Il Logos cristiano nella prospettiva buddista

Lo speciale “Quel che resta di Ratisbona” è a cura di Gabriele Palasciano. Un testo di Mauricio Yūshin Marassi*.

[…] Il ragionamento di Benedetto XVI inizia con una citazione dell’imperatore bizantino Manuele II Paleologo (1350-1425) secondo il quale «Dio non si compiace del sangue, non agire secondo ragione, è contrario alla natura di Dio», citazione nella quale dove in italiano abbiamo “ragione” l’originale porta logos. L’affermazione del Paleologo, secondo Ratzinger, è inizialmente da leggere non su uno sfondo di cultura cristiana ma, afferma citando Theodore Khoury editore delle frasi di Manuele II Paleologo, come quella di un «bizantino cresciuto nella filosofia greca». Successivamente, dopo aver ipotizzato quello che è, secondo lui, un lunghissimo percorso di convergenza tra pensiero greco e tradizione ebraica sfociato e sancito nell’utilizzo del greco sia nella traduzione dell’Antico Testamento sia nella stesura del Nuovo, può sostenere che l’affermazione di Manuele II «parte veramente dall’intima natura della fede cristiana e, al contempo, dalla natura del pensiero greco fuso ormai con la fede». Si chiede poi: «La convinzione che agire contro la ragione sia in contraddizione con la natura di Dio, è soltanto un pensiero greco o vale sempre e per se stesso?» arruolando così il pensiero che si dipana da Eraclito non più sotto l’amplissimo segno del termine logos ma sotto quello più limitato, benché indefinito, di “ragione”. E, notiamo, trasformando una frase in cui il punto era l’antitesi tra Dio e violenza, una realtà questa chiara e concreta, in una in cui il punto è l’antitesi tra Dio e irragionevolezza, categoria non chiara e del tutto difforme dalla precedente.

Il sostegno finale, il suggello a questo lungo connubio tra cultura giudaica, cristiana e pensiero ellenico, un antico connubio debolmente sostenuto sia da Benedetto che dalla storia, viene identificato nel prologo al vangelo di Giovanni, che secondo lui costituisce la parola conclusiva sul concetto biblico di Dio: «In principio era il logos, e il logos è Dio, ci dice l’evangelista». Per cui siccome logos è “ragione” e, secondo il vangelo di Giovanni logos è Dio, l’autore – di fatto – afferma che la ragione è Dio. Utilizza poi nel suo scritto per quaranta volte la parola “ragione” in almeno dieci accezioni diverse, usando la ragione (divina?) per negare le tesi espresse, secondo ragione (umana?), da Duns Scoto, dai de-ellenizzatori ecc…

 Da una prospettiva buddista il metodo qui utilizzato dall’Autore è inaccettabile. Si discorre di parole, senza entrare nel merito né del significato del quale si fanno comunque veicolo, né del contesto nel quale nascono e sono poi utilizzate. Altro punto che, sempre da una prospettiva buddista, desta meraviglia, è che una pura e semplice affermazione di due uomini, distanti secoli tra loro, in contesti diversissimi, è sufficiente per stabilire un punto fermo su una questione fondamentale per l’intero cristianesimo; nella parole di Benedetto: «il Dio veramente divino è quel Dio che si è mostrato come logos e come logos ha agito e agisce pieno di amore in nostro favore».

Pur con tutto il rispetto per Manuele II e l’evangelista Giovanni, basare la propria fede nella “qualità” della natura di Dio sulle parole di due uomini, per quanto santi o dotti possano essere, perché usando la stessa lingua hanno usato la stessa parola, è un’operazione del tutto azzardata, se non gratuita. Ovvero: qual è l’effettiva valenza dell’aver usato entrambi, un pescatore della Galilea contemporaneo di Gesù ed un dotto bizantino del XV secolo, quindi a quattordici secoli di distanza l’uno dall’altro, il termine logos relativamente ad un discorso su Dio? Come si può sostenere che avessero in mente la stessa “cosa”? Soprattutto quando quella “cosa”, poi, è chiamata “ragione” e affatto diversa da come la introdusse Eraclito nella cultura ellenica, dove stava per “legge universale”, “principio ultimo”, “natura indifferenziata” ecc.

E, come ipotesi teorica e inverificabile, anche avessero avuto in mente la stessa “cosa”, perché affidare a quei due poveretti la responsabilità di stabilire la “natura di Dio” tramite un pensiero, o una parola?

Inoltre, guardando alla pretesa dell’Autore, grazie ai precedenti citati, di definire Dio in una parola, occorre almeno considerare che al freddo argomentare del teologo per cui «Dio è (la) ragione» vi è un altro cristianesimo, altrettanto giovanneo, che usa un’altra parola per il quale, infatti, «Dio è amore» (1Gv 4,8) e dove «la scienza gonfia» (1Cor 8,2), un cristianesimo citato di sfuggita da papa Benedetto, solo per ribadire che «esso rimane l’amore del Dio-Logos, per cui il culto cristiano è, come dice ancora Paolo λογικη λατρεία – un culto che concorda con il Verbo eterno e con la nostra ragione (cfr Rm 12,1)».

Sempre riguardo al metodo, poi, vi è una domanda che in me non trova risposta: per poter giungere alle conclusioni di cui sopra sul quale articolare un discorso su ragione e teologia, un uomo di lettere e cultura quale Benedetto XVI doveva proprio usare le parole di un oscuro, ai più, imperatore bizantino del XV secolo? E, anche fosse, perché citare per esteso le parole di Manuele II, anche nella parte più severa verso l’islam ed il Profeta, per di più in una traduzione con ogni probabilità inesatta che le snatura, sollevando un putiferio nel mondo islamico? Pare proprio un’aggressione all’islam, un atto di violenza, quindi irragionevole e perciò «contrario alla natura di Dio».

Non dico che non si debba o non si possa fare una critica testuale, culturale all’islam anzi, è necessario farlo, ma non certo in questo modo, non come en passant, fuori contesto.

Questo per quanto riguarda il metodo col quale è stato confezionato il Discorso di Ratisbona. Vorrei però entrare anche nel merito di quanto Benedetto XVI va affermando nel suo periodare. […]

>> Versione integrale del testo

*Mauricio Yūshin Marassi pratica il buddismo zen e dirige la Stella del Mattino, Comunità Buddista Zen Italiana (http://www.lastelladelmattino.org). La Stella del Mattino è attiva dal 1987 nel campo del dialogo interreligioso. Dal 1997, collabora con l’Università degli Studi di Urbino, e vi insegna tenendo corsi in particolare nell’ambito del dialogo. Tra le sue ultime pubblicazioni si ricordano: Discorso di risveglio alla fede secondo il veicolo universale (a cura di), Marietti, 2016; Incontrarsi al cuore. Un dialogo cristiano-buddhista sull’amore-compassione, Pazzini, 2015 (con f. Matteo Nicolini-Zani); Etica buddista e etica occidentale, Ed. Stella del Mattino, 2013 (esaurito su carta, reperibile gratuitamente in formato e-book presso http://www.lastelladelmattino.org/libronline); Il Sutra del Diamante, la cerca del paradiso, (a cura di), Marietti, 2011; Il buddismo Mahāyāna attraverso i luoghi, i tempi e le culture (Voll. I-II), Marietti, 2006-2009; Il Vangelo secondo Matteo e lo Zen, Vol. II, (con p. Luciano Mazzocchi sx), Edizioni Dehoniane Bologna, 2006.

Tags:
,