Le Marie attorno a Gesù

da “Il Sole 24 Ore” – 6 marzo 2016 – di Gianfranco Ravasi.

Il libro comincia con la descrizione di una vignetta del «New Yorker». Giuseppe e Maria incinta avanzano lungo la strada sassosa che conduce a Betlemme. La donna è su un asinello e legge un libro di cui si intravede il titolo: Come essere una madre ebrea. C’è tutta una batteria di barzellette sulla jewish mama, soprattutto americana, fieramente protettiva nei confronti della sua creatura. Mary Christine Athans, religiosa e teologa statunitense, usa però questa vignetta in apertura del suo saggio per introdurre il filo conduttore di tutte le sue pagine, quello che definisce l’“ebraicità” della madre di Gesù. È noto, peraltro, che una delle tappe della recente ricerca sul Gesù storico – la cosiddetta Third Quest – è stata dedicata proprio all’identificazione del volto ebreo del rabbì di Nazaret, tant’è vero che l’imponente opera di John P.Meier sul Gesù storico (3300 pagine nell’edizione italiana curata dalla Queriniana!) s’intitola Un ebreo marginale.

L’autrice, però, ci conduce anche nella foresta secolare della mariologia con le sue dottrine e devozioni, coi suoi dogmi e i suoi simboli, con le apparizioni e le icone, persino col «Mary Festival» del Muildelein College di Chicago. Siamo invitati a sostare anche davanti agli schermi cinematografici e a interloquire con  l’appropriazione femminista della Vergine Madre e con certe degenerazioni folcloriche. Ma la vera meta è raggiunta a metà libro quando appare la dichiarazione programmatica: «Scoprire Maria, la donna ebrea». E l’interconnessione col Figlio è inevitabile: «Cercare il Gesù ebreo per trovare Maria ebrea». Come sopra si diceva, il Gesù figlio d’Israele, molto più vicino alla comunità dei farisei di quanto facciano supporre i Vangeli, costringe a risalire all’ebraicità della madre, non solo per ovvie ragioni etnico-familiari ma anche per una sintonia culturale e spirituale.

Mary Christine Athans conclude il suo itinerario aprendoci le porte di uno spazio silenzioso, quello degli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio di Loyola nella casa di ritiro dei gesuiti in California, ove lei trascorre più di un mese in meditazione, contemplazione e orazione. In quelle giornate lei si immedesima in Maria orante e ne ripercorre le tappe biografiche, dall’annuncio dell’angelo alla nascita del figlio Gesù, dal suo ministero pubblico con la scena delle nozze di Cana fino al colle della crocifissione e all’esperienza traumatica della risurrezione. Il tutto è scandito da evocazioni e preghiere modulate e modellate sulla tradizione religiosa di Israele. Alla fine il libro, pur con le sue sbavature e gli eccessi (non bisogna, infatti, ignorare le dissimiglianze e persino le divergenze che lo stesso Gesù storico rivela nei confronti della sua matrice giudaica), propone con molta originalità un’esperienza teologico-culturale genuina, anche attraverso pagine costellate dal lessico ebraico biblico e intarsiate di rimandi, ammiccamenti, citazioni, eventi, racconti godibili e pertinenti.

«Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleopa, Maria di Magdala» (Giovanni 19,25). Sulla vetta del Calvario, accanto a Maria, madre di Gesù, ci sono dunque altre due Marie. Una di esse è entrata di prepotenza nella storia dell’arte e nella tradizione popolare come una ex-prostituta, Maria di Magdala. Difficile è schiodare questa diffamazione perpetrata nei suoi confronti e divenuta uno stereotipo, tra l’altro molto allettante per gli artisti che avevano così l’occasione di miscelare abbondantemente l’eros al sacro. In realtà, l’equivoco nasce dal fatto che la Maddalena entra in scena nel Vangelo di Luca subito dopo l’incontro di Gesù con «una peccatrice di quella città», peraltro innominata, nella residenza di un notabile fariseo, un certo Simone (7,36-50). Nessun nesso c’è tra le due donne: Maria di Magdala, infatti, è elencata successivamente con altre «donne che erano state guarite da spiriti cattivi e infermità» (Luca 8,1-3). Si tratta, quindi, solo di un accostamento narrativo.

Ora, nel Vangelo di Giovanni (20,11-18) la Maddalena è protagonista di un incontro sorprendente col Cristo risorto, talmente inatteso da generare nella donna uno strano fraintendimento: essa, infatti, scambia Gesù col custode del cimitero ove era stato sepolto. È solo quando è chiamata per nome che i suoi occhi si aprono, svelando quindi che per credere nella risurrezione è necessario un altro sguardo, un diverso canale di conoscenza. A quel punto viene spontaneo alla Maddalena abbracciare il Maestro che, però, la ferma con quel celebre Noli me tangere della versione latina del testo greco, un’espressione così popolare da trasformarsi in stereotipo e da diventare persino il titolo dell’ultimo romanzo di Andrea Camilleri pubblicato da Mondadori. In realtà, l’originale mè mou áptou, un imperativo presente continuativo, significa piuttosto: «Non mi trattenere più a lungo» perché ­ dice il Risorto – devo ormai ritornare al Padre celeste, nella gloria della divinità, abbandonando l’orizzonte terreno concreto.

Ebbene, attorno a questo imperativo nella sua resa latina e popolare, ma soprattutto rimandando alla fluidità delle interpretazioni iconografiche e alle potenzialità simboliche in esso racchiuse si esercita in modo libero e creativo il filosofo di Strasburgo Jean-Luc Nancy, già ampiamente tradotto in italiano nei suoi vari saggi sull’amore, sulla politica, sul cristianesimo e la sua “decostruzione” secolaristica. La sua lettura ricalca l’ermeneutica tradizionale dell’imperativo: quel Gesù, che non esitava a toccare la carne malata (persino di lebbra) e ad essere toccato dalla folla che lo pressava, qui invece si sottrae e si ritrae a un contatto. Il ricorso a una galleria di pittori – da Rembrandt a Dürer, dal Tiziano al Pontormo, dal Bronzino al Correggio e così via – permette al filosofo di ricomporre quella tavolozza di emozioni e di esperienze che si dispiega quando i corpi si incontrano, si sfiorano, si respingono, aderiscono. Naturalmente qui è di scena quell’unicum che è la risurrezione: «non è il ritorno a sé del proprio, ma il suo passaggio verso un’altra dimensione, quella dell’alterità a sé e in sé».

Lasciamo al lettore di godere nelle poche pagine di Nancy questo interagire continuo tra teologia, filosofia e soprattutto arte per scoprire quanto sia importante il “tocco” fisico, metafisico e spirituale. Dopo tutto il “tocco” sul tasto del pianoforte ha una valenza particolare, affidata alla creatività dell’esecutore, e “toccata” è la denominazione di una composizione ove rilevante è l’improvvisazione e quindi l’impronta personale. E Nancy ribadisce che il “non toccare” imposto alla Maddalena è un monito a comprendere che nella dialettica dell’amore – a differenza della pesantezza dell’erotismo – « tu non trattieni niente, non puoi trattenere né ricordare niente… Ama chi ti sfugge, ama colui che se ne va, ama che se ne vada».