«Hic iacet» un successore di Pietro

da Il Sole 24 Ore – 26 giugno 2022 – di Gianfranco Ravasi

 

In questo articolo il Cardinal Ravasi affronta il tema della sepoltura dei pontefici.

Commemoriamo la data del 29 giugno, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, da un’angolatura particolare, quella della sepoltura dei papi nella basilica vaticana di San Pietro, secondo un arco di tempo che va dal V al XII secolo, in pratica dal celebre Leone Magno, asceso al soglio petrino dalla Tuscia nel 440, fino al pisano Eugenio III che muore nel 1153. A ricostruire questa sequenza storica attraverso 42 epigrafi funerarie latine è Ottavio Bucarelli, docente di Archeologia presso la Pontificia Università Gregoriana, il quale ha scelto di titolare il suo saggio con una delle formule adottate in questi testi: hic requiescit papa (usata per Pelagio nel 561 e per Gregorio Magno nel 604).

Prima, però, riserviamo una particolare premessa alla figura fondamentale dell’apostolo Pietro. È interessante notare che la Prima Lettera neotestamentaria che reca il suo nome contiene una curiosa indicazione finale: «Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e che dimora in Babilonia» (5,13). È noto, anche attraverso l’Apocalisse, che «Babilonia» era spesso il simbolo usato per indicare la Roma imperiale. «Pietro, apostolo di Gesù Cristo» che scrive questa Lettera ai cristiani dell’Asia minore (1,1) si troverebbe, dunque, nella capitale.

Ma procediamo oltre per ricercare una connessione del martirio di Pietro con la città di Roma. Se gli scritti neotestamentari sono al riguardo silenti, non bisogna ignorare l’esistenza di documenti di poco posteriori agli eventi che confermano questo legame. Nella sua Lettera ai Corinzi, scritta verso l’anno 95, papa Clemente I (lo fu forse dal 92 al 99), fa un esplicito riferimento al martirio romano delle due «colonne più elevate» della Chiesa (5, 2-3), cioè Pietro e Paolo. Siamo a pochi anni dopo i fatti e quindi era facile contestare questo dato che, invece, era ormai considerato pacifico.

Anzi, il famoso storico della Chiesa del III-IV secolo Eusebio di Cesarea, nella sua opera Storia ecclesiastica (2, 25, 1-8), cita lo scritto di un prete romano del II sec., Gaio, il quale attestava l’esistenza di un «trofeo» nell’area vaticana in memoria della morte di Pietro con l’iscrizione del nome dell’apostolo (così come un altro era stato eretto sulla via Ostiense per Paolo). Dal 1939 in avanti, attraverso varie prospezioni archeologiche nei sotterranei della Basilica di San Pietro, sono state individuate tracce di questa antichissima memoria, anche attraverso iscrizioni in greco del nome di Pietro e graffiti devozionali con invocazioni all’apostolo. Al di là della conferma, sempre da assumere con molta cautela, offerta dagli scritti apocrifi cristiani (ad esempio, gli Atti di Pietro), rimane quindi un’attestazione – fiorita nei primi decenni della vita della Chiesa, e documentata nell’arco di tempo immediatamente successivo – non solo della presenza di Pietro a Roma ma anche del suo martirio e della sua sepoltura nell’area vaticana.

Ma ritorniamo al catalogo che Bucarelli ha elaborato con straordinaria acribia vagliando le attestazioni e coinvolgendo i tanti studiosi che hanno da tempo sottoposto a un ideale microscopio filologico quelle epigrafi, identificandone anche la topografia. Questa ricerca ha il suo apice nelle accuratissime 42 schede epigrafiche, accompagnate dal tradizionale corteo di indici, concordanze e bibliografie. Suggestivo è, inoltre, il bilancio tematico che abbraccia trasversalmente l’intero corpus. Si parte dal palinsesto biblico, ove domina il simbolo del «buon pastore» (Giovanni 10) che salva il gregge dei fedeli dai lupi: è paradossale, ma nell’epitaffio di papa Sergio III (X sec.) il lupo che disperde il gregge è nientemeno che il suo predecessore Giovanni IX.

Non mancano, però, i rimandi ad autori classici (Plauto, Virgilio, Ovidio), ai Padri della Chiesa o a poeti cristiani famosi come Venanzio Fortunato (VI sec.). Sfilano anche i titoli ufficiali solenni come pontifex, pastor, papa, pater e così via, e non mancano i profili pastorali, dottrinali, storici dei vari pontefici. Ed è proprio in questa linea che le epigrafi offrono una ricca messe di dati: selezioniamo solo un paio di esempi dotati di un loro fascino. Il primo riguarda l’intensa finale dell’epigrafe frammentaria del romano papa Bonifacio II morto nel 532: «Nessuno ignora, Santo Padre, che tu sei con Cristo, la tua splendida vita dimostra che Lui era con te». Con 14 parole del testo latino, scelte come immagine di copertina del volume, si riesce a sintetizzare un passato esistenziale luminoso sorretto da quel Cristo che accoglie ora con sé il pontefice in un presente eterno.

L’altro esempio che traiamo da questa raccolta epigrafica è piuttosto inatteso. Il pontefice in questione è un altro romano, Adriano I, morto nel 795, e il testo funerario di 40 righe è inciso su una lastra di marmo nero. L’elemento più sorprendente è l’affacciarsi in quegli esametri della figura di Carlo Magno che si rivolge al papa beatus usando l’appellativo di pater e confessando di aver scritto tra le lacrime quei versi. È un’attestazione d’affetto, incastonata all’interno di un elogio appassionato, con un richiamo persino all’Enea virgiliano. Ecco l’ideale voce di colui che si denomina in un altro esametro Karolus rex, le cui parole non necessitano di traduzione: … lacrimans Karolus haec carmina scribsi / tu mihi dulcis amor, te modo plango, pater / tu memor esto mei