Un romanzo contro il contagio del male

Non solo scienziati, politici, opinionisti, esperti. Per una volta migliaia di persone sono andate a cercare la risposta agli effetti nefasti del Coronavirus in un libro: La peste di Albert Camus.
Allora l’esplosione della pandemia in tutto il mondo ha avuto, tra i tanti effetti collaterali negativi, anche una conseguenza positiva. In poche settimane è aumentato a dismisura il numero di copie vendute del celebre romanzo pubblicato nel 1947.

Tra marzo e aprile “La peste” è stato infatti uno dei libri più letti, non solo in Francia (il paese di Albert Camus), ma in tutta Europa. Solo in Italia, ad esempio, il titolo si è posizionato per diversi giorni nella top ten dei libri più venduti nel web.
Ma cosa ha portato così tante persone a riscoprire dopo oltre mezzo secolo un capolavoro della letteratura europea? Per capirlo è necessario partire dalla trama di un libro che racconta molto di più della sua stessa storia.

La vicenda è ambientata nella cittadina di Orano, in Algeria, che viene improvvisamente colpita dalla peste. Il protagonista, un medico francese di nome Bernard Rieux, è il primo a rendersi conto del pericolo che incombe sulla comunità e dà un allarme che rimane, almeno per un po’, inascoltato.
La situazione però degenera, in breve tempo muoiono in città 6mila topi e l’epidemia si diffonde anche tra le persone, compreso il portinaio dello stabile in cui vive Rieux. La diffusione della peste è ormai evidente a tutti e convince le autorità a imporre una quarantena all’intera città che si trova improvvisamente isolata dal resto del mondo senza però interrompere la sua vita.

Le stagioni passano, l’epidemia cambia volto e con l’arrivo dell’inverno la peste bubbonica diventa una peste polmonare. Intanto le persone continuano a morire e molte di esse – come ci ricordano oggi le immagini delle fosse comuni di New York City – vengono sotterrate dentro grandi buche scavate nella terra.
È un male che sembra inarrestabile fino a quando il medico trova un siero che funziona e rallenta la diffusione dell’epidemia fino alla fine della quarantena.

Come in tutti i capolavori della letteratura, anche nel romanzo di Camus la minaccia della peste è uno stratagemma per raccontare il male dal quale l’Europa e il mondo è uscita solo da pochi mesi e nel quale – secondo il grande scrittore francese – può ancora ricadere. Parliamo del nazismo e dei totalitarismi e, a pochi anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, rimangono uno spettro vivente in tutta la società europea.

E così, a distanza di oltre mezzo secolo, “La peste” di Camus provoca riflessioni analoghe sulla diffusione di questo virus che – come più volte ribadito da Papa Francesco – rischia di aprire la strada a mali ancora più grandi, come le diseguaglianze sociali, l’allargamento della forbice che divide i poveri dai ricchi, l’indifferenza tra gli individui, la solitudine delle persone.

Il grande male raccontato da Camus non è esterno all’essere umano, così come le conseguenze del Coronavirus dipendono da come i governi e i popoli reagiranno a questa drammatica emergenza.
È questo il grande insegnamento che lo scrittore francese ci offre ancora oggi. Un monito a non abbassare mai la guardia credendo che la notte dell’uomo non possa più tornare.