27 Ott Così “noi” è diventato “io”, ma non ci si salva da soli
da Il Messaggero – 27 ottobre 2020 – Intervista al Card. Ravasi
Il cardinale Gianfranco Ravasi ha in mano l’enciclica Fratelli Tutti. La sfoglia mentre osserva quello che sta succedendo in questi giorni. Scontri a Napoli, Catania, Torino, proteste in Francia e in Gran Bretagna, divergenze a ogni livello amministrativo. Regioni che marciano in senso contrario rispetto ai Comuni e, questi ultimi, lavorano in disaccordo con il governo mentre si sollevano le singole categorie professionali bersagliate dal nuovo Dpcm. La seconda ondata di Covid segna ormai il tutti contro tutti. «Bisognerebbe fermarsi un attimo, alzare lo sguardo e realizzare che siamo davvero su una stessa barca».
Sta venendo meno il senso comune?
«Certamente l’atmosfera che si respira ora è molto diversa da quella della prima ondata di Covid. Non si può continuare con tanti scontri. Tra queste pagine c’è una citazione che calza a pennello: La vita e l’arte dell’incontro, anche se tanti scontri ci sono nella vita».
Non è una frase del musicista Vinicius De Morales?
«È la Samba della Benedizione, parla della vita come arte di tessitura e di incontro, nonostante le difficoltà e le divergenze, perché si dovrebbe sempre fare prevalere l’incontro, la tendenza verso il prossimo, più che la tensione. Altrimenti da soli non ci salviamo».
In che senso?
«L’uomo per sua natura è in costante tendenza verso l’altro, è un essere sociale, non può vivere e crescere solo, sarebbe la sua morte. Poi però, contemporaneamente, l’uomo è in tensione verso l’altro, nutre timori e paure. In questo momento storico domina più la parte della tensione, sicché gli altri vengono visti come elementi di disturbo, dei competitor. E da qui ne deriva una frantumazione che va ricomposta. Per farlo bisogna riacquisire il senso del bene comune, dell’orizzonte collettivo».
Facendo leva sulla solidarietà e sul senso civico: è questo che lei intende?
«La paura individuale genera chiusura ed è fuori di dubbio che con questo incubo strisciante si sia tentati di rinchiudersi a riccio, tutelando la propria identità, il proprio io, le proprie certezze. È un fenomeno comprensibile, verificabile e lungamente studiato. In questo frangente svolgono un grande ruolo le culture e le religioni. Calza a pennello una parabola tibetana che per certi versi costituisce un parallelo alla parabola del Buon Samaritano: c’è un uomo che avanza nel deserto e si accorge che in lontananza, sul suo stesso percorso, procede un’ombra. All’inizio pensa che possa essere una belva e inizia ad avere paura, ma non può fare altro che andare avanti non essendovi ripari. Più avanti capisce che è la sagoma di un uomo. Ma non per questo cessa la paura, perché potrebbe essere un malvivente. Con l’animo attanagliato l’uomo si fa coraggio poi all’improvviso alza gli occhi e capisce che ha di fronte suo fratello, il fratello che non vedeva da tanti anni. Ecco, la dinamica, è quella che viviamo anche noi, a ogni livello. Avanziamo con la paura, poi alla fine realizziamo che abbiamo davanti l’umanità, ossia noi stessi, la nostra comunità. La parabola del Buon Samaritano ha una traiettoria analoga. Il Levita ha paura di infettarsi poi arriva il Samaritano che, come i medici e gli infermieri nei reparti Covid, dimostra che è più forte la forza dell’umanità».
Lei ha in mano la Fratelli Tutti, cosa può insegnare in questo momento?
«Sicuramente a passare dall’io al noi. È la chiave per affrontare questo passaggio storico. Il Papa cita anche un filosofo del secolo scorso, Simmel, che dice: Questo approccio, in definitiva, richiede di accettare con gioia che nessun popolo, nessuna cultura o persona può ottenere tutto da se. Gli altri sono costitutivamente necessari per la costruzione di una vita piena. La consapevolezza del limite o della parzialità, lungi dall’essere una minaccia, diventa la chiave secondo la quale sognare ed elaborare un progetto comune. Perché l’uomo è l’essere limite che non ha limite».
La paura però è umana, così come la difesa dei propri confini, penso a chi protesta perché si trova senza più lavoro, con le attività chiuse…
«Rispetto alla prima ondata di pandemia è cambiato qualcosa. Prima era come se la collettività avesse accettato di vivere assieme nell’isolamento. Ora non lo accetta più. Bisognerebbe tornare alla totalità ma le paure nel frattempo sono cresciute. Riflettere assieme sulla forza del precetto biblico: ama il prossimo tuo come te stesso. Si tratta di una regola d’oro che attraversa fedi e culture. Ed è l’unico modo per arrivare al passaggio dall’io al noi».
Più facile a dirsi che non a farsi, specie se non c’è la certezza che nessuno verrà lasciato indietro…
«Ci vuole la lucidità di spezzare i chiavistelli dei propri individualismi. A ogni livello, per ogni categoria. Ognuno da solo non ce la potrà fare».