05 Apr Sul Discorso di Benedetto XVI a Ratisbona
Lo speciale “Quel che resta di Ratisbona” è a cura di Gabriele Palasciano. Testo di Adriano Fabris*.
[…] Ben oltre ogni lettura strumentale il Discorso ha però, come accennavo, un chiaro intento propositivo e programmatico. Il suo tema di fondo, esplicito, è il legame tra fede e ragione. Questo legame dev’essere precisamente inteso nel senso della sottolineatura di un’intrinseca razionalità della fede. Ponendosi sulla scia del Prologo al Vangelo di Giovanni, infatti, il Papa insiste sulla «profonda concordanza tra ciò che è greco nel senso migliore e ciò che è fede in Dio sul fondamento della Bibbia».
Seguendo questa linea fino in fondo vengono raggiunti due risultati. Anzitutto è possibile far emergere il ruolo fondamentale che lo spazio della fede ha avuto e continua ad avere nella definizione del patrimonio culturale e valoriale dell’Europa: dal momento che, se si tiene conto dell’intreccio in essa di radice greca e ispirazione biblica, la contrapposizione tra illuminismo e religione, oggi per lo più assunta acriticamente, risulta un esito per nulla scontato. Il secondo risultato, poi, è la possibilità di considerare universale lo stesso patrimonio di fede cristiano, evitando di relativizzarlo e d’intenderlo come un’espressione culturale fra le altre. La stessa fede può infatti essere diffusa, comunicata, accolta proprio perché manifesta un rapporto privilegiato con la ragione umana in quanto tale.
Di conseguenza, se proprio un referente polemico dev’essere cercato nel Discorso di Ratisbona, esso è dato da tutte quelle concezioni che mettono in crisi, interrompono, disarticolano tale collegamento di fede e ragione. L’elenco, esplicitamente fatto nel testo, di chi nei secoli si è mosso in questa direzione è abbastanza lungo, e non concerne solo la storia della teologia. È menzionato chi, come Duns Scoto, si piega nel medioevo a un’impostazione di tipo volontaristico. Ma soprattutto sono chiamati in causa criticamente la Riforma protestante, con il principio del sola Scriptura, il Kant della religione concepita entro i limiti di una ragion pratica e infine, in maniera più articolata, la teologia liberale a cavallo tra Ottocento e Novecento, con la sua riduzione del kerygma a principio etico.
Soprattutto, però, le conseguenze di questa disarticolazione di fede e sapere in seno all’Occidente, e dello squilibrio nel loro rapporto che ne deriva, sono evidenti nel tempo presente. Oggi siamo di fronte a un’idea di sapere, nella forma specifica che contraddistingue la ricerca scientifica, la quale intende assorbire entro i propri schemi sia l’ethos che la religione. E, se non vi riesce, mira a delegittimare e a negare ambedue.
Come viene detto, il sapere si presenta per lo più come una «sintesi tra platonismo (cartesianismo) ed empirismo, che il successo tecnico ha confermato». In questa configurazione esso manifesta evidenti pretese egemoniche e conseguenze riduttive nei confronti delle varie, molteplici espressioni dell’essere umano. Di più. Nella sua ottica le domande di fondo che l’essere umano stesso si pone vengono screditate e si trasformano in qualcosa di meramente soggettivo: che dipende cioè da una discrezionalità personale e da un’individuale emotività.
È questo, forse, il punto chiave del Discorso di papa Benedetto a Ratisbona, la sua specifica indicazione. Contro tali esiti è necessario rilanciare l’idea di una ragione che sia ospitale per la fede, nella misura in cui la fede stessa non si oppone alla ragione. Si tratta di un punto chiave che è teologico e pastorale insieme, che è in altre parole sia teorico che pratico. E non è un caso che il Discorso sia stato tenuto all’università in occasione, come viene detto, di un’«incontro con i rappresentanti della scienza». […]
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*Adriano Fabris è professore ordinario di Filosofia morale all’Università di Pisa, dove insegna anche Filosofia delle religioni ed Etica della comunicazione. È direttore dell’Istituto “Religioni e teologia” (Re.Te.) della Facoltà teologica di Lugano. È stato relatore ai Convegni Ecclesiali Nazionali della Chiesa Cattolica Italiana a Verona nel 2006 e a Firenze nel 2015. È membro della Commissione ministeriale per lo studio delle Scienze religiose nella scuola.