In futuro le pandemie cancelleranno i conflitti nel mondo?

Che l’umanità sappia affrontare con coraggio, determinazione e solidarietà anche le prove più impegnative della vita e della storia, è noto. Di questa nostra resilienza abbiamo dato prova anche durante questa pandemia da Coronavirus, una resilienza che è stata ancora più forte perché condivisa da ognuno di noi ad ogni latitudine nel mondo. Ci siamo sentiti tutti uniti a combattere un nemico invisibile che si è presentato inaspettatamente e ha letteralmente sconvolto le nostre vite, i nostri assetti sociali e anche la nostra scala di valori.

L’auspicio che, spesso e giustamente, si sente in questi giorni è che dalla “guerra” contro l’attuale pandemia si possa uscire non solo quanto prima, ma anche migliorati. E che questa crisi sanitaria serva ad accrescere la nostra critica consapevolezza di come dovremmo comportarci in futuro mostrandoci quali cose del nostro vivere oggi sono veramente importanti e quante invece non rivestono più alcun senso. La “guerra” al coronavirus ha fatto per esempio passare in secondo piano per tutto il periodo della pandemia la decina di guerre e di conflitti presenti nel mondo. Sono 70 i Paesi coinvolti in guerre di cui, in alcuni casi, poco o nulla si sa. In Europa sono 9 gli Stati teatro di eventi bellici, 29 in Africa, 16 in Asia, 6 nelle Americhe, e poi c’è il Medio Oriente, da sempre campo di battaglia con 7 Stati coinvolti e 257 tra milizie, guerriglieri, gruppi terroristici, separatisti, anarchici. Con una spesa militare che ha sfondato i 1800 miliardi di dollari l’anno.

È stato forte, quanto purtroppo inascoltato, l’appello del segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, per la cessazione dei conflitti in questa fase di crisi sanitaria. Il rischio era infatti quello che lo spostamento dell’attenzione internazionale sulla pandemia potesse rendere più forti i cosiddetti “signori della guerra”, mentre il virus può causare enormi problemi sanitari in quelle popolazioni rese più vulnerabili dai conflitti bellici.

All’appello delle Nazioni Unite ha fatto eco quello altrettanto forte e chiaro di Papa Francesco: “Mi associo a quanti hanno accolto questo appello ed invito tutti a darvi seguito fermando ogni forma di ostilità bellica, favorendo la creazione di corridoi per l’aiuto umanitario, l’apertura alla diplomazia, l’attenzione a chi si trova in situazione di più grande vulnerabilità” .

Ma come l’influenza detta “spagnola” non fermò la prima Guerra Mondiale nel 1918, così il coronavirus non ha fermato i conflitti soprattutto in Medio Oriente. Il caso più eclatante in Libia per la quale l’Onu ha chiesto più volte una tregua umanitaria, anche perché il sistema sanitario è sotto stress e il covid 19 può diventare incontrollabile. Dopo una fase iniziale in cui l’epidemia ha scompaginato i piani delle potenze coinvolte, le ostilità sono però riprese. Come ha ricordato il segretario generale delle Nazioni Unite “tutto il mondo è nudo davanti alla pandemia ed è immaginabile  che ci troveremo ad essere “nudi” di fronte a sfide simili  anche in futuro. È forse solo facendo riferimento sempre di più a quella “famiglia umana”, di cui ha parlato lo stesso Guterres, che ha mostrato unità e resilienza di fronte ad una sfida epocale come questa, che potremo in futuro affrontare altre “guerre” contro un nemico comune.

Ancora una volta è Papa Francesco a mostrarci la strada quando auspica che l’impegno contro la pandemia possa portare tutti a riconoscere “il bisogno di rafforzare i legami fraterni come membri di un’unica famiglia”. Perché quanto abbiamo imparato oggi sia d’insegnamento per le sfide di domani.