Quei «folli di Cristo» che minano le certezze

da Il Sole 24 Ore – 11 ottobre 2020 – di Gianfranco Ravasi.

In questo articolo il Cardinale Gianfranco Ravasi ripercorre una serie di personaggi vissuti in Oriente e in Occidente, spesso capaci di grandi provocazioni spirituali come Giovanni il Calibita, Massimo il Kausokalibita, Francesco d’Assisi e Jacopone da Todi.

L’idiota: un titolo così può creare un equivoco di partenza in chi vuole inoltrarsi nell’architettura grandiosa del famoso romanzo che Dostoevskij elaborò tra il 1868 e il 1869, mentre con la moglie vagava in Europa per sfuggire ai creditori russi che lo inseguivano per i suoi sconsiderati debiti di gioco. Infatti, il protagonista, il principe Myškin è tutt’altro che uno stupido, anzi, è una creatura spiritualmente superiore, il cui candore interiore e l’amore generoso ignorano la bieca e cupa «normalità» dell’amico Rogožin, anzi, desiderano redimerla. «Idiota», infatti, appartiene al lessico russo della mistica ed è equiparabile all’evangelico «puro di cuore». Meriterebbe in verità anche la sorprendente affermazione dei Saggi di Montaigne: «La più sottile follia è fatta dalla più sottile saggezza», oltre naturalmente all’Elogio della follia, titolo del capolavoro di Erasmo da Rotterdam.

Appare ora un’antologia in cui vengono fatti sfilare «i folli in Cristo d’Oriente e d’Occidente» i cui testi vengono presentati, tradotti e commentati da Lisa Cremaschi, una monaca dell’importante ma travagliata Comunità di Bose, salita alla ribalta della cronaca in questi ultimi tempi. Il temine «folle» suona, certo, più nobile di «idiota» o di «pazzo» ai nostri orecchi, nonostante la sua genesi etimologica non sia particolarmente esaltante: in latino follis è il mantice o il sacco di pelle che si sgonfia, disperdendo l’aria. La vera definizione è, invece, da ricercare nelle parole sferzanti che l’apostolo Paolo rivolge ai cristiani di Corinto che allargano la ruota del pavone dell’intellighenzia greca: «La parola della croce è follia (moría) per quelli che si perdono, ma per quelli che si salvano è potenza di Dio… I Greci cercano sapienza, noi invece annunciamo Cristo crocifisso, follia (moría) per i pagani» (si legga 1Corinzi 1,17-31).

L’incontro coi folli per Cristo parte dal deserto egiziano, chiazzato qua e là – a partire dal IV secolo – non solo di oasi ma anche di donne e uomini cristiani che scelgono quelle aspre solitudini bruciate dal sole per vivere un’esperienza spirituale radicale. Il viaggio a ritroso nel tempo, sulle piste della steppa, ci fa incrociare una serie di personaggi spesso provocatori. C’è, ad esempio, Marco, un monaco con un passato di lussuria che, dopo aver condiviso ad Alessandria d’Egitto l’esistenza stessa degli emarginati, si ritira nel deserto inoltrandosi in un percorso arduo di espiazione. C’è Giovanni detto il Calibita, ossia «il dimorante in capanne», a causa della sua scelta di travestirsi da mendicante e di risiedere in un casotto accanto al palazzo paterno.

Al Calibita dobbiamo necessariamente associare Massimo il Kausokalibita, cioè il «bruciacapanne»: ogni volta che la sua popolarità cresceva e aumentava la folla dei visitatori, egli non esitava a incendiare la misera casupola ove viveva e a trasferirsi altrove, seminudo, ricco solo di una straordinaria conoscenza delle S. Scritture e della sua devozione alla Madre di Dio. Ci si presenta, poi, il personaggio più noto nell’antichità, tanto da essere chiamato Simeone il Folle per eccellenza, che, dopo 39 anni di deserto, decide di rientrare in città con questo programma: «Vado a prendermi gioco del mondo», e da quel momento lasciamo ai lettori di inseguire le sue bizzarrie sconcertanti destinate, però, a scuotere le coscienze torpide. I secoli passano, altri personaggi si affacciano e tra questi ce n’è uno che ci riporta in Italia, è Nicola di Trani, un greco approdato in Puglia non per compiere prodigi ma solo per contagiare chi lo ascolta con la sua «pazza» gioia, frutto di una fede limpida.

Sulla scia di Nicola ci trasferiamo in Occidente, ove ci attende la vicenda sensazionale del romano Alessio che fugge dal suo palazzo la sera stessa delle sue nozze e scompare in Siria, per riapparire anni dopo davanti alla sua residenza come mendicante, non riconosciuto neppure dai suoi genitori. Ci spostiamo in Germania con Heimrad, pellegrino e asceta radicale tanto da essere accusato di satanismo. Non ci sembra, poi, necessario, evocare una triade celebre di folli per e in Cristo come Francesco d’Assisi, Jacopone da Todi («empazzir per lo bel Messia») e lo spagnolo Giovanni di Dio, il fondatore dei Fatebenefratelli, «folle d’amore per i poveri». Lisa Cremaschi non esita a introdurre altre figure, forse meno popolari ma ugualmente impressionanti.

Ecco Pietro Crisci da Foligno, contemporaneo di Dante, che risplende di bellezza pur nella macerazione della più rigida penitenza per le sue colpe. Suggestiva la sua parabola in azione, secondo lo stile dei profeti biblici: raccogliere sassi levigati dal torrente, lavarli con le proprie lacrime e, recandoli sulla testa, offrirli in dono alla Vergine Maria. Un taglio netto nella sua vita ormai matura lo compie, invece, il senese del Trecento Giovanni Colombini che a cinquant’anni lascia la carriera politica e mercantile per seguire Cristo sulla via della povertà totale e dell’umiltà. Secoli dopo, nel Settecento, sarà il francese Giuseppe Benedetto Labre che si fa vagabondo di Dio con un rosario al collo, una ciotola al fianco, una bisaccia contenente il Nuovo Testamento, l’Imitazione di Cristo e il breviario. Dopo un lungo peregrinare per nazioni diverse, si stabilì a Roma, dormendo sotto un’arcata del Colosseo. Talora ingiuriato e picchiato, in sospetto presso l’autorità ecclesiastica, sarà invece la meta di tanti romani, a partire dai bambini, conquistati dalla sua dolcezza e serenità.

Ma uno spazio speciale merita Jean-Joseph Surin, gesuita secentesco, persona di grande cultura ma anche di estrema sensibilità umana e spirituale, tanto da rasentare la fragilità psichica. La sua esistenza fu sconvolta da una vicenda legata al convento delle orsoline di Loudun, travolto da scandali tali da sollecitare l’invio di p. Surin come esorcista. La delicatezza della sua umanità si scontrò col terribile fascino e con la capacità di dominio e seduzione sulla comunità della superiora, madre Jeanne des Anges, una donna psicopatica e vendicativa ma intelligentissima. Surin non ricorre a esorcismi clamorosi, ma ascolta con finezza quelle suore e le educa alla libertà interiore. Lentamente, però, viene quasi prosciugato da ogni energia e la sua psiche cede. Inizia per lui un lungo Calvario che lo conduce fin sul ciglio dell’abisso del suicidio, lo sprofonda nel silenzio dell’afasia e negli incubi mentali e lo blocca con una paralisi per cinque anni.

Eppure dalla caverna della disperazione la sua voce spirituale continua a risuonare cristallizzandosi in testi mistici splendidi, mentre il suo corpo risorge e gli permette di tornare a essere guida, soprattutto per la popolazione povera delle campagne che lo ascolta, incantata, parlare dell’amore di Dio. Ammiccando a una confessione dell’apostolo Paolo, scriveva: «Voglio solo imitare la follia di Gesù che sulla croce perse onore e vita… Per me è lo stesso vivere o morire. Mi basta rimanere nell’amore». A margine ricordiamo che la vicenda drammatica del convento di Loudun è stata ritrascritta liberamente da Ken Russell nel film I diavoli (1971), ispirato al romanzo I diavoli di Loudun di Aldous Huxley, con Vanessa Redgrave nel ruolo di madre Jeanne des Anges.

Ma per ritrovare la filigrana genuina di questo e di tutti gli altri folli di Cristo, così diversi tra loro eppure segnati da una comune stimmata di luce, pazzi per gli intellettuali e le alte classi ma compresi e amati dalla gente semplice, sconvenienti per i perbenisti ma capaci di smascherare le ipocrisie, è indispensabile l’introduzione che Lisa Cremaschi propone in apertura alla sfilata dei personaggi e i ritratti che premette all’antologia degli scritti di o su di loro. «Laicamente» saremmo tentati di concludere con una battuta dell’Enrico IV di Pirandello: «Trovarsi davanti a un pazzo è trovarsi davanti a uno che vi scrolla dalle fondamenta tutto quanto avete costruito in voi, attorno a voi, la logica di tutte le vostre costruzioni».