Papa Francesco, pellegrino di pace in Africa

Papa Francesco è appena rientrato dal suo viaggio apostolico nel cuore dell’Africa. Con l’atterraggio del volo papale all’aeroporto di Fiumicino, lo scorso 5 febbraio si è chiuso il pellegrinaggio di sei giorni durante il quale il Pontefice ha visitato due Paesi teatro di gravi conflitti e sofferenze umane: la Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan. La 40ma visita apostolica internazionale del Santo Padre, la quarta in un Paese africano, è stata caratterizzata da una forte impronta ecumenica: al centro del viaggio il tema della pace e l’incontro con il cristianesimo africano. Un pellegrinaggio per portare «un messaggio di pace e di riconciliazione», come ha scritto proprio il Pontefice nel messaggio inviato al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella prima della partenza. Un viaggio questo, che Papa Francesco aspettava da tempo perché si sarebbe dovuto svolgere la scorsa estate ma era stato rinviato più volte a causa dei suoi problemi al ginocchio. «Un viaggio bello» lo ha definito il Santo Padre, che avrebbe voluto raggiungere anche la città di Goma, dove non è stato possibile andare a causa della guerra.

Partito il 31 gennaio da Roma, il volo con a bordo Papa Francesco è stato accolto a Kinshasa da una folla colorata e in festa, con bandiere e cartelli di benvenuto, e dalle autorità civili e religiose congolesi. Tra loro erano presenti il primo ministro, Jean-Michel Sama Lukonde, e l’arcivescovo di Kinshasa, il Cardinale Fridolin Ambongo Besungu. Kinshasa è la capitale della Repubblica Democratica del Congo, Stato dell’Africa centrale dove era già andato due volte Giovanni Paolo II, nell’80 e nell’85. Ex Congo belga, è il Paese francofono più popoloso al mondo, con più di 90 milioni di abitanti e varie centinaia di diverse etnie nere africane, il francese come lingua ufficiale e altre quattro lingue bantu riconosciute come nazionali e l’86% della popolazione di religione cristiana (41% cattolici, 31,6% protestanti e 13,4% altri cristiani). Con un’economia basata principalmente su agricoltura ed estrazione mineraria, la Repubblica Democratica del Congo possiede immense risorse naturali e soprattutto un vero tesoro minerario. Durante l’incontro a Kinshasa con le autorità politiche e religiose, il corpo diplomatico e i rappresentanti della società civile e della cultura, Papa Francesco ha detto: «Giù le mani dalla Repubblica Democratica del Congo, giù le mani dall’Africa! Basta soffocare l’Africa: non è una miniera da sfruttare o un suolo da saccheggiare». Lo sfruttamento a cui il Pontefice ha fatto riferimento assume diverse e molteplici forme: quello politico sicuramente, a cui si è però recentemente aggiunto anche un “colonialismo economico”. «Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?» ha aggiunto Papa Francesco citando Sant’Agostino. La Repubblica Democratica del Congo è dilaniata tra conflitti e povertà, catastrofi climatiche ma soprattutto sfruttamento delle risorse, davanti a cui il mondo economicamente progredito spesso chiude gli occhi. È un Paese che vive tuttora in un clima particolarmente instabile e teso, con la presenza di bande armate e gruppi tribali che compiono incursioni e massacri di civili nelle province del Nord e Sud Kivu e la zona occidentale del Paese, compresa la capitale, che è caratterizzata da collasso delle strutture sanitarie e malnutrizione, che si stima uccidano 38 mila persone ogni mese. Un’indagine della Corte penale internazionale, avviata nel Paese nell’aprile 2004, stima che nel 2011 siano stati utilizzati nei gruppi armati 30 mila bambini soldato. E il Dipartimento del lavoro degli Stati Uniti, nell’indagine sulle peggiori forme di lavoro minorile, ha inserito nell’elenco dei beni prodotti dal lavoro minorile o dal lavoro forzato nell’anno 2014, ben sei beni prodotti dall’industria mineraria del Paese. Il Pontefice ha detto che l’Africa è come un diamante e il suo bene più prezioso sono le persone. «I diamanti più preziosi della terra congolese, che sono i figli di questa nazione, devono poter usufruire di valide opportunità educative, che consentano loro di mettere pienamente a frutto i brillanti talenti che hanno». Ecco l’invito che Bergoglio ha rivolto alle autorità locali: investire sui giovani e sulla loro istruzione.

La seconda tappa del viaggio è stata il Sud Sudan, il più giovane Paese del mondo, diventato indipendente nel 2011, che per la prima volta nella storia ha ricevuto il capo della Chiesa Cattolica. Dopo aver subito, poco dopo l’indipendenza, una sanguinosa guerra civile dal 2013 al 2020, tuttora il Paese fatica a trovare la pace. Pur essendo diventato uno Stato pienamente indipendente infatti, le controversie con il Nord sono rimaste, soprattutto a proposito della ripartizione dei proventi del petrolio. L’80% dei giacimenti si trova infatti nel Sudan del Sud e questo potrebbe essere un enorme potenziale economico per una delle aree più povere del mondo. Papa Francesco è atterrato a Giuba, capitale del Paese, venerdì 3 febbraio, accompagnato dal primate della Chiesa anglicana Justin Welby e dal moderatore della Chiesa di Scozia, Ian Greenshields. Primo Pontefice a recarsi in Sud Sudan, Papa Francesco ha incontrato gli sfollati di Giuba nella “Freedom Hall” e un gruppo di studenti proveniente da Rumbek che, per salutare il Pontefice, ha fatto più di 300 chilometri a piedi, sotto la guida del giovane missionario di origine italiana, il vescovo Christian Carlassare. Migliaia i fedeli in festa ad accogliere il Pontefice in papamobile e più di 100 mila le persone che hanno partecipato alla celebrazione eucaristica domenicale nel mausoleo “John Garang” di Giuba, recitata in arabo, dinka, bari, nuer e zande. Con almeno quattro milioni di sfollati, oggi in questo giovane Stato subsahariano, si sta consumando la più grande crisi di rifugiati dell’intero continente. Questo Paese, martoriato anche dalle inondazioni oltre che dalle devastazioni della violenza umana, sta vivendo «una tragedia umanitaria», con i due terzi della popolazione colpiti da malnutrizione e insicurezza alimentare. Papa Francesco ha dichiarato: «Non si può più attendere. Il futuro non può essere nei campi per sfollati».

Durante il volo di ritorno si è svolta la conferenza stampa congiunta di Papa Francesco, l’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, che ha avuto per anni un ruolo nella strada di riconciliazione in Sud Sudan, e il moderatore della Chiesa presbiteriana di Scozia, Ian Greenshields. Papa Francesco ha voluto che fossero presenti anche i due leader proprio per sottolineare ancora il significato ecumenico di questo viaggio. Una visita per promuovere la riconciliazione e recuperare i valori di fede comuni, un pellegrinaggio di pace che va oltre i confini dello stato africano, che è un fatto storico e sottolinea l’urgenza di un percorso tra Chiese cristiane che con l’impegno e il servizio dei loro responsabili siano testimoni e favoriscano la pace tra i popoli e la giustizia. Welby ha evidenziato quanto il contributo fondamentale della Chiesa in questi luoghi sia non solo creare reti che non siano corrotte e aiutino ad avvicinare due parti in lotta, ma soprattutto diffondere il “cambiamento del cuore”. Le persone che ricevono la fede in Cristo infatti, capiscono che c’è un altro modo di vivere, che supera la cultura della vendetta così radicata tra i popoli locali, come nuer e dinka, sempre in lite tra loro.

La Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan sono quindi due Paesi accomunati dalla contraddizione di avere una popolazione povera ma un sottosuolo ricchissimo e sono tanti gli interessi economici che le grandi potenze hanno di sfruttamento di terra, minerali e ricchezze presenti. Il tribalismo diffuso e le vecchie inimicizie inoltre, non aiutano il dialogo tra le diverse tribù. E spesso, con la vendita di armi, le grandi potenze provocano lotte interne e poi sfruttano il conflitto per i propri interessi. Ecco infatti quale è stato il monito di Papa Francesco a conclusione della conferenza stampa sul volo di rientro: «La vendita delle armi: credo che nel mondo questa è la peste più grande».