01 Mar Riflessione sul discorso di Papa Benedetto XVI a Regensburg
Lo speciale “Quel che resta di Ratisbona” è a cura di Gabriele Palasciano. Testo di Ilaria Morali * .
Sono trascorsi ormai quasi 10 anni dal celebre discorso (12 settembre 2006) di Papa Benedetto XVI a Regensburg (Ratisbona): parole tornate alla ribalta lo scorso gennaio sulla stampa internazionale, all’indomani dell’attentato a Charlie-Hebdo. In Italia, ad esempio, M. Crippa, giornalista de Il Foglio, affermava come fosse finalmente giunto il momento di “rendere l’onore delle armi del pensiero al Prof. Ratzinger per quella sua lectio, sbrigativamente ridotta al solo passaggio delle parole spese su Islam, violenza e spada. Sarebbe stato invece necessario capire – sottolineava ancora il giornalista – “che l’affermazione decisiva di quel passaggio di Benedetto XVI era un’argomentazione contro la conversione mediante la violenza: non agire secondo ragione è contrario alla natura di Dio” e che il discorso conteneva un elogio all’Illuminismo nelle sue radici cristiane ed un giudizio sul mondo contemporaneo. Lo stesso giorno, un altro giornalista, il vaticanista A. Tornielli, su Vaticaninsider, pareva tuttavia voler replicare a questa posizione, puntualizzando che, se effettivamente la recente strage aveva riportate alla memoria di molti le parole del pontefice e di Oriana Fallaci, occorreva comunque fare attenzione ricordando che “l’oggetto specifico della lezione di Ratisbona non era la violenza del fanatismo religioso, quanto piuttosto una critica a un certo modo di intendere la ragione in Occidente”.
A Regensburg, Joseph Ratzinger era stato professore di Teologia negli anni 1969-1977. Il suo non si poneva quindi né come un discorso generico, di circostanza, né come insegnamento di Magistero ove il Papa parla della fede in modo vincolante per i credenti, né nel senso di un discorso da leader religioso ad altri leaders religiosi; come lo stesso Papa, oggi emerito, aveva chiarito all’inizio del suo intervento, si trattava di una ‘lezione’ (Vorlesung), la lezione di un ‘ex-professore’ che torna dopo molti anni e con molta emozione in un’istituzione accademica a lui particolarmente cara. Il titolo dell’intervento, Fede, ragione e università. Ricordi e riflessioni, esprimeva del resto la natura del testo che, nell’intenzione del suo autore, era stato concepito per questa specifica finalità. La fulminea diffusione mediatica di questo discorso, come sappiamo, contribuì a trasformarne il valore amplificandone la portata a dismisura, enfatizzandone solo alcuni dettagli a danno della sua comprensione globale e di altre affermazioni. Il problema del rapporto tra religione e violenza compariva infatti nel quadro di una riflessione molto più ampia concernente la relazione tra ragione e fede, ove Papa Benedetto XVI affrontava temi di ben più ampio sviluppo, come l’ellenizzazione e de-ellenizzazione del cristianesimo, il rapporto tra concezione cristiana della ragione e visione razionalistica della ragione.
Non a caso, sul momento, il discorso di Papa Ratzinger sollevò vibranti proteste, anche molto violente, da parte del mondo islamico, ma non mancarono nemmeno critiche in Occidente come quelle rivolte dal New York Times che con un editoriale chiese a Ratzinger di scusarsi. Si parlò di gaffe, si tacciò il Papa di intolleranza, e se ne contrappose l’operato a quello di Giovanni Paolo II, giudicando il suo come un discorso contro il dialogo interreligioso. Pochi ricorderanno che, in realtà, la lectio di Benedetto XVI produsse già frutti di dialogo nell’incontro, avvenuto nell’aprile 2007, con una rappresentanza di intellettuali provenienti dall’Iran: il tema scelto, proprio da parte musulmana, era infatti Ragione, fede e violenza. Il confronto, cui chi scrive ebbe modo di partecipare, fu nel segno di un dialogo sincero, non senza momenti di sofferta difficoltà, vissuti tuttavia nel rispetto delle reciproche differenze di vedute. Da questo dialogo nacque una dichiarazione ufficiale riportata sul sito del Vaticano che diceva tra l’altro:
“Fede e ragione sono intrinsecamente non violente. Né la ragione né la fede devono essere usate per commettere la violenza; purtroppo entrambe sono state alcune volte usate in modo erroneo per perpetrare violenze. In ogni caso, questi avvenimenti non possono mettere in discussione né la ragione né la fede”.
Come si è visto nel prosieguo degli anni, è proprio grazie a quel discorso che fu possibile intraprendere anche il cammino che dalla cosiddetta Lettera dei 138 saggi musulmani (13 ottobre 2007) condusse ad un primo Forum islamo-cristiano, tenutosi in Vaticano (6-8 novembre 2008), incontro al quale chi scrive ebbe l’opportunità di partecipare. Per quanto circoscritti siano stati gli effetti di questi dialoghi sul concreto dei rapporti quotidiani tra musulmani e cristiani, non vanno sottovalutati: segnarono infatti un salto di qualità, perché in un modo o nell’altro non fu del tutto elusa la questione della violenza e qualcosa si mosse tra le file, alcune file, di intellettuali musulmani. […]
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* Ilaria Morali è una teologa italiana. Allieva e collaboratrice del grande teologo gesuita Karl Josef Becker († 2015), insegna teologia alla Pontificia Università Gregoriana. È membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses e consultore del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Le sue ricerche si muovono sostanzialmente negli ambiti della teologia dogmatica (Grazia, Fede, Antropologia teologica) e della teologia delle religioni, in prospettiva storico-dogmatica. Si è occupata, in particolare, dell’analisi dei presupposti teologici del dialogo interreligioso. Notevole è stato l’impegno profuso per lo sviluppo di una riflessione missiologica e dialogica contemporanea, in particolare durante la sua attività di direttrice del Dipartimento di Missiologia nello stesso ateneo pontificio.