22 Mar Ascolto rap e uso Twitter per parlare della Bibbia
da Il Giornale – 15 marzo 2021 – intervista di Serena Sartini.
L’attività del dicastero vaticano per la Cultura in questo anno difficile di pandemia, la «cultura» da intendersi come “fenomeno antropologico” e come risposta alla crisi attuale, la ricetta per superare una pandemia drammatica, la resilienza come “vaccino spirituale”. Cosa ci ha insegnato il coronavirus? Come uscirne? Quali le iniziative del Pontificio Consiglio per la Cultura e come si è modificata la proposta culturale del dicastero? Ed ancora: Biden e la nuova presidenza americana, i social e Sanremo, la Curia divisa e gli attacchi a Papa Francesco.
Il cardinale Gianfranco Ravasi, dal 2007 presidente del Pontificio Consiglio per la Cultura della Santa Sede, apre al Giornale le porte del suo dicastero, una sorta di “ministero della cultura” del Vaticano, e racconta le sue attività.
Fine teologo, ebraista, uomo di spessore e di alto profilo culturale, il cardinale Ravasi ha all’attivo migliaia e migliaia di convegni e conferenze tenute in ogni angolo del mondo. In Italia, “non c’è una provincia in cui non abbia parlato almeno una volta”, sorride. Nel suo lungo curriculum può vantare, tra gli altri titoli, anche una ventina di lauree honoris causa in vari continenti, e il primato di essere stato l’unico cardinale a entrare nella sala dei Premi Nobel a Stoccolma per un dialogo interculturale.
Il suo punto di partenza è il rapporto tra fede e scienza, tra umanesimo e scienza.
Eminenza, cultura è un concetto troppo abusato. In che termini dobbiamo intenderla?
Il concetto di cultura che noi abbiamo adottato e che è ormai dominante, non è più quello del Settecento illuministico per cui la cultura era l’aristocrazia del pensiero (arti, filosofia, scienze e così via). Pur permanendo questo concetto, esso si è allargato fino a diventare più generalmente antropologico. È per questo che quando si verificano fenomeni come il Covid, il discorso non tocca solamente le questioni economiche o, a livello culturale, l’apertura o meno delle scuole, dei musei o dei teatri e delle catacombe. Ci si deve interessare sempre più ai fenomeni globali, affrontando i temi da un punto di vista antropologico globale.
Può illustrarci l’attività del suo dicastero?
Per comprendere come svolgiamo la nostra attività, è necessario definire alcuni capitoli. Un primo orizzonte è quello legato alla scienza e alla tecnica, che è anche uno dei settori più diffusi e praticati nella società contemporanea. In questo periodo ha mostrato tutta la sua grandezza, ma anche i suoi limiti. C’è, poi, un altro capitolo come la cultura digitale e l’infosfera.
Spieghiamoli meglio…
Sul primo settore, nel rapporto tra scienza e tecnica, lavoriamo in due ambiti. Il primo è quello che ha un impatto sulla persona umana, come la genetica (Dna, flessibilità e intervento su di esso), le neuroscienze e l’intelligenza artificiale. E il secondo è quello dell’informatica, della comunicazione digitale sulla quale abbiamo attivato un dipartimento specifico.
Ci sono, infatti, problemi etici ed esistenziali che colpiscono questi settori: pensiamo solo all’intelligenza artificiale “forte”, che si vorrebbe dotata di autocoscienza e che si sta sempre più elaborando, in pratica creare macchine ad algoritmo aperto per scelte differenziate. Pensiamo, poi, alle questioni sollevate dal mondo dell’informatica: l’incidenza terribile di fenomeni come le fake news, la violenza verbale scagliata all’interno dei social, oppure l’idea della post-verità.
Come ha modificato la vostra attività questo anno di Covid?
Durante la pandemia queste due aree della scienza sono diventate particolarmente rilevanti. La prima perché ha cominciato a porre l’interrogazione sulla pur vera grandezza della ricerca scientifica (pensiamo ai vaccini e agli interventi sanitari), ma ha dimostrato allo stesso tempo anche la fragilità e i limiti che hanno ridimensionato la grande tentazione della scienza, quella di poter spiegare e forse risolvere ogni problema con certezze dimostrate.
La tecnica è sicuramente indispensabile, ma occorre tener conto che per la pienezza della persona umana non basta solo la scienza, c’è bisogno anche di una visione umanistica. Ricordiamo il discorso di Steve Jobs, un emblema della tecnologia, agli studenti di Harvard. Diceva: «È necessario il connubio tra la tecnica e l’umanesimo, tra la scienza e la cultura classica, se si vuole che emerga un canto dal cuore». Ecco, se si vuol essere veramente una persona umana, la scienza è necessaria, ma non basta. E in questo periodo lo si è compreso.
Per quanto riguarda invece l’infosfera, il Covid, da un lato, ha moltiplicato i contatti ma, d’altro lato, ne ha rivelato l’incompiutezza rispetto all’incontro interpersonale. Personalmente faccio una fatica enorme a tenere conferenze on line e a partecipare a webinar. In questa tipologia comunicativa non riesco a “sentire” il pubblico, non ho la percezione delle curve di ascolto e di attenzione, svelate dai volti in presenza. Trovo faticoso questo nuovo modo di confrontarsi e dialogare davanti a uno schermo freddo, ma bisogna riconoscere che, se non avessimo avuto la rivoluzione digitale, non saremmo riusciti nel periodo dell’isolamento forzato a mantenere vive le nostre relazioni.
Il suo dicastero da anni propone il “Cortile dei Gentili”. E quest’anno?
L’iniziativa comporta un dialogo tra credenti e non credenti e simbolicamente richiama lo spazio aperto ai pagani nel tempio di Gerusalemme, conosciuto anche da Gesù e da san Paolo a cui forse allude scrivendo ai cristiani di Efeso. Gli eventi del “Cortile” implicano una presenza viva: con il coronavirus questa attività è stata duramente colpita, pur continuando nei confronti informatici.
Finora è sempre stata un’esperienza molto intensa, che si è svolta in quasi tutte le capitali europee e in molte metropoli delle due Americhe (a partire da Washington e Rio de Janeiro o Buenos Aires) e che vede protagoniste, da una parte, una istituzione cattolica che la promuove, e dall’altra un soggetto interlocutore laico, di solito una Università statale. La programmazione del 2020, a causa della pandemia, è saltata, ma stiamo già pensando agli appuntamenti del 2021.
Ce li può anticipare?
Certamente. Per quanto riguarda l’Italia pensiamo a tre iniziative, due all’Ambasciata d’Italia presso la Santa Sede, e una legata all’anno dedicato a Dante.
La prima sarà un dialogo sul tema della democrazia, si terrà in aprile e vorrei invitare la ministra Marta Cartabia. La seconda, in maggio, sarà invece sul tema della moda, con tutti i fenomeni ad essa connessi, come quello sociale, economico, estetico.
Infine, una iniziativa dedicata a Dante Alighieri.
Lei è anche presidente del Comitato vaticano per le celebrazioni su Dante, nel 700esimo anniversario della morte del Sommo Poeta. Come state pensando di ricordarlo?
Faremo una iniziativa nelle catacombe romane di S. Callisto, forse a giugno, sulla Divina Commedia. Una sorta di viaggio, come scendere negli inferi. Alcuni attori (Carlo Verdone, Margherita Buy, Nancy Brilli, Alessandro Haber) sceglieranno dei brani del poema e li commenteranno, dal loro punto di vista. Ci sarà poi un’esposizione digitale dei preziosi manoscritti della Biblioteca Vaticana, e uscirà anche una Lettera apostolica di Papa Francesco dedicata a Dante e all’attualità spirituale e culturale del suo messaggio.
Ma non sono finite qua le iniziative del suo dicastero…
No, ha ragione. Diamo un grande rilievo anche alla componente dello sport, nei suoi risvolti socio-culturali più ampi. Abbiamo ottimi rapporti con il Comitato Olimpico Internazionale e con il Coni e partecipiamo spesso – come osservatori – a varie riunioni ed eventi da loro organizzati.
Una componente importante del nostro dicastero sono, poi, le Consulte esterne. C’è innanzitutto la Consulta femminile, composta da una ventina di donne di varie estrazioni sociali, culturali e religiose che si confrontano su diversi temi: attualmente stanno svolgendo diversi convegni online sugli ultimi testi del pontificato di Papa Francesco. Un’altra Consulta è quella giovanile, con ragazzi dai 18 ai 24 anni: le generazioni, infatti, cambiano con una velocità impressionante. Questi giovani mi hanno sorpreso, rivelando una straordinaria creatività. Ascoltandoli, cerco di avvicinarmi, ad esempio, al loro linguaggio e alla musica giovanile.
Vuol dire al rap e al trap?
Il rap, sì sto tentando. Qualche tempo fa ho incontrato in un convegno a Lucca un rapper, Anastasio, nel quale ho scoperto una profondità inattesa. Nell’incontro eravamo io, lui, un critico musicale e la direttrice d’orchestra Beatrice Venezi. L’intervento più interessante è stato proprio quello di Anastasio: i suoi stessi testi sono uno specchio limpido delle loro e attese profonde dei giovani. È ciò che ho scoperto anche attraverso i dialoghi dei giovani con scrittori e scrittrici, da noi organizzati.
Una terza Consulta è quella scientifica di taglio accademico, presieduta da Giuliano Amato, che ha prodotto documenti suggestivi sul fine vita, su pandemia e resilienza, su democrazia e demografia.
Lei è un assiduo frequentatore di Twitter. Un cardinale “social”, anche durante Sanremo….
Si, mi piace intervenire due volte al giorno con una citazione biblica e con un’altra di autori diversi anche non credenti (il martedì e il giovedì ospito tweet di giovani e donne). Intervengo anche sui testi dei brani in gara a Sanremo. Sì, ci possono essere rischi e, certe volte, mi trovo talora anche in difficoltà nel confronto, devo riconoscerlo. Di natura sono aperto al dialogo, che è al centro della mia attività. Dialogo non significa cercare di individuare sempre la mediazione o il minimo comune denominatore, come deve fare l’Onu o la diplomazia. Dialogare significa, invece, che ognuno presenta in modo motivato la sua identità, ma è aperto all’ascolto dell’altro, all’incontro.
E poi Expo a Dubai
Sì, sono commissario della Santa Sede per Expo. La Santa Sede avrà un suo padiglione che propone i temi della sostenibilità in chiave culturale e di dialogo interreligioso.
L’emiro ha chiesto di poter esporre nel nostro padiglione alcuni preziosissimi manoscritti arabi originali della Biblioteca Vaticana, dichiarandosi pronto a sostenere i molti costi per il loro trasporto, spedizione, assicurazione, la loro tutela e l’esposizione. Ma sarà anche l’occasione per riproporre il documento siglato da papa Francesco ad Abu Dabi con lo sceicco di al-Azhar del Cairo.
Eminenza, torniamo alla pandemia. Che cosa ci sta insegnando il Covid?
Parto da una parola che è diventata un mantra, di cui non si sa tante volte nemmeno il significato pieno e vero: resilienza. Una parola che deriva dal latino resilire, che significa «fare un balzo», dal basso verso l’alto. È la proprietà di alcuni metalli che, dopo essere stati piegati, possono ritornare alla posizione di partenza.
Può esserci, certo, una resilienza negativa, dove l’uomo ritorna e si chiude su se stesso. Ma c’è anche chi è capace di compiere un balzo in avanti, divenendo migliore di prima. È questa l’idea di resilienza positiva, rinascere dal basso per fare un passo in più e oltre.
La grande malattia del nostro tempo non è tanto l’ateismo teorico, ora piuttosto raro. La grande malattia dell’oggi è l’indifferenza, la superficialità, la banalità, la nebbia, l’«apateismo», cioè l’apatia morale e spirituale.
Credo che la resilienza rappresenti una lezione che può scuotere la coscienza di molti e riproporre l’interrogazione sul senso dell’esistenza, generando la speranza, attraverso una fede implicita o embrionale. Si pensi agli effetti creati dalla scena del Papa in Piazza S. Pietro il 27 marzo dello scorso anno.
Quale il vaccino spirituale?
È quello di ritornare ancora alla relazione umana, nelle sue tre dimensioni. Innanzitutto la relazione verso l’alto e l’oltre, cioè verso la trascendenza, il mistero. Per il credente significa rivolgersi a Dio, alla fede, ai grandi valori. Il secondo vaccino è guardarsi occhi negli occhi, ovvero ricreare una relazione interpersonale seria, non quella superficiale ed esteriore dei contatti di “pelle”. Significa scoprire la bellezza del volto, la tenerezza, la passione, l’intimità profonda che è capace, però, anche di un ulteriore livello, l’amore. Quell’amore di donazione che ti fa andare oltre il sesso, l’eros, l’esteriorità. Infine, un terzo antidoto: la relazione con le cose, con la materia, col basso, anche con gli animali, con il mondo che ci circonda. Qui entrano in gioco anche la tecnologia, la sostenibilità, l’ecologia, la natura: al riguardo ho appena dedicato un libro alla Bibbia e all’ecologia. In conclusione, il messaggio è di non ridurre la persona a un oggetto, ma a una presenza che vive in contatto con l’altro, sia trascendente, sia umano, sia naturale.
Eminenza, con uno sguardo verso il mondo, come valuta l’arrivo di Joe Biden alla presidenza americana?
Ho incontrato a Roma Biden cinque anni fa, quando era vicepresidente e l’ho conosciuto personalmente, perché era stato invitato come relatore a un nostro congresso sulla medicina e gli interrogativi etico-culturali della malattia e della sofferenza. Abbiamo parlato a lungo, mentre attendevamo l’incontro col Papa. Dal punto di vista umano, ho il ricordo di una persona molto ricca, che ha vissuto l’esperienza del dolore per la morte della moglie, di una figlia piccola e del figlio adulto per cancro. È una persona molto pacata, con una carica di semplicità e di finezza.
Eppure sta dividendo la Chiesa americana, con le sue scelte pro aborto…
Il problema è che l’“uomo politico” si trova in contesti di democrazia globale che potrebbero anche non collimare con le sue scelte personali. Ma, ad esempio, su altri fronti è molto vicino al messaggio cristiano: nella dimensione di aiuto ai poveri, agli stranieri, nella questione dell’unificazione e della pacificazione della nazione, nell’evitare toni alti e divisivi, nel tema ambientale. Credo che su questo stia dando un grande valore a una nazione per certi versi profondamente lacerata al suo interno. Certamente non possiamo dire che è allineato su tutto il messaggio ecclesiale, come sul tema dell’aborto. Ma credo che su questo bisogna tener presente il contesto americano, che si sta sempre più orientando verso una visione secolarizzata. Ritengo tuttavia che il giudizio complessivo su Biden debba essere positivo, pur coi limiti indicati.
Eminenza, cosa pensa del fronte anti-Bergoglio e della spaccatura nella Chiesa? Come spiegarlo ai fedeli?
È indubbio che c’è una polarizzazione che produce effetti negativi, soprattutto all’interno della Chiesa. Ma nella sua storia, le tensioni ci sono sempre state, anche con gli altri Papi. È inevitabile: già sant’Agostino comparava la Chiesa all’arca di Noè ove c’erano la colomba ma anche il corvo.
Tuttavia, quando certi siti o personaggi giungono a forme così aggressive e persino fondamentaliste, non si tratta più di critica o dissenso. Io sono favorevole al “duetto”, che in musica, ad esempio, tra un basso e un soprano produce armonia nonostante la diversità di base. Ma non al “duello”, come accade nelle reazioni di quei siti o di quelle figure che si dichiarano cristiani esclusivi. Come dicevo, scelgo il dialogo anche con chi ha una visione diversa dalla mia. Ma, quando il confronto diventa scontro e duello, e uno assume la sua “verità” come una spada, a quel punto si spegne il dialogo e l’interlocuzione e si ferisce l’autentica anima del messaggio cristiano.