoria contro l’invasore.

Egli quindi si avviò alla vita pubblica in un momento segnato da gravi lutti, ma colmo di gloria per la Grecia che con le armi aveva respinto le ingenti forze di Serse.

L’Antigone si svolge significativamente a Tebe, che – con altre città greche durante la guerra – si era sottratta all’impegno comune dell’Ellade contro il Persiano. Molte tra queste città si erano accordate con l’invasore e furono spregiativamente marchiate con l’appellativo di medìzontes (μηδίζοντες), “medizzanti”, per fissare nella memoria l’infamia e il disonore per non aver difeso la libertà greca contro la minaccia straniera.

La città che più delle altre conquistò la supremazia su tutta la Grecia fu Atene. Nella capitale attica la vittoria sui Persiani generò un inasprimento del conflitto tra i due antichi insediamenti politici: quello democratico – che rappresentava gli interessi dei ceti produttivi emergenti; e quello aristocratico degli “eupatridi”, esponenti della proprietà agraria. Questi ultimi, pur mantenendo saldamente il potere politico grazie alla costituzione oligarchica di Clistene, si videro progressivamente sottrarre quello economico da quella sorta di borghesia emergente che formava le file democratiche.

Nel 462 a.C. ebbe luogo una riforma dell’Areopago, in origine massimo organo giudiziario ateniese, poi sconfinato nel campo politico tanto da rappresentare il luogo dell’esercizio vero e proprio del potere oligarchico. La riforma – ottenuta dalla fazione democratica – riportò l’Areopago nei suoi limiti originari in materia di pene capitali. Si aprì, così, l’età di Pericle, che – in un discorso che gli attribuì Tucidide – definì Atene scuola vivente della Grecia. Sofocle era tra gli uomini di cultura che arricchivano la sua cerchia, simile a quella dei principi del Rinascimento italiano che, controllando il potere, sostenevano lo sviluppo delle arti e, in genere, della cultura vista come chiave strategica per valorizzare ed esaltare la loro politica.

 Sofocle, la ricerca, la “laicità”

La tragedia fu composta da Sofocle nel 442 a.C. e valse all’autore la vittoria dell’agone tragico.

L’immediata impressione che offre, sorretta in questo dal discorso diretto teatrale, è di portare alla luce un sublime dibattito. Un dibattito dinamico, incalzante che – proprio perché dibattito, e non voce univoca – riflette i caratteri della complessità e difficoltà del dissidio che innerva la vicenda. La tragedia sofoclea è un dia-logo che pone da subito le questioni, e poi, percorrendo il dramma – che è anche dramma della ricerca della verità – annuncia che le questioni non sono date, per così dire, una volta per tutte. Esse, infatti, vanno ricercate attraverso il confronto, che può essere estremo tanto da condurre al sangue.

La tragedia è, di fatto, la rappresentazione di un conflitto, un agone che stimola lo spettatore a far germogliare, attraverso l’ascolto del dialogo, il suo intimo senso di saggezza, temperanza, equilibrio. In questo senso, la tragedia è libertà nell’educazione.

Le questioni toccate dal dramma sofocleo sono molteplici e, così, le loro derivazioni e proiezioni: la libertà, la famiglia, la morte, il potere, la capacità di discernere il bene dal male, l’individuo di fronte allo Stato, le leggi divine etico-religiose, non scritte ed eterne, e le leggi civili, politiche, mutabili.

Una delle lezioni, forse la più eminente, è che lo Stato non è depositario di valori morali assoluti, ma, viceversa, incarna pragmatici interessi che, tuttavia, non possono ispirarsi a una cornice di principi (pensiamo, per fare un esempio, alla prima parte della Costituzione italiana).

L’unico antidoto alla corruzione è il libero pensiero critico, con la consapevolezza che la piaga che genera inoppugnabile furore dogmatico può nascere anche dalla cattiva interpretazione (o strumentalizzazione) delle leggi divine così come di quelle terrene. La via per progredire è ricercare di continuo la soluzione meno equivoca, meno contingente, meno irrazionalmente integrista, senza infingimenti, senza torbida malafede o codarda meschineria o ipocrisia. Una soluzione ferma, ma non per questo spoglia di pietà o ragionevolezza. Essa è la vera espressione della condotta laica, se per laicità s’intende, in fondo, un buon senso – che nasce dalla pratica cultura popolare, dunque del laòs, il popolo – mescolato alla sottigliezza dell’analisi della ragione che, di volta in volta, valuta seguendo l’intelligenza del bene reale e, senza cedere all’eccessivo, si colloca in un sapere consapevole delle ragioni reali della storia nella coscienza della natura dell’uomo.

L’Antigone è l’affresco di questa diade di coppie di categorie. Da un lato, la capacità di discernere il bene dal male contro l’integrismo. Dall’altro, la signoria di una norma collettiva (dunque, politica) inflitta alla responsabile libertà dell’uomo.

 

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Se si è stati tolleranti e pazienti tanto da giungere fin qui, ora si può aspettare la prossima parte, quando entreremo nella tragedia vera e propria.