
24 Apr “La Chiesa si sfrangia. Il pontefice lavorava per ritrovare l’unità”
dal Corriere della Sera – 24 aprile 2025 – di Gian Guido Vecchi
«Francesco si era accorto che la Chiesa si stava sfrangiando. Per questo ha dato grande peso alla sinodalità, nel senso letterale di camminare insieme: per tentare l’armonia». Il cardinale biblista Gianfranco Ravasi ha appena partecipato alla prima delle Congregazioni dei cardinali. «Per ora ci siamo noi che stiamo a Roma, aspettiamo arrivino gli altri: nel Collegio tanti non si sono mai visti, non si conoscono…».
In che senso secondo lei la Chiesa si sta sfrangiando, eminenza?
«La pluralità è una ricchezza. La Chiesa delle origini era complicata, tutt’altro che un blocco monolitico. Pensi a Pietro e Paolo. A quello che scrive l’Apostolo nella Prima Lettera ai Corinzi, “ciascuno di voi dice: io sono di Paolo, io invece sono di Apollo, e io di Cefa, e io di Cristo!”. Dobbiamo camminare insieme con piedi che procedono a velocità differenti. Il compito più importante del prossimo Papa sarà riuscire a conservare la pluralitàsenza che questo significhi divisione. Francesco aveva avvertito il pericolo».
C’è qualcosa di irreversibile, nel suo magistero?
«L’incarnazione, nel senso del versetto 1,14 di Giovanni: “E il Verbo divenne carne e pose la sua tenda in mezzo a noi”. Francesco ha parlato poco della trascendenza. La sua parola è scesa nelle strade, nelle periferie, in sintonia e in simpatia con il mondo».
E come lo ha fatto?
«Lo hanno accusato di non avere una formazione teologica, un grande impianto sistematico come Ratzinger. In realtà, se si considera la questione in maniera meno rigida, si scopre che Francesco ha in sostanza selezionato il Discorso della Montagna come elemento base. Non è vero che non avesse un impianto teologico: in filigrana, nel suo magistero, c’è sempre il Vangelo. Nell’enciclica Fratelli tutti ha usato la parabola del Buon Samaritano, le parole sugli ultimi sono quelle di Cristo».
La semplicità del linguaggio era una scelta?
«Certo. Era un uomo colto, che amava la poesia, la musica. Ma penso a ciò che disse ai giovani durante il viaggio in Lettonia, a Riga, nel 2018: “Se la musica del Vangelo smette di suonare nelle nostre case, nelle nostre piazze, nei luoghi di lavoro, nella politica e nell’economia, avremo spento la melodia che ci provocava a lottare per la dignità di ogni uomo e donna di qualunque provenienza”».
In questo senso parlava di incarnazione?
«Sì, ma non basta. Ha saputo elaborare anche un linguaggio originale, ricordo che ne parlai con studiosi dell’Accademia della Crusca, una stilistica simbolica: l’odore delle pecore, la guerra mondiale a pezzi, la Chiesa come ospedale da campo sono espressioni che tutti ricordano… In una cultura digitale come quella di oggi, la comunicazione deve avere questa dimensione essenziale».
Certo è stato assai diverso rispetto al suo predecessore…
«Benedetto XVI si era concentrato sull’aspetto trascendente, escatologico. Entrambe le dimensioni sono necessarie. Da una parte le questioni ultime, il tema dell’escatologia, del fine, in un mondo nel quale prevale quello che chiamo l’“apateismo”, l’indifferenza nei confronti di Dio. Penso sempre a quello che diceva Paul Ricoeur: “Viviamo in un’epoca in cui alla bulimia dei mezzi corrisponde l’atrofia dei fini”. Dall’altra parte la parola che scende tra la gente. Come in musica, il contrappunto è armonia, non è dialettica. La base comune è la Parola di Dio, la fede evangelica. Uno la elaborava in maniera sistematica, l’altro la proponeva in forma più narrativa. Non ci sono solo i sentieri di altura, bisogna percorrere anche quelli delle valli. Il pontefice che verrà, potrà tenere insieme le due dimensioni».
Non è facile…
«No. Del resto, il Papa che verrà si troverà di fronte una situazione un po’ inedita».
Perché?
«Perché Francesco, fino a non tanto tempo fa, ha dovuto confrontarsi con il mondo fluido della cultura contemporanea, ondeggiante, privo di punti di riferimento stabili, dominato dal relativismo segnalato da Benedetto XVI. Negli ultimi due o tre anni, però, c’è stata una sorta di involuzione. Il soggettivismo è caduto e dominano visioni diverse, il sovranismo, il nazionalismo, l’imperialismo, la brutalità con la quale si vorrebbero risolvere i problemi del mondo. È un mondo che per certi aspetti sta tornando indietro, al modello peggiore del secolo scorso».